di Pietro Barbini

ROMA, lunedì, 23 luglio 2012 (ZENIT.org) – Domani, 24 luglio, la Chiesa festeggia Santa Cristina di Bolsena, vergine e martire al tempo della “grande persecuzione” dell’imperatore Diocleziano (243-312). In questo giorno a Bolsena, città di cui è Santa Patrona, si svolge una singolare manifestazione religiosa chiamata I Misteri di Santa Cristina. Si tratta di una rivisitazione dei tormenti patiti dalla giovane martire.

Per l’occasione vengono allestiti, nelle cinque piazze della città, dei palchetti presso i quali verranno rappresentati i dieci martiri subiti dalla Santa prima di “salire alla casa Padre” (la Ruota, la caldaia, la fornace, il lago, l'inferno, le verghe, i serpenti, il taglio della lingua e le frecce).

Alla vigilia della festa, la sera del 23 luglio, viene portata in processione la statua della Santa, posta sopra una sorta di macchina a forma di tempietto, percorrendo un tragitto che va dalla Basilica a lei dedicata alla Chiesa del Santissimo Salvatore, attraversando le diverse piazze e sostando dinanzi ai palchetti illuminati che riproducono, silenziosamente, le diverse fasi del martirio di Santa Cristina, come delle vere e proprio icone viventi.

La mattina del giorno seguente, il 24 luglio, sarà percorso a ritroso lo stesso tratto di strada, ritornando alla Basilica di Santa Cristina. La storia di questa santa martire è un vero e proprio mistero; il documento principale che ne descrive gli avvenimenti è La Passione di Santa Cristina, uno scritto agiografico risalente il IX secolo.

Alcuni scavi archeologici, effettuati nella seconda metà del 1800, hanno rivelato che a Bolsena il suo culto risalirebbe almeno al secolo IV: presso il suo sepolcro, infatti, sorse un cimitero sotterraneo, all’interno del quale fu trovata una sua statua in terracotta e un sarcofago con all’interno le sue reliquie.

Interessante constatare che la sua immagine appare nei mosaici in Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, datati VI secolo, parimenti il suo nome viene citato nel Martyrologium Hieronymianum, il più antico catalogo di martiri cristiani della Chiesa latina, redatto da un autore anonimo del V secolo. Il testo più antico, invece, è un frammento di papiro egiziano, proveniente da Oxjrhynchos, V secolo, che contiene, assieme ad un brano della vita di san Panfuzio, un brano della Passio di Cristina. Il frammento è tradotto fedelmente negli Atti della santa, in particolare nel codice Farfense 29.

Dalle testimonianze si racconta che Cristina, figliadi Urbano,prefetto dell’attuale Bolsena, e di una nobildonna di casato romano, fu iniziata alla fede cristiana da una serva. Scoperta dal padre fu rinchiusa in un’ala del palazzo assieme a dodici ancelle e costretta ad adorare gli idoli pagani. Una sera la giovane fanciulla, appena undicenne ma ardente di fede, distrusse i simulacri d’oro e, calandosi dalla finestra della torre, distribuì i pezzi ai poveri.

Il padre, allora, furioso, la fece percuotere da dodici uomini (si racconta che caddero a terra stremati, talmente grande era la resistenza della santa), dopodiché la rinchiuse in carcere. Il frammento egizio riporta che, nel corso dell’interrogatorio, Cristina redarguì il padre con le seguenti parole “non sai che il figlio di Dio vivo, luce di verità e salvatore del mondo, discese dal cielo per redimere ogni malvagità e per salvarci, ed ora nel nome di quel Cristo che salva ti affronto, per vincere la tua ira e darti la morte”.

Venne dunque flagellata e poi legata alla ruota, sotto la quale venne appiccato il fuoco ed infine gettata in mezzo ad un lago con un sasso legato al collo, ma la santa galleggiò miracolosamente “come un fiore di ninfea”. Alla vista dell’ennesimo prodigio Urbano, preso dalla disperazione, morì imprecando gli dei.

Ad Urbano succedette un certo Dione, il quale le inflisse pene sempre più inumane e terribili, come l’immersione nella caldaia di pece, resina ed olio bollenti; le fece poi tagliare i capelli e, trascinata nuda per la città, la condusse al tempio di Apollo, costringendola ad adorare la statua del dio pagano, che venne ridotta in polvere al suo solo sguardo; una scheggia colpì Dione e lo uccise. Si racconta che alla vista di tutto ciò migliaia di pagani si convertirono al cristianesimo.

A Dione succedette Giuliano, che la fece murare per cinque giorni in una fornace (i cui resti si trovano a circa 2 km a sud di Bolsena); le furono poi applicati due aspidi e due serpenti e aizzate contro due vipere. La giovane affrontò qualsiasi tipo di supplizio rimanendo salda nella fede, chiedendo a Dio solamente di non essere abbandonata nella “lotta” e da tutte queste torture ne uscì sempre miracolosamente incolume.

Dopo le numerose sconfitte, si racconta che Giuliano le fece tagliare le mammelle e poiché continuava a cantare lodi al Signore le fu mozzata la lingua, che la fanciulla raccolse e scagliò contro Giuliano accecandolo in un occhio. Legata dunque ad un palo fu trafitta da decine di frecce, due delle quali le colpirono il cuore e il fianco procurandole la morte. Era l’alba del 24 luglio.

Le sue reliquie, ritrovate nel 1880 nel sarcofago dentro le catacombe poste sotto la basilica dei Santi Giorgio e Cristina, ebbero anche loro un destino travagliato. Le cronache narrano che nel 1098 due pellegrini diretti in Terrasanta sostarono a Bolsena e trafugarono il suo corpo. Arrivati poi nella città di Sepino, gli abitanti del paese scoprirono le sacre spoglie e da quel giorno rimasero nella città molisana, dove tuttora viene festeggiata per ben quattro volte l’anno.

Altre reliquie si trovano a Palermo, città della quale è compatrona, e a Toffia. Attualmente, però, l’unica reliquia considerata autentica è l’osso dell’avambraccio conservato a Sepino. Nella Chiesa di Santa Cristina a Bolsena si trova invece la pietra del supplizio, che compone l’altare maggiore, sulla quale sono impresse le impronte dei suoi piedi.