Il significato e la portata della dottrina sociale della Chiesa

Come si fa a realizzare bene comune, giustizia e equità

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di Rosario Sitari
Segretario Nazionale Associazione Italiana Docenti Universitari

ROMA, giovedì, 5 luglio 2012 (ZENIT.org).- Come cattolico forse un pò naif, privo di innocenza e di virtù profetiche, nelle contraddizioni del “terribile quotidiano” vedo con chiarezza l’incarnazione di valori appresi negli anni giovanili della mia formazione religiosa. Ma questi “segni dei tempi”, diluiti come sono in una sorta di biblioteca virtuale, vanno analizzati, selezionati e sintetizzati in un sistema coerente fino a produrre cultura capace di incidere sulla costruzione del presente e del futuro.

In questo contesto occorre prendere atto con soddisfazione che la teoria economica non si è limitata a trattare i temi dell’efficienza, ha anche affrontato problemi, quali il bene comune, la giustizia, l’equità, e ne ha individuato gli strumenti per poterli affrontare1.

Una comunità che intenda individuare “cosa fare” in un determinato contesto storico non può rinunciare agli apporti della ragione. Una ragione che affronti i temi dell’invecchiamento della popolazione, della disoccupazione strutturale, e di quella giovanile in particolare, delle privatizzazioni, del risparmio da far fluire verso gli investimenti nell’economia reale, problemi fiscali e politica della famiglia, governo delle società multirazziali e dei servizi sociali compatibili con le risorse disponibili. E ancora: problemi della giustizia e dell’attuazione dello stato di diritto, delle manipolazioni genetiche e delle biotecnologie. Tutti problemi sui quali vale la pena misurarsi e sui quali si può imparare di nuovo a fare politica2.

È pertanto indispensabile, scrive il vescovo mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, assumere un “impegno corale” dei soggetti ecclesiali e civili sul piano culturale e formativo. Occorre un impegno che si riconosca in Codici programmatici per “il rinnovamento dei partiti” o per la “creazione di nuove istituzioni di partecipazione e di rappresentanza.” Esiste già qualcosa di simile a un codice di ampio respiro: è il Compendio della dottrina sociale della Chiesa 3. Si tratta di “uno strumento culturale motivato” in termini teologici, ecclesiologici e antropologici. “Il Compendio, articolato sulle ragioni della fede, su una sapienza riflessiva, offre all’impegno sociale un fondamento razionale e sovrarazionale, abilita a render conto della speranza” e “indica le vie concrete secondo cui la fede si fa cultura”4.

Le indicazioni sociali del Magistero, quale che sia la forma che assumono, sono intrinseche al quadro storico in cui si esprimono. Un’ enciclica, in quanto partecipe alle varie culture che si susseguono nel tempo, si pone come lettura attualizzante nella continuità delle encicliche precedenti e, dunque, in sintonia con le trasformazioni socio-economiche che ne costituiscono il terreno di coltura.

Ogni enciclica, come scrisse Agazzi in occasione della pubblicazione della Mater et magistra (= MM) di Giovanni XXIII5, esprime “principi, realtà umana e storico-sociale, direttive”.

Questi i fondamenti delle Encicliche e, in generale, della Dottrina Sociale della Chiesa: la persona umana come cardine, cioè come soggetto e come fine; la società come realtà, ordine umano e ordinamento giuridico, partecipe, come la persona, di compiti e di responsabilità; l’ordine morale come ispirazione da tradursi nella subordinazione al bene comune e nei principi di giustizia e di equità; l’amore caritas riguardo alla paternità di Dio e alla fratellanza tra gli uomini6.

Il concetto volontaristico è una costante delle indicazioni sociali e si contrappone alla concezione naturalistica e meccanicistica del mondo economico (MM n. 7). La socializzazione non può essere considerata come il prodotto di forze naturali operanti deterministicamente; la socializzazione è creazione degli uomini, esseri liberi, consapevoli e portati per natura ad operare in attitudine di responsabilità (MM n. 49).

Ne consegue che i lavoratori della terra, come tutti gli altri lavoratori, “devono muoversi nell’ambito dell’ordine morale-giuridico: devono cioè conciliare i loro diritti e i loro interessi con i diritti e gli interessi delle altre categorie economico-professionali e subordinare gli uni e gli altri alle esigenze del bene comune.” (MM n. 133).

L’attuale Pontefice con la Caritas in Veritate (= CV)7 ha còlto i tratti dinamici della Mater et Magistra e ne ha assunto i principi per ricavarne norme di vita adeguate al periodo storico che stiamo vivendo. Oggi è necessario “un nuovo equilibrio tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali”.8

Nello specifico della mia sensibilità credo utile riprendere un tema che, al di là della sua intrinseca validità, offre significative opportunità per l’affinamento di strategie formative. Intendo riferirmi al solidarismo.

Il problema, oggi, non è tanto quello di sensibilizzare la coscienza comune verso la solidarietà, quanto piuttosto di acquisire consapevolezza che la categoria morale della solidarietà si esprime scientificamente nella categoria logica dell’interdipendenza. Ed è quanto meno singolare che l’economia, scienza triste, rozza e basata sull’egoismo, consenta di affermare che nel governo dell’ interdipendenza la razionalità verso scopi, cioè la più efficiente allocazione delle risorse, diventa razionalità verso valori quando assume tra i suoi obiettivi la solidarietà, la giustizia e l’equità.

Quando la solidarietà non viene intesa come assistenzialismo, ma come forma equa e, insieme, efficiente di allocazione delle risorse, il destino dell’albanese così come quello dell’indio è problema che riguarda tutti. L’alternativa, d’altra parte, sarebbe l’invasione dei paesi ricchi da parte di eserciti disarmati di persone affamate e la conseguente squilibrata pressione sulla carrying capacity nelle aree del Pianeta.

La parabola dei talenti va continuamente meditata: da essa emerge il dovere alla capitalizzazione così come quello dell’assunzione del rischio. E nei segni del nostro tempo sta il dovere alla responsabilità dei laici di collegare le proprie convinzioni a esplicite scelte di cittadini impegnati nella polis assumendone i relativi rishi.

Per quel che mi riguarda vedo il frammento delle mie possibilità completamente ordinato a storicizzare un obiettivo di fondo: quello di contribuire a rispondere a una domanda di senso.

La mia convinzione è che non si può lasciare al fondamentalismo di élite radical-scic e al mondo degli affari il governo dello sviluppo. Non intervenire in questa materia significa impedire un corretto processo di formazione delle decisioni che finirebbe per essere egemonizzato dal solo mondo degli affari all’interno del quale si esaurirebbe la dialettica tra portatori di interessi diversi, spesso coperti in modo maldestro da ideologie, senza alcuna mediazione (il conflitto che nel passato ha visto fronteggiarsi petrolieri e nuclearisti è assai istruttivo in proposito).

Ritengo quindi giunto il momento di rispondere con un’offerta adeguata alla domanda di senso. In termini di adeguatezza, credo debba affinarsi l’offerta formativa a ispirazione cattolica che sembra puntare, a monte, su determinanti filosofiche e, a valle, su aspetti applicativi. Lascia però in ombra il livello intermedio che ha influenza fondamentale, sia sull’elaborazione delle strategie della società, sia sulla gestione quotidiana. Questo livello, dove le conoscenze sono immediatamente socializzabili, contiene in sé du
e caratteristiche di fondo che lo rendono impermeabile rispetto al livello superiore ed egemone sul livello inferiore. Per il fatto che sa sempre cosa produrre, quali tecnologie utilizzare, quali mercati aggredire e con quali strategie commerciali, questo livello si autoalimenta attraverso un sistema di autoreferenzialità e autoorganizzazione riuscendo perfino a trasformare gli interessi in valori.

Trascurare questo livello significa rifiutare un ruolo in un momento decisivo della modernizzazione contemporanea e collocarsi perciò sulla via dell’impotenza che porta inevitabilmente alla subalternità civile. La trattazione sistematica dei temi del villaggio globale si colloca proprio in questo importante crocevia dove l’interdipendenza può essere interpretata come risposta razionale alla complessità contemporanea e come incarnazione del principio di solidarietà.

Lo sviluppo sostenibile non identificato nella sola dimensione ecologica, ma concepito come sintesi di questa con la dimensione sociale e quella economica è, infatti, espressione politicamente compiuta del solidarismo esteso non soltanto a tutti i popoli oggi viventi sulla Terra ma anche a quelli delle future generazioni9.

Nello stesso impianto concettuale sta il no profit. Questo, per dispiegare tutta la sua efficacia, non può avere carattere residuale e intervenire ex post per contenere le inefficienze del sistema. Se così fosse contribuirebbe al mantenimento dello status quo. Il no profit è invece un modo di “fare economia” all’interno del mercato e qualifica il nuovo promettente capitolo della teoria economica: l’ «economia civile»10.

Il mercato, d’altra parte, è un mezzo e, come tale, va continuamente valutato in rapporto alla sua capacità di essere funzionale al bene comune. Se ciò è vero in linea di principio, lo è, in particolare, in un momento come questo in cui si sono attuate le privatizzazioni al di fuori della benché minima politica di liberalizzazioni. Anzi, la confusione tra politica delle privatizzazioni e politica delle liberalizzazioni può essere considerata la causa prima della Babele della crisi attuale.

Mai prima d’ora si era verificato un ricorso così massiccio alle privatizzazioni e mai prima d’ora la desertificazione dell’area pubblica, specie nella finanza, era stata così pervasiva. Ma le istituzioni intermedie della società civile vanno sorgendo ovunque e sono già in grado, di per sé stesse, di contrastare la desertificazione dell’area pubblica. Si pensi agli esempi di organizzazioni economiche, le cooperative, che, con 800 milioni di soci in tutto il mondo agiscono sulla base della fiducia e della responsabilità. Si pensi a imprenditori che utilizzano l’iniziativa individuale all’interno della logica dei mercati per raggiungere obiettivi sociali in Bangladesh, India, Sudafrica, Kosovo e Albania.

Questi sono eventi di grande portata antropologica che, nei fatti, sono la risposta a interrogativi tanto impegnativi quanto ineludibili. Quale posto occupa l’uomo nella globalizzazione? Cosa è il bene comune mondiale? Qual è il modello di società in cui storicizzare la parola di Dio e la tradizione cristiana? Cosa possono fare le istituzioni cattoliche per la promozione della giustizia e della solidarietà?

Le risposte al prossimo giovedì.

*

NOTE

1 Tra la letteratura ormai copiosa su tali problemi, vanno segnalate quattro opere a carattere generale: F. Caffè, Elementi di Politica Economica, K libreria editrice, Roma, 1976, seconda edizione; N. Acocella, Fondamenti di Politica Economica, La Nuova Italia Scientifica , Carocci editore, Roma, novembre 1999, III ed.; G. C. Romagnoli, la voce “Mercato” e la voce “Economia Politica” entrambe contenute nel Lessico Sturziano, a cura di M. Cappellano, Caltagirone, 2011; G. Tremonti, Uscita di sicurezza, op. cit.

2 Cfr. R. Sitari, I presupposti dell’azione politica: una riflessione sul ruolo educativo della dottrina sociale della Chiesa, LIONS, Roma Capitolium, 27 ottobre 2011.

3 Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Libreria Editrice Vaticana, 2004.

4 Cfr. M. Toso, Come formare una nuova generazione di politici cattolici, La Società, n. 4/2011:

5 Cfr. Giovanni XXIII, Mater et Magistra, 20 maggio 1961.

6 Cfr. A. Agazzi, L’educazione al senso e all’azione sociale, in “I nuovi termini della questione sociale e l’enciclica Mater et Magistra”, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1961, pagg. 187 e 189.

7 Cfr. Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 29 giugno 2009, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009

8 Cfr. Benedetto XVI, Recita dell’Angelus, in Piazza San Pietro, 14 novembre 2010.

9 Cfr. G. C. Romagnoli, Sviluppo economico e solidarietà, in “Cittadini del Mondo. Educare alla mondialità”, Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, 1999.

10 Cfr. S. Zamagni, Non profit come economia civile. Per una fondazione economica della organizzazioni non profit, in S. Zamagni, (a cura di), “Non profit come economia civile”, il Mulino, Bologna, 1998.

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ZENIT Staff

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