CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 7 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo di seguito la traduzione italiana dell’intervento di mons. Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, alla 19maRiunione del Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che si conclude oggi a Dublino, in Irlanda, sul riconoscimento pubblico della libertà di religione.
***
1. Introduzione. La delegazione della Santa Sede desidera ringraziare Sua Eccellenza il Signor Eamon Gilmore, Tánaiste e Ministro per gli Affari Esteri e per il Commercio irlandese, per l’impegno con cui l’Irlanda quest’anno ha esercitato la presidenza dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). La Santa Sede è particolarmente grata per la cordiale ospitalità degli organizzatori di questa diciannovesima riunione del Consiglio dei ministri dell’Osce a Dublino. La presidenza dell’Irlanda è stata caratterizzata dal desiderio di rafforzare il dialogo di cultura e di pace nella regione dell’Osce, e questo lo apprezziamo molto.
2. La Santa Sede dà il benvenuto alla Mongolia come cinquantasettesimo Stato partecipante all’Osce e attende con piacere di lavorare insieme con questo popolo e questa cultura antichi per promuovere la visione di una comunità di sicurezza libera, democratica, comune e indivisibile che si estende “da Vancouver a Vladivostok”, e contribuire in tal modo alla realizzazione dei nostri impegni consensuali nelle tre dimensioni della nostra Organizzazione (cfr. Dichiarazione commemorativa di Astana, nn. 1 e 7).
3. Dimensione politico-militare. Per quanto riguarda la dimensione politico-militare dell’Osce, la Santa Sede ha preso nota con interesse del rapporto presentato dal presidente del Forum sulla cooperazione per la sicurezza (Fsc) riguardo alle attività svolte nel 2012, integrato da relazioni circa i progressi su aspetti specifici di tali attività. I risultati conseguiti nell’area dello sviluppo di progetti dedicati a rafforzare la sicurezza dello stoccaggio di piccole armi e di armi leggere, come anche di munizioni convenzionali, sono di fatto lodevoli.
La Santa Sede ha anche preso atto con soddisfazione delle iniziative che hanno riportato l’attenzione sul “Codice di condotta relativo agli aspetti politico-militari della sicurezza”, in particolare gli sforzi volti ad assicurare una maggiore diffusione di tale documento anche al di fuori dell’area Osce. Il “Codice di condotta” continua a essere uno strumento prezioso per assicurare trasparenza tra gli Stati partecipanti nelle loro relazioni reciproche, come anche nel rispetto per i diritti umani dei membri delle forze armate.
Altrettanto valide sono le iniziative riguardanti il contributo del Forum all’attuazione della risoluzione 1540 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa. Senza alcun dubbio, l’Osce può dare un contributo originale e prezioso alla comunità internazionale, ma non dovrebbe mai perdere di vista il fatto che le sue possibilità in questo campo sono limitate.
Purtroppo, i progressi nell’attuazione del mandato del Consiglio ministeriale di Vilnius sull’attualizzazione del “Documento di Vienna sulle misure miranti a rafforzare la fiducia e la sicurezza” sono stati lenti. La recente adozione di una decisione sulla notifica di determinate attività militari è un passo nella giusta direzione.
In termini di aspetti non militari della sicurezza affrontati dal Comitato per la sicurezza, la Santa Sede apprezza gli sforzi compiuti dall’Osce per rafforzare il coordinamento e la coerenza nell’affrontare le minacce transnazionali compresa la lotta al terrorismo, nel combattere la minaccia delle sostanze illegali e dei precursori chimici, nel promuovere una struttura strategica per le attività di polizia e favorire misure nell’ambito della cybersicurezza. Tutte queste attività hanno un valore inerente quale contributo alla tutela dei diritti degli esseri umani.
4. Dimensione economica e ambientale. Quest’anno, la crescente importanza e il rilievo che gli Stati partecipanti danno alla seconda dimensione, ovvero quella economica e ambientale, sono emersi attraverso importanti dibattiti, inter aliasul buon governo e sulla bozza della Dichiarazione che abbiamo dinanzi a noi. A giudizio della Santa Sede, perché sia “buono” il governo, questi deve tener conto del bene comune, vale a dire il bene di tutte le persone e dell’intera persona. Il buon governo deve promuovere una “cultura della vita” per tutti. Il buon governo è quel governo in cui le autorità politiche non dimenticano o non sottovalutano la dimensione morale della rappresentanza politica. Il buon governo deve seguire la legge naturale inscritta nel cuore di ogni essere umano. Papa Benedetto XVI lo ha espresso chiaramente durante la sua recente visita in Libano: “Nel disegno di Dio, ogni persona è unica e insostituibile. Essa viene al mondo in una famiglia, che è il suo primo luogo di umanizzazione, e soprattutto la prima educatrice alla pace. Per costruire la pace, la nostra attenzione deve dunque portarsi verso la famiglia, al fine di facilitare il suo compito, per sostenerla così e dunque promuovere dappertutto una cultura di vita. L’efficacia dell’impegno per la pace dipende dalla concezione che il mondo può avere della vita umana. Se vogliamo la pace, difendiamo la vita! Questa logica squalifica non solo la guerra e gli atti terroristici, ma anche ogni attentato alla vita dell’essere umano, creatura voluta da Dio. L’indifferenza o la negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’uomo impediscono il rispetto di questa grammatica che è la legge naturale inscritta nel cuore umano” (Papa Benedetto XVI, Discorso durante l’incontro con i membri del governo, delle istituzioni della repubblica, con il corpo diplomatico, i capi religiosi e rappresentanti del mondo della cultura, Palazzo Presidenziale di Baabda, 15 settembre 2012).
La corruzione costituisce un serio pericolo per il buon governo, poiché non si tratta di un fenomeno limitato dalla politica o dalla geografia; il costo viene pagato dai cittadini. Oggi la corruzione è causa di grande preoccupazione, poiché è collegata anche al narcotraffico, al riciclaggio di denaro sporco, al commercio illegale di armi, al traffico di persone umane e ad altre forme di criminalità.
Se la corruzione causa gravi danni dal punto di vista materiale e impone un costoso fardello alla crescita economica, ancora più gravi sono i suoi effetti sui beni immateriali, strettamente collegati alla dimensione qualitativa e umana della vita nella società. La lotta contro la corruzione esige maggiore convinzione, attraverso il consenso dato all’evidenza morale, e una maggiore consapevolezza che tale lotta procurerà importanti vantaggi sociali.
In fondo, il buon governo non è soltanto una questione tecnica, ma soprattutto una questione di moralità. Lo sviluppo sociale ed economico deve essere misurato e realizzato ponendo la persona umana al centro di ogni decisione. Il buon governo viene promosso e la corruzione viene ridotta quando c’è rispetto per le libertà e i diritti umani fondamentali, compresa la libertà di religione.
5. Dimensione umana. Nel corso degli anni l’Osce ha ritagliato per sé impegni consensuali impressionanti a favore della difesa delle libertà e dei diritti umani fondamentali, del diritto allo sviluppo umano integrale, nonché del sostegno al diritto internazionale e alle istituzioni globali. È la dignità della persona umana a motivare il desiderio della nostra Organizzazione di operare per la realizzazione effettiva di tutti i diritti umani.
La Santa Sede sostiene con forza la libertà dei media, la libertà di espressione e il libero scambio di idee. La libertà di cercare e di
conoscere la verità è un diritto umano fondamentale, e la libertà di espressione è una pietra d’angolo della democrazia. Allo stesso tempo, la Santa Sede ritiene anche che i principi etici e le norme pertinenti in altri campi si applichino anche alle comunicazioni sociali. Il diritto alla libertà di espressione comporta anche delle corrispondenti responsabilità. Il beato Papa Giovanni Paolo II ha scritto: “I criteri supremi della verità e della giustizia, nell’esercizio maturo della libertà e della responsabilità, costituiscono l’orizzonte entro cui si situa un’autentica deontologia nella fruizione dei moderni potenti mezzi di comunicazione sociale” (Lettera apostolica Il rapido sviluppo, 24 gennaio 2005, n. 3).
La situazione, per quanto riguarda il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza, purtroppo non è migliorata; malgrado le lezioni della storia, questi deplorevoli fenomeni vengono riportati ancora oggi, in un tempo in cui la migrazione e il movimento generale dei popoli hanno continuato a crescere e il mescolarsi di culture e la multietnicità sono diventati un fatto sociale. Intensificare gli sforzi dell’Osce per combattere il razzismo e la xenofobia contribuirà a porre fine a tali fenomeni, compiendo un importante passo verso l’affermazione del valore universale della dignità e dei diritti dell’uomo, in un orizzonte di rispetto e di giustizia per le persone e le nazioni.
Tra le libertà fondamentali, il diritto alla libertà di religione occupa un posto preminente per la Santa Sede. L’Osce ha sempre messo in evidenza il contributo positivo dato dalle comunità religiose alla società. In questo senso, l’attività dell’Osce ha assicurato che il dibattito pubblico dia spazio a punti di vista ispirati da una visione religiosa in ogni sua dimensione, compresi il rito, il culto, l’educazione, la diffusione d’informazioni e la libertà di professare e di scegliere la propria religione. “Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità” (Papa Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011, n. 3).
Di fatto, i diritti associati alla religione hanno tanto più bisogno di protezione quanto vengono considerati in contrasto con un’ideologia secolare prevalente o con posizioni religiose maggioritarie di natura esclusiva. La piena garanzia della libertà di religione non può essere limitata al mero libero esercizio del culto, ma occorre dare la giusta considerazione alla sua dimensione pubblica, e quindi alla possibilità che i credenti svolgano la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. È inconcepibile che i credenti debbano sopprimere una parte di sé, vale a dire la loro fede, per poter essere cittadini attivi. “È innegabile il contributo che le comunità religiose apportano alla società – ha scritto il Santo Padre nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011 –. Sono numerose le istituzioni caritative e culturali che attestano il ruolo costruttivo dei credenti per la vita sociale. Più importante ancora è il contributo etico della religione nell’ambito politico. Esso non dovrebbe essere marginalizzato o vietato, ma compreso come valido apporto alla promozione del bene comune. In questa prospettiva bisogna menzionare la dimensione religiosa della cultura, tessuta attraverso i secoli grazie ai contributi sociali e soprattutto etici della religione. Tale dimensione non costituisce in nessun modo una discriminazione di coloro che non ne condividono la credenza, ma rafforza, piuttosto, la coesione sociale, l’integrazione e la solidarietà” (n. 6).
Con l’aumento dell’intolleranza religiosa nel mondo, è ben documentato che i cristiani sono tra i più discriminati, anche nell’area Osce. Malgrado gli impegni assunti dagli Stati partecipanti nell’ambito della libertà religiosa, in alcuni Paesi continuano a esistere leggi, decisioni e comportamenti intolleranti e perfino discriminatori nei confronti della Chiesa cattolica e delle altre comunità cristiane che, attraverso le azioni o per omissione, negano tale libertà. In particolare, ci sono ancora interferenze illegittime nell’ambito della loro autonomia organizzativa, che impediscono loro di agire in modo coerente con le proprie convinzioni morali. Talvolta viene esercitata una pressione indebita sulle persone che lavorano nell’amministrazione pubblica, in contrasto con la loro libertà di comportarsi conformemente ai dettami della loro coscienza. A volte i programmi educativi sono carenti nel rispettare debitamente l’identità e i principi dei cristiani e dei membri di altre religioni, e ci sono chiari segni di resistenza al riconoscimento del ruolo pubblico della religione. E nemmeno i media e il pubblico dibattito sono sempre liberi da atteggiamenti d’intolleranza e, talora, di vera e propria denigrazione dei cristiani e dei membri di altre religioni. I cristiani sono spesso oggetto di pregiudizio e di minacce di violenza, forse a causa della loro partecipazione attiva ai dibattiti pubblici per formare società più rispettose della vita e della dignità umana. Alla luce di quanto appena detto, l’Osce dovrebbe dedicare un’attenzione specifica e sviluppare proposte efficaci per combattere l’intolleranza e la discriminazione nei confronti dei cristiani.
6. Helsinki +40. La Santa Sede è convinta della validità dell’ideale racchiuso nell’atto finale di Helsinki quasi quarant’anni fa. Mentre i dibattiti nell’ambito di Helsinki + 40 proseguiranno nei prossimi anni, è mio auspicio che l’Atto finale di Helsinki, la sua visione e la sua caratteristica di consenso, possano aiutare ad assicurare pace e sicurezza non solo per tutti gli anni a venire, ma anche geograficamente “da Vancouver a Vladivostok”.
7. Conclusione. Nel concludere, desidero augurare alla presidenza ucraina entrante ogni bene mentre lavoriamo insieme per raggiungere gli obiettivi identificati nella Dichiarazione commemorativa di Astana, vale a dire la visione comune e i valori comuni approvati e condivisi da tutti gli Stati partecipanti dell’Osce.
[© Copyright 2012 – Libreria Editrice Vaticana]