di padre Piero Gheddo, del Pime
ROMA, domenica, 2 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Padre Piero Belcredi è in Amazzonia dal 1996, nella parrocchia di Barreirinha diocesi di Parintins, fondata dai missionari del Pime nel 1955, estesa come l’Italia settentrionale con circa 250.000 abitanti, in grande maggioranza battezzati ma ancora scarsamente evangelizzati.
Parintins ha il quarto vescovo italiano dagli inizi (mons. Giuliano Frigeni, vescovo dal 1999), ma ormai la diocesi ha un buon numero di giovani sacerdoti locali (14 + 14 missionari stranieri). L’immenso territorio è tutto foresta e fiumi, i due terzi sono “riserve” degli indios, dove si può entrare solo con il permesso del governo.
In queste sterminate pianure amazzoniche si combatte la “guerra delle terre”, che è stata la prima battaglia di padre Piero Belcredi. L’ho intervistato a Milano in questo novembre, mentre sta ritornando in Amazzonia dopo una breve vacanza in Italia.
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Come è composta la parrocchia in cui lei svolge la sua missione?
Padre Piero Balcredi: “La mia parrocchia ha 30.000 abitanti, di cui 10.000 nella cittadina, gli altri in villaggi dispersi lungo i fiumi e nelle foreste. Sono quasi tutti battezzati. Poi ci sono circa 8.000-9.000 indios (che stanno crescendo molto perché c’è un’assistenza sanitaria abbastanza buona), quindi la parrocchia ha 30.000 abitanti. Nella riserva degli indios Sateré-Maué c’è la scuola tecnica e agricola di San Pedro con i due padri Enrico Uggé (che è spesso a Parintins per altri impegni) e il prete diocesano don Rivaldo da Costa.
In parrocchia a Barreirinha sono l’unico prete. La mia parrocchia è fra due fiumi, il Rio Ramos e l’Andirà, con in mezzo l’isola di Parintins, sede della diocesi, che dista circa 320 km. da Manaos e il battello del servizio da Manaos a Parintins ci mette 24 ore. Da un punto all’altro della mia parrocchia ci metto in media sette ore di barca, poi c’è la riserva degli indios molto più estesa. In Amazzonia le distanze si misurano a ore di barca, non a chilometri, perché la barca è l’unico mezzo di trasporto”.
C’è deforestazione nella sua parrocchia?
Padre Piero Belcredi: Io sono un uomo pacifico, anzi ho iniziato un movimento carismatico che insegna la preghiera per la pace e le virtù che ci vogliono per vivere in pace. Però mi sono visto arrivare a Parintins una dimostrazione di popolo indio, hanno percorso le vie della città e si sono fermati davanti alla chiesa, agitando cartelli e striscioni: Noi indios ringraziamo padre Pedro perchè si interessa dei nostri problemi.
Venivano da Ariaù, un grosso villaggio indio (300 famiglie) a sette ore di barca, li ho visitati e mi sono interessato per risolvere i loro problemi. Mi hanno detto che si è presentato nel villaggio un tale Manfredini (figlio di italiani da molto tempo in Brasile), accompagnato dalla Polizia, ha mostrato al capo villaggio e altri l’atto del governo che lo rende proprietario di tutta la terra da lui comperata e pagata.
Manfredini voleva mandar via gli indios e disboscare la foresta. Alle proteste degli indios, la Polizia ha bruciato alcune case, distruggendone altre. La gente si è spaventata ed è venuta da me perché non si fidano di nessun altro, dato che le autorità hanno firmato quella vendita. Sono venuti a chiedermi cosa fare perchè si trattava di difendersi con le armi.
E lei cosa hai fatto?
Padre Piero Belcredi: Anzitutto ho fondato anche a Parintins la “Commissione della pastorale della terra”, che esiste già a Manaos e in altre missioni. Abbiamo fatto una riunione là nella foresta, io ho fatto venire da Manaos dei laici ben preparati, avvocati e altri della Commissione per la terra diocesana di Manaos, e poi è venuto il sindaco di Barreirinha e altri. La riunione è durata ore e ore e abbiamo scoperto che anche il sindaco e altre autorità statali erano d’accordo con quel Manfredini che aveva comperato il terreno degli indios. Abbiamo poi scoperto che quel tale italo-brasiliano aveva dato soldi a questo e quello per le loro campagne politiche.
Com’è finita la riunione fiume?
Padre Piero Belcredi: Abbastanza bene. Loro hanno dimostrato che Manfredini è il proprietario, cioè ha comperato legalmente i terreni e il governo gli ha dato la proprietà. Ma noi abbiamo dimostrato il diritto degli indios di occupare la terra che hanno da sempre, quindi non si può pretendere di mandar via chi è sul posto da decine e decine di anni. Ragionando, si può affermare le proprie ragioni senza ricorrere alla violenza e alle armi.
Insomma, per il momento la cosa si è fermata, cioè la distruzione della foresta adesso è ferma. Hanno visto che c’è un popolo pronto a ribellarsi, la Chiesa lo appoggia e fa propaganda a livello locale e nazionale contro questa ingiustizia. Il problema non è risolto: prima si trattava di stabilire chi è il proprietario della terra; adesso è stabilito che il proprietario è Manfredini, ma le autorità hanno riconosciuto che non può fare quel che vuole. Però la distruzione delle foreste continua in modo più parziale e nascosto.
Noi abbiamo fatto un esposto al governo nazionale e locale dell’Amazzonia denunziando che la distruzione va avanti. Sono venuti, li abbiamo accompagnati a vedere, ma loro dicevano che tutto è regolare. Vedevano ma dicevano che tutto è a posto, non si sono nemmeno fermati a vedere tutto il fronte della distruzione. Arrivati sul posto hanno chiesto a chi dirigeva i lavori se c’erano difficoltà, hanno detto di no e sono tornati a casa!
Era chiaro che a loro non interessavano i diritti degli indios, a loro interessava che tutto fosse a posto e la gente non piantasse più grane.. Allora, con la Commissione della pastorale della terra siamo andati là, abbiamo fotografato di nascosto col pericolo di buscarci una fucilata, abbiamo fatto anche un filmino, poi trasmesso dalla televisione cattolica e da altre.
Abbiamo visto un fronte di circa 20 chilometri con decine e decine e decine di moto-seghe che stavano buttando giù sistematicamente tutta la foresta; e c’erano circa 200 montagnette di tronchi già pronti per essere portati via, con dei loro barconi a motore. Ci sono molti fiumi e affluenti e sanno come fare per far arrivare questi tronchi in un porto attrezzato per caricarli sulle navi che li portano fuori del Brasile o nel Brasile del sud senza pagare niente. Là in foresta sono attrezzatissimi. Hanno dei grandi trattori che portano via i tronchi con tutti i rami, poi tagliano e buttano via il materiale inutile, mettono i tronchi su chiatte e di notte li fanno passare in questi fiumi.
Noi ci siamo dati da fare e abbiamo fatto un documentario nel quale abbiamo dimostrato che la distruzione è totale, tagliano anche alberi protetti che non si potrebbero tagliare. Tagliando tutto, lasciano il deserto, una terra fragile che causerà inondazioni e altri mali. Un altro crimine è che chiudono gli igarapè, che sono i piccoli affluenti dei fiumi, da dove passano i pesci per andare a deporre le uova; buttano olio bruciato e altro veleno nei fiumi. Abbiamo filmato tutto questo, con molti rischi, presentato alle autorità denunziando la rovina dell’Amazzonia. Vediamo cosa decideranno.
Lei è impegnato in questa battaglia per difendere indios e foreste?
Padre Piero Belcredi: Sì, sono impegnato nel senso che se dietro tutto questo non ci fosse la Chiesa, nessuno là nelle foreste amazzoniche avrebbe la fiducia del popolo, l’autorità e il peso mediatico di fare quello che facciamo noi missionari. Certo non posso fare tutti i passi e le azioni necessarie, ma ci sono i laici che si impegnano e anche volontari.
Io cerco di mantenere in me lo spirito di Gesù Cristo, di perdonare le offese, di vivere in pace, di voler bene anche ai peccatori pur denunziando il peccato, però il de
litto rimane. Tra l’altro, l’irruzione violenta e disumana del mondo moderno in un ambiente tradizionale come quello del popolo amazzonico, crea anche altri problemi. Lo stato brasiliano vicino al nostro, il Para, ha distrutto completamente tutta la sua foresta e adesso passano alla deforestazione del resto dell’Amazzonia. Dopo aver distrutto le foreste, vogliono fare una coltivazione enorme di soia.
Sono molti i volontari che la aiutano?
Padre Piero Belcredi: Quando un popolo è cosciente di una grave ingiustizia, se è educato a questo si impegna, io però ci tengo che mantengano uno spirito evangelico di pace e di amore a tutti. C’è sempre il pericolo che diventino a loro volta violenti, incomincino a odiare ed a pensare che con le armi si risolvono i problemi, mentre si peggiora la situazione. Un esempio. Il dottor Renato Soto di Manaos è un medico vero ma ha incominciato ad interessarsi dei diritti umani, l’hanno minacciato di morte e gli hanno mitragliato la casa dicendogli: “O smetti di interessarti di queste cose oppure ti ammazziamo”.
Mesi fa l’hanno preso per strada e gli hanno dato una bastonata tale che ha dovuto farsi ricoverare in ospedale. E’ scappato ed è venuto a casa mia, è ancora là in parrocchia, ogni tanto gli telefono dall’Italia. Tra l’altro è un ragazzo giovane, non arriva ai quarant’anni e mi dice: “Il lavoro che sto facendo per i diritti umani non mi permette nemmeno di sposarmi: non posso mettere una donna e dei figli in pericolo di vita”. E’ una persona, e ce ne sono altre, che sanno di rischiare la vita, ma continuano a fare questo lavoro. Ma per capire la situazione ti parlo della mia comunità cristiana.