C'e un arte cristiana al di là della fede dell'autore

Intervista a don Alessio Geretti, curatore degli eventi artistici dell’Anno della Fede

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di H. Sergio Mora 

ROMA, lunedì, 17 dicembre 2012 (ZENIT.org) – L’arte permette a tutti di confrontarsi con il messaggio della rivelazione cristiana. Il bello è un antidoto al “grigio” mondo odierno perché ci permette di ritrovare la meraviglia delle cose. Tuttavia questa non è una prerogativa riservata agli artisti cristiani. Anche un non credente può, volontariamente o meno, dar vita ad opere in grado di comunicare la bellezza del Vangelo.

Tutte queste sono le significative considerazioni sull’arte indicate da don Alessio Geretti, curatore degli eventi artistici nell’Anno della Fede, nell’intervista rilasciata a ZENIT.

Quarantenne, friulano, don Alessio è sacerdote a San Floriano di Illegio, un borgo con meno di 400 abitanti, che però ha intrapreso l’eccezionale avventura di allestire grandi eventi di carattere nazionale e internazionale, il più recente dei quali è il concerto della Messa in si minore di Bach, interpretato da un’orchestra ungherese insieme al coro del Friuli Venezia Giulia.

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Perché avete organizzato eventi di una tale portata?

Don Geretti: Ci sembra importante che oltre alle celebrazioni liturgiche e i momenti di catechesi ci sia anche un contributo culturale nell’Anno della Fede, sia per i credenti che per quelli non credenti. Confrontarsi con il messaggio della rivelazione cristiana attraverso il linguaggio della bellezza, in questo caso musicale e pittorica, può essere estremamente importante e stimolante anche per chi non ha il dono della fede.

Secondo lei, possono esistere artisti cristiani che svolgono un’arte non cristiana e viceversa? O c’è un’arte più cristiana di un’altra?

Don Alessio: Sì, certamente. C’è un’arte come quella del Beato Angelico che è cristiana da tutti i punti di vista: lo stile dell’autore, l’atteggiamento spirituale con cui sono state realizzate le opere, il soggetto scelto, l’intenzione, la collocazione, la missione originaria e via dicendo. Sono tutte espressioni perfette della fede in atto. In alcuni casi, però, può darsi che l’artista non abbia il dono della fede, ma che riesca a dire qualcosa perché lo Spirito Santo si è servito di lui. Così come in altri casi è possibile che un artista credente possa aver dipinto opere di scadente forza spirituale. Non è scontato che il fatto di essere credenti generi in modo automatico forme efficaci nel trasmettere il potenziale di grazia che s’intende comunicare. Può darsi che qualcuno dica qualcosa con l’arte che combaci con il Vangelo anche senza accorgersene. Sono tanti i casi nella storia dell’arte di, per così dire, “pagine cristiane nate fuori dal contesto”.

Per esempio?

Don Alessio: Buona parte dell’arte del ‘900, anche se non religiosa, manifesta l’inquietudine dell’essere umano che non sa spiegarsi perché si trova in questo mondo e cosa ci sia dopo la materia, e che intuisce perciò che deve esserci un qualcosa di superiore perché la vita abbia un senso. L’astrattismo, la dissoluzione delle forme, la ricerca dell’oltre che si manifesta perfino tagliando le tele o comunque rompendo gli schemi classici, sono come un grido che la cultura dell’uomo occidentale novecentesca ha bisogno di Dio, anche se diffida un po’ delle religioni a cui era abituata. Questo corrisponde con l’introduzione del Vangelo.

Perché l’uomo d’oggi ha tanto bisogno di bellezza?

Don Alessio: L’uomo ha sempre avuto bisogno di bellezza. Oggi in modo particolare perché è immerso – a volte colpevolmente, a volte come vittima – in quel “rumore” e in quella “fretta” che gli impediscono a gustare il bello della vita.

Quale può essere, secondo lei, l’antidoto per il “grigio” mondo contemporaneo?

Don Alessio: Il silenzio e la bellezza. Il bello ci permette di ritrovare la meraviglia delle cose. Una natura morta dipinta dalla mano geniale del Caravaggio ci fa restare sorpresi di alcuni frutti che abbiamo tutti i giorni sul tavolo, ma che non ci toccano più il cuore.  Il bello ci permette anche di accorgersi delle cose, iniziando dal fatto che essere in questo mondo è un privilegio.  La bellezza poi ci conforta. Vivere nel brutto e nel “grigio” ci provoca tristezza e malumore, il bello ci incoraggia e ci dona speranza. C’è tanto bisogno di bellezza, quindi, che non sia però un qualcosa di esteriore o di decorazione, ma che ci tocchi di nuovo i cuori.

Quanto influiscono in tutto questo le tante sollecitazioni esterne?

Don Alessio: Direi che siamo un po’ annoiati e un po’ nauseati – per citare i titoli di due grandi romanzi del ‘900 – da un assedio di forme che ci insidiano soltanto allo scopo di sollecitare esteriormente i nostri sensi e di sovraeccitarli. Abbiamo bisogno, invece, di forme che parlino allo spirito, rimettendo ordine all’affetto e alla sensualità. Per questo le icone, anche quelle molto astratte, così come la musica e l’arte cristiana, esercitano un fascino quasi invincibile per l’uomo di oggi nonostante sia il più delle volte postcristiano o secolarizzato.

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ZENIT Staff

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