Agli albori della Divina Commedia: l'impatto con la bellezza del codice Poggiali

Mercoledì 26 febbraio è stato esposto in via del tutto eccezionale a Roma il manoscritto originale, il codice Palatino 313

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Non basta leggere, ma bisogna anche vedere e toccare la Commedia. Per questo il manoscritto originale della Commedia corredato dalle più antiche miniature che illustrano le tre cantiche è stato esposto in via del tutto eccezionale alla Galleria del Primaticcio di Palazzo Firenze a Roma mercoledì 26 febbraio, in occasione della presentazione della sua raffinata riproduzione in facsimile a tiratura limitata. 

Arricchito da 37 miniature di ispirazione giottesca e da preziose iniziali istoriate, il Palatino 313 è il punto di partenza dopo il quale si succederanno altri capolavori della miniatura italiana, che tanti spunti riprendono non solo dalle immagini dantesche, ma anche dalla fiorente produzione artistica dell’epoca che, sul tema del giudizio universale, si è espressa in tanti meravigliosi affreschi e mosaici.

Ci troviamo agli albori della diffusione della Commedia, nel secondo quarto del 1300, appena qualche anno dopo la morte di Dante, ossia agli inizi di un fenomeno che avviene nei primi tempi attraverso modalità tuttora da chiarire e che nei secoli assumerà proporzioni mondiali.

Il manoscritto si rivela per questo come uno scrigno di tesori sia per il campo artistico, essendo il “portatore del più antico corredo illustrativo” del poema, sia in campo filologico, poiché si tratta anche del primo testimone contenente il commento di Jacopo Alighieri, figlio di Dante, per l’intera cantica dell’Inferno. 

Il codice Palatino 313, detto anche Dante Poggiali dal nome del bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò utilizzandolo per l’edizione della Commedia del 1807, è stato esposto accanto al facsimile presentato da Imago e dalla Società Dante Alighieri per mettere in risalto la perfezione tecnica della riproduzione: “La soddisfazione maggiore è nel constatare quando, davanti ad una copia, lo spettatore prova in sé una parte dell’emozione che proverebbe davanti al manoscritto originale”, ha dichiarato Barbara Bertoni, direttore commerciale della Società Imago, che ha descritto il delicato lavoro durato ben tre anni.

“Significa voler fare in modo che si diffonda un  Dante Alighieri che pochi potrebbero altrimenti godere vista la fragilità del suo contenuto”, ha sottolineato con soddisfazione Maria Letizia Sebastiani, direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. 

Ad illustrare la storia del manoscritto sono intervenuti anche Salvatore Italia, funzionario del Ministero dei Beni Culturali, e il filologo italiano Emilio Pasquini, professore emerito presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

Attraverso la creazione del facsimile, ha detto Marco Veglia, vi è tutto“il recupero dell’impatto originale che i lettori del Palatini 313 potevano provare di fronte a tanta bellezza. Dante ha saputo rieducare lo sguardo degli italiani, e non solo il linguaggio: è impossibile pensare alla storia della prospettiva italiana senza l’esempio del Purgatorio di Dante, senza l’esempio di un testo che aveva educato i suoi lettori a riconoscere la concretezza di un corpo che si stagliava nello spazio con la certezza fisica della propria ombra”.

Tornano in mente a questo proposito i suggestivi versi del XII canto del Purgatorio, quello dell’incontro con i superbi, quando Dante, invitato da Virgilio a chinare la testa a guardare per terra, rimane ammaliato dalle figure intagliate nella roccia: strada facendo scorrono davanti ai suoi occhi Lucifero che precipita “giù dal cielo folgoreggiando”, i giganti Briareo, Timbreo e Nembrot, Niobe, Saùl, la folle Aragne “già mezza ragna”, il re Roboam, Almeon, lo scempio che del corpo di Ciro fece la regina Tamiri urlando “sangue sitisti, e io di sangue t’empio”, i figli di Sennacherib dentro al tempio, gli Assiri in fuga dopo la morte di Oloferne, e infine Troia, un tempo potente e ormai ridotta”in cenere e in caverne”. Tutti esempi biblici e mitologici di superbi puniti, scolpiti in modo tale da non essere meno reali della realtà, tanto da far esclamare al poeta: “Morti li morti e i vivi parean vivi: non vide mei di me chi vide il vero, quant’io calcai fin che chinato givi”.

Dante , fa notare ancora Marco Veglia, “ci consente di visualizzare con la prepotenza veristica le scene, le strutture del suo viaggio, ma nello stesso tempo impone al lettore una risposta figurativa a questa pressione che il testo esercita sul lettore: si inizia con le miniature e si prosegue con i dipinti, poi con la musica, il balletto, l’opera lirica, fino al cinema e al fumetto: l’arte ha estorto, ha preteso e continua a pretendere dai lettori risposte attive: il Palatino 313 è a monte di questo percorso.”

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Maria Gabriella Filippi

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