ROMA, mercoledì, 12 dicembre 2012 (ZENIT.org) – [Leggi terza parte] L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani (ACNUDU) ha pubblicato un nuovo rapporto non vincolante, Nati liberi ed eguali (Born Free and Equal), che si basa sul rapporto prodotto in seguito alla risoluzione 17/19 dell’organismo. Il nuovo rapporto sostiene che “la causa per estendere a lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) gli stessi diritti di cui fruiscono tutti gli altri non è né radicale né complicata. Essa si basa su due principi fondamentali su cui appoggia il diritto internazionale dei diritti umani: l’uguaglianza e la non discriminazione” (p. 7). A sostegno, il rapporto cita – in parte – l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU). “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. In questo modo, il rapporto nega il fondamento del diritto internazionale dei diritti umani basata sulla dignità inerente della persona umana, dotata per natura di ragione e di coscienza con il dovere di interagire con l’altro in spirito di fratellanza. Inoltre trasforma due principi nel fondamento stesso dei diritti umani: l’uguaglianza e la non-discriminazione.
Il rapporto promuove cinque obblighi fondamentali degli Stati per proteggere i diritti umani delle persone LGBT. A questo punto l’enfasi è minore sull’orientamento sessuale identità di genere e più accentuata sui diritti del gruppo LGBT. Il testo si basa sul non rapporto non vincolante dell’ACNUDU e il documento non vincolante preparato da un gruppo di persone, che a Yogyakarta (Indonesia) hanno preparato un documento sul tema di orientamento sessuale, identità di genere e diritti umani.
I cinque principi fondamentali sono i seguenti: 1) proteggere gli individui dalla violenza omofobica e transfobica – piuttosto che proteggere tutte le persone dalla violenza; 2) prevenire la tortura e i trattamenti crudeli, inumani e degradanti delle persone LGBT – piuttosto che proteggere tutte le persone da tortura ed altri maltrattamenti; 3) decriminalizzare l’omosessualità – piuttosto che chiedere agli Stati di rivedere e valutare le loro leggi penali, prendendo in considerazione l’effetto causato dai cambiamenti nella legge, i costumi e le tradizioni comprovate, i diritti e i doveri delle comunità religiose, la tutela della famiglia naturale, le questioni di applicazione e gli obblighi dello Stato per il bene comune; 4) vietare la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere – piuttosto che proibire la discriminazione in base di razza, religione, lingua e sesso di tutte le persone; 5) rispettare la libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica da parte di individui LGBT – piuttosto che rispettare la libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica di ogni persona umana, tenendo in considerazione i limiti riconosciuti dal diritto internazionale.
Vale la pena far notare che c’è stato un cambiamento generale di argomentazione. Il diritto alla vita privata è stata la giustificazione principale utilizzata per depenalizzare i rapporti sessuali privati consensuali tra adulti dello stesso sesso. Tuttavia, dato che il matrimonio è un istituto riconosciuto pubblicamente l’uguaglianza è ormai diventata l’argomento chiave per la causa del matrimonio omosessuale. “Ma per poter prendere seriamente l’argomento dell’uguaglianza nello sviluppo della giurisprudenza matrimoniale nell’ambito delle relazioni omosessuali – sostiene il professor Robert Araujo, S.J. – devono essere superate le difficoltà fisiche per equiparare le relazioni omosessuali con le relazioni eterosessuali” (Araujo, 2010, p. 31). Araujo sostiene che “l’unico modo per compiere questo compito è quello di fare affidamento alla comprensione di ‘uguaglianza’ che non è basata sui fatti e sulla ragione, ma su un esagerato positivismo giuridico” (Idem). E prosegue: “Per essere autentica, sincera e giusta, il contenuto e la prassi di qualsiasi pretesa di uguaglianza debbono rispecchiare accuratamente la natura della persona umana – poiché questo rende le persone uguali tra di loro in un certo senso e diverse l’una dall’altra in altri sensi” (Idem).
L’argomento è il seguente: fondamentalmente, tutti sono uguali, ma in altri sensi non lo sono. Il professor Araujo, S.J., offre alcuni esempi: “mentre la maggior parte della gente ama la musica, non siamo tutti alla pari di Mozart. Inoltre, anche se la maggior parte della gente ama lo sport, non siamo alla pari dei più grandi atleti del mondo” (Araujo, 2012). Parlando di matrimonio, lo studioso aggiunge: “non siamo uguali neppure in questo senso. Se la razza umana avesse la capacità di esplorare e di colonizzare pianeti lontani, e un gruppo composto da coppie eterosessuali andasse al pianeta Alpha ed un altro gruppo composto da coppie omosessuali al pianeta Beta, e nessuno dei due gruppi avesse la capacità per la riproduzione tecnologicamente assistita, quale pianeta sarebbe ancora colonizzato tra un secolo? La logica direbbe che il pianeta Alpha lo sarà ancora, mentre il pianeta Beta non lo sarà più. L’argomento del matrimonio omosessuale per l’uguaglianza fallisce in questo senso. Le coppie sono semplicemente non uguali” (Araujo, 2012).
Ed è questo che i redattori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo intendevano dire quando dicevano che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Come indicato nella II parte, il termine “nati” nell’art. 1 si riferisce ad un parto morale, che nessun individuo o entità potrebbe concedere. Questa comprensione è coerente con il fatto che le persone umane sono intrinsecamente uguali, ma anche diverse e fisicamente nate in circostanze disuguali. Nel dibattito per i diritti LGBT, in particolare per quanto riguarda il matrimonio omosessuale, “la legge è istigata ad ignorare i fatti e a sostituire [li] con una labile finzione legale” che rende “uguale quello che non può esserlo a causa della realtà della natura umana”, la risposta, allora, chiede una “applicazione rigorosa della logica” (Araujo, 2010, p. 31). Lo stesso consiglio vale per l’argomento discriminazione, discusso nella II parte.
***
Jane Adolphe è il professore associato di Diritto presso Ave Maria School of Law in Naples, in Florida.
[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]