Altro che "pre-embrione"… è un bambino!

L’utilizzo ideologico delle parole serve a far accettare la contraccezione che porta all’interruzione di gravidanza

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In un articolo precedente, analizzando la questione della contraccezione d’emergenza, emerse chiaramente come la questione terminologica riguardante la definizione di gravidanza oscurasse l’evidenza scientifica per la quale non esiste alcuna cesura tra momento della fecondazione e momento d’inizio della gravidanza come evento che determina la nascita e lo sviluppo di una vita umana.

Qui vedremo come questa visione si propaga ai danni del secondo dei due soggetti in questione: l’embrione. Ci si chiede quale sia il significato della realtà embrionale nei suoi primi giorni di esistenza. Secondo la visione sopra ricordata, se per la donna la gravidanza ha inizio solo in relazione all’annidamento e non prima, anche l’embrione sarà considerato tale, ed eticamente e giuridicamente rilevante, solo a seguito di questo evento.

Ogni operazione posta in essere nei suoi confronti nella fase che precede l’impianto verrà considerata come un intervento neutro. Così a seconda dell’azione che di volta in volta esercitano la madre, il medico o il ricercatore, l’ovocita fecondato potrà raggiungere la qualifica di embrione – e perciò di figlio – di feto abortito – diventando un corpo inanimato – di cumulo cellulare idoneo alla sperimentazione o al prelievo di tessuti – come deposito di cellule staminali o di altro tipo.

A questa manipolazione ideologica corrispondono diverse definizioni: si parla di pre-embrione, di ovulo fecondato, di embrione preimpianto. Come ricorda Justo Aznar, direttore dell’Instituto de Ciencias de la Vida dell’Università Cattolica di Valencia, in Spagna, il termine pre-embrione comparve nel 1984 per la prima volta nel Rapporto Warnock, che dichiarò la possibilità di intervenire nella vita dell’embrione dal momento del concepimento fino al quattordicesimo giorno successivo, parlando genericamente di “manipolazione dell’embrione”.

Nel rapporto stesso, tuttavia, la Commissione che lo stilò ammise anche che la vita dell’essere umano comincia propriamente con la fecondazione. Il termine pre-embrione venne quindi introdotto non a seguito di considerazioni strettamente scientifiche ma volendo creare un fraintendimento finalizzato unicamente a oscurare la dignità umana che appartiene all’embrione medesimo[1]. Si è voluta giustificare questa comprensione sostenendo che prima di questo istante lo zigote non dà alcun segnale di sé, del proprio essere autonomo o dell’esserci in relazione alla madre.

Alcuni[2] asseriscono che non si possa parlare di essere individuo prima del quattordicesimo giorno dal concepimento perché è solo da quel momento che l’embrione raggiunge la conformazione cellulare differenziata di ectoderma, mesoderma ed endoderma – da cui avranno origine tutti gli organi e i tessuti – e «compare nell’ectoderma primitivo una zona più inspessita detta stria primitiva»[3], che – sempre secondo tale visione – sarebbe il primo indicatore della presenza di un essere capace di differenziazione e di autonomia. Indubbiamente questa è una fase importante a partire dalla quale l’embrione, inserito com’è nella mucosa della parete endometriale e avendo stabilito i legami coi vasi sanguigni materni per trarne nutrimento e ossigeno e per trasferirvi le scorie da eliminare, organizza momento per momento la crescita di ogni sua parte, di modo che ad ogni istante corrisponda un preciso stadio dell’intero processo di sviluppo: il percorso dell’embrione infatti è strutturato in maniera tale da rispondere a una cadenza di sviluppo ordinata e improrogabile per ciascuna delle parti del corpo che lo compongono[4].

Ma proprio questo indica che non c’è soluzione di continuità tra concepimento, annidamento, comparsa della stria primitiva ed evoluzione progressiva dell’essere umano fino all’evento della nascita. Così si esprime Dignitas Personae: «Il corpo embrionale si sviluppa progressivamente secondo un “programma” ben definito e con un proprio fine che si manifesta con la nascita di ogni bambino»[5]. Così come un bambino non nasce tale se non perché così si è formato nel seno materno per nove mesi, allo stesso modo non si dà la possibilità che uno zigote giunga a penetrare l’endometrio se gli si impedisce di giungervi dopo che si è costituito. Ugualmente, se quando affonda nella mucosa intrauterina si stabilisce il primo contatto fisico, non si può altrettanto correttamente affermare che questo sia il primo segno del legame tra madre e figlio, come visto relativamente al cross talk.

È stato inoltre affermato, in un articolo del 1998, che «la fecondazione è condizione necessaria ma insufficiente per la gravidanza»[6]. Pur essendo vero che una percentuale molto alta di ovuli fecondati non giunge a impiantarsi[7]; è altrettanto vero però che questo essere necessario ma di per sé ancora insufficiente alla nascita di un bambino può a ragione venir detto per ogni successiva fase di crescita dell’embrione, che tuttavia non potrà darsi se non dopo questa prima tra tutte: l’istante del concepimento.

Purtroppo però la tenzone non si gioca tanto sul piano scientifico, quanto piuttosto su quello ideologico: l’evidenza scientifica non basta a chiudere l’argomento. Nell’articolo sopra citato di Aznar, apparso ultimamente in Medicina e Morale, vengono riportati i dati relativi all’utilizzo della parola “pre-embrione” (e quindi del concetto che essa sottende) negli anni che vanno dal 1991 al 2008 da parte delle riviste mediche: si rileva come la sua frequenza sia molto bassa e praticamente nulla tra le testate più autorevoli.

Osserva l’Autore: «For most experts the pre-embryo, biologically speaking, does not exist, so the term that identifies it as such is becoming less frequently used in scientific literature»[8]. L’intervento così chiosa: «the above data support the finding that the term “pre-embryo” is practically outside the current scientific context, and that its use, in most case, has a more ideological than scientific connotation, all with the aim of depriving the embryo of its ontological status of living human being, to thus be able to manipulate it without greater ethical responsibility»[9].

Ci si chiede infatti se un tale nominalismo può davvero sottendere una onesta comprensione della realtà o piuttosto se non si cerchi nelle parole una copertura a interessi non altrimenti giustificabili: la mentalità che porta a negare la realtà dell’embrione umano nei suoi primi quattordici giorni di esistenza insinua la presunzione di poterlo manipolare arbitrariamente come mero cumulo di cellule, quando la verità è che si sta ponendo mano al destino di un essere umano, impedendogli di crescere e venire alla luce.

Nella Storia dell’Umanità la pratica dell’aborto procurato risale ai tempi più antichi, tanto che perfino il Giuramento di Ippocrate, risalente al V secolo a.C., ne parla esplicitamente quando afferma: «A nessuna donna io darò un medicinale abortivo»[10]. L’onestà intellettuale e scientifica di queste parole così antiche fa trapelare la giusta considerazione che dell’aborto si aveva quale grave offesa alla vita innocente del concepito, nonostante molte conoscenze sulla biologia della riproduzione umana siano state raggiunte solo molto più tardi, a partire dalla seconda metà del XX secolo.

Oggi, a fronte del fatto che è possibile giungere a vedere l’istante stesso della fecondazione e interpretare molti fenomeni che regolano questo evento, avendo messo mano all’albero della conoscenza del bene e del male (cfr. Gen 3, 4-7), appare la superbia dell’uomo nel
voler decidere da sé ciò che è buono e ciò che non lo è, costruendo un linguaggio nuovo e strumentale all’aggressione delle radici della vita, illudendosi che questo arrivi anche a modificare il fatto che esse obbediscono immancabilmente al loro Creatore.

***

NOTE

[1] Cfr. J. Aznar, Scientific use of the term “pre-embryo”, in Medicina e Morale 61 (2011), 485-489.

[2] C. Grobstein, Science and the Unborn: Choosing Human Futures, citato in M. P. faggioni, Aspetti etici della contraccezione d’emergenza, 135.

[3] M. P. Faggioni, La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica, Edizioni Camilliane, Torino 20092, 255.

[4] Cfr. B. Mozzanega, Da vita a vita. Viaggio alla scoperta della riproduzione umana, 53.

[5] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dignitas Personae, 4.

[6] J. Guillebaud, Time for emergency contraception with Levonorgestrel alone, citato da J. Wilks, Contraccezione preimpiantatoria e di emergenza, 152.

[7] Il prof. Schinella riporta l’opinione che «oltre il 50% degli embrioni manca l’impianto» (I. Schinella, Nuove forme di intercezione e di contragestazione in Dignitas Personae, 182).

[8] «Per molti esperti il pre-embrione, biologicamente parlando, non esiste, quindi il termine che lo identifica sta cadendo in disuso nella letteratura scientifica» (J. Aznar, Scientific use of the term “pre-embryo”, 486).

[9] «I dati sopra riportati consentono di affermare che il termine “pre-embrione” è in ultima analisi fuori dall’attuale contesto scientifico, e che il suo utilizzo, nella maggior parte dei casi, ha una connotazione più ideologica che scientifica, con lo scopo di privare l’embrione dello stato ontologico di essere umano vivente che gli appartiene, potendolo così manipolare senza ulteriore responsabilità morale» (J. Aznar, Scientific use of the term “pre-embryo”, 489).

[10] Cfr. M. P. Faggioni, La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica, 296.

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Elisabetta Bolzan

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