“La Caritas è la carezza della Chiesa al suo popolo, la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza. La ricerca della verità e lo studio della verità cattolica sono altre dimensioni importanti della Chiesa, se la facciano i teologi… Poi si trasforma in catechesi e in esegesi. La Caritas è l’amore nella Madre Chiesa, che si avvicina, accarezza, ama”.
Non poteva utilizzare parole più belle Papa Francesco per accogliere, ieri, il Comitato esecutivo di Caritas Internationalis, l’organismo vaticano che raccoglie e coordina le organizzazioni caritative della Chiesa nel mondo, riunito in questi giorni a Roma per l’assemblea annuale, sotto la presidenza del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga.
“Voi siete parte essenziale della Chiesa” ha detto il Santo Padre ai vertici presenti; aggiungendo: “siete l’istituzione dell’amore della Chiesa”, dal momento che “una Chiesa senza la carità non esiste”. Ha poi lodato il lavoro svolto, ribadendo però la bussola da cui esso deve essere orientato: la tenerezza, che “è più che un sentimento, è un valore” che “la Chiesa Madre non può perdere”.
Tutta la “spiritualità” della Caritas, ha spiegato il Papa, “è la spiritualità della tenerezza”, una categoria che “noi abbiamo escluso dalla Chiesa”. A volte, ha proseguito, “la nostra ‘serietà’ di fronte alla pastorale, ci porta a perdere questa categoria, che è la maternità della Chiesa! La Chiesa è fondamentalmente madre. E questa caratteristica della tenerezza è per me il nucleo al quale deve riferirsi la spiritualità della Caritas”.
Papa Bergoglio ha poi espresso grande gratitudine per il lavoro svolto dall’organismo vaticano, soprattutto in un momento in cui – ha detto – la crisi mette in pericolo l’uomo. L’azione della Caritas si snoda infatti lungo “una doppia dimensione”: da un lato, “sociale, nel significato più ampio del termine” e, dall’altro, “mistica, cioè posta nel cuore della Chiesa”.
Soprattutto, essa realizza e rafforza quella ‘identità cattolica’ della Chiesa – auspicata più volte da Papa Francesco e non solo – che permette di andare oltre la prima assistenza nelle situazioni di emergenza, e va ad interessarsi anche del supporto e del progresso di chi è nella sventura. “In caso di guerra o durante una crisi – ha affermato il Santo Padre – bisogna occuparsi dei feriti, aiutare gli ammalati. Ma c’è anche bisogno di sostenerli, di occuparsi del loro sviluppo”.
A qualsiasi costo: anche arrivando a “vendere le chiese per dare da mangiare ai più poveri” ha affermato, richiamando le parole di San Giovanni Crisostomo: “Ti preoccupi di adornare la Chiesa e non il corpo di Cristo che ha fame”. A volte, infatti – ha soggiunto Francesco – “semplicemente bisogna neutralizzare il male”: “C’è fame, bisogna dare da mangiare”; “ci sono dei feriti, vanno curati”.
Quello del Pontefice non è un delirio pauperista, ma l’applicazione pratica dell’amore cristiano che Gesù ci ha insegnato attraverso il Vangelo. In particolare in quello dei pani e dei pesci, i quali “non si moltiplicarono” – ha spiegato – ma “semplicemente non finirono, come non finì la farina e l’olio della vedova. Quando uno dice ‘moltiplicare’ può confondersi e credere che faccia una magia… No, semplicemente è la grandezza di Dio e dell’amore che ha messo nel nostro cuore, che, se vogliamo, quello che possediamo non termina”.
Il Santo Padre si è poi soffermato sulla natura dell’attuale crisi. La vera crisi, ha detto, non è né economica, né culturale, né di fede, ma è quella che mette “in pericolo l’uomo, la persona umana”, e di conseguenza mette “in pericolo la carne di Cristo”. “Attenzione, eh!” ha sottolineato Bergoglio, “per noi tutta la persona, maggiormente se è emarginata, malata, è la carne di Cristo”.
Per chiarire meglio il concetto, Francesco ha citato un midrash (un racconto ebraico) che, descrivendo la costruzione della Torre di Babele, mostrava come il valore dei mattoni, per la fatica con cui erano stati prodotti, contasse più degli stessi operai. Il racconto “esprime quello che sta succedendo adesso”, ha osservato il Papa: ovvero l’instaurarsi, nella nostra civiltà, di una “cultura dell’usa e getta”, dove “invece di far crescere la creazione perché l’uomo sia più felice”, “si getta nella spazzatura” tutto quello che non serve: “i bambini, gli anziani, con questa eutanasia nascosta che si sta praticando, i più emarginati”. È questa “la crisi che stiamo vivendo” ha affermato il Santo Padre, e “il lavoro della Caritas è soprattutto rendersi conto di questo”.
La carità, però, implica anche la promozione del Vangelo. A riguardo, Papa Francesco ha citato l’esempio di don Bosco, un ‘fuoriclasse’ della carità, che in un momento di grande povertà della sua terra, salvò molti ragazzi che vivevano sulla strada in mezzo a vizi e delinquenza.
Un ultimo pensiero, il Papa l’ha rivolto al “dramma” dei rifugiati. “Bisogna accompagnarli” ha esortato, ricordando i milioni di sfollati della Siria rifugiati in Libano. Così come tutte le persone vittime dello sfruttamento, a cui “tolgono loro il passaporto e li fanno lavorare come schiavi”. Su tutti il Papa ha invocato “una grande presenza di tenerezza nella Chiesa”. Durante l’incontro, il segretario generale della Caritas, Michel Roy, ha donato al Pontefice un cestino di pane, simbolo della campagna mondiale contro la fame.