L'Ottocento italiano a Malta

La chiarezza della dottrina cristiana e la purezza della pittura attraverso le opere degli artisti romani

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Affascinante nel contesto dell’arte sacra a Malta è sicuramente la seconda metà Ottocento, per il tentativo di portare avanti una precisa linea di committenze tra realismo, verismo e storicismo con influenze desunte dai Nazareni e dal filone arcaizzante e purista. Questa linea figurativa sacra, che porterà interessanti sviluppi nel corso del Novecento il quale vede, sull’arcipelago, un fiorire di artisti e di cicli narrativi nelle numerose chiese di nuova costruzione, ha un taglio prettamente italiano e accademico poiché molti sono i lavori e le pale commissionate a pittori della penisola. Siamo nel pieno di quel fenomeno definito “Roma fuori Roma” e che riguarda il mercato globale dell’arte sacra romana nell’Ottocento, con l’Urbe quale distretto artistico specializzato nell’arte sacra e che attirava e formava artisti accademici da tutte le regioni.

Tra il 1869 e il 1870, in occasione del Concilio Vaticano I, papa Pio IX aveva inaugurato l’Esposizione Romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico, un evento che di certo aveva aumentato le richieste e le committenze. Malta, da sempre collegata agli ambienti artistici italiani, in particolare romani, dato il profondo legame dell’Ordine Gerosolimitano con la Santa Sede, stava vivendo sul suo territorio una articolata campagna edificatoria e la fondazione di numerose chiese monumentali (Santa Maria Assunta a Mosta, Cristo Re a Paola, San Gaetano a Hamrun) che bisognavano di un adeguato apparato decorativo, liturgico e devozionale.

Il lavoro dell’abilissima maestranza artigianale locale veniva a legarsi ai numerosi stimoli provenienti dall’Europa, pur accusando una certa permanenza di stilemi barocchi e roccocò. Saranno proprio le nuove opere d’arte che giungeranno sull’isola a portare una ventata di novità stilistiche e iconografiche: «A Malta, il disegno del canonico Paolo Pullicino, che è l’intermediario di molti degli ingressi di opere provenienti dalla città eterna, – infatti- è di contrapporsi alle devianze della cultura barocca del passato e del verismo del presente, stile che iniziava a incontrare qualche successo anche sugli altari delle mille chiese dell’arcipelago mediterraneo»[1]. Tra le tante presenze artistiche registrate sul territorio mi vorrei soffermare quindi, brevemente, su una serie di artisti italiani, presenti in particolare in tre specifiche chiese, che hanno donato a Malta autentici capolavori.

La cattedrale di San Paolo a Medina è la cattedrale metropolitana dell’arcidiocesi, edificata sul luogo dove il governatore Publio avrebbe incontrato San Paolo naufragato sulle coste dell’isola di Malta durante il viaggio verso Roma. L’edificio attuale fu progettato dall’architetto Lorenzo Gafà e costruito fra il 1697 ed il 1702 per sostituire quello normanna andato distrutto in seguito al terremoto del 1693. La chiesa conserva diverse opere di Mattia Preti, sue cinque tele e gli affreschi dell’abside che illustrano il naufragio del santo, mentre nell’Ottocento si è andata arricchendo di diverse pale d’altere per le cappelle laterali. Di Francesco Grandi, pittore romano allievo di Minardi e grande freschista nelle basiliche papali, direttore dal 1875 della Scuola del mosaico nell’Urbe, si conserva la Discesa dello Spirito Santo percorsa da un acceso pathos in equilibrio tra effetti teatrali di naturalismo e aulica compostezza. DI Domenico Bruschi è custodita sull’altare sinistro del transetto una grande tela con tema dell’Annuciazione. Bruschi, perugino di nascita e formazione, con passaggi a Firenze e in Inghilterra fino alla nomina di membro dell’Accademia di San Luca nel 1905, riprende il soggetto già realizzato per la chiesa della S.S. Annunziata ad Amelia rendendolo allo stesso tempo monumentale e idilliaco.

La Vergine con le mani aperte e il capo chinato, vestita con un manto rosso, azzurro e bianco dagli splendidi panneggi, reca sulle ginocchia un cartiglio; un vaso al centro con sette gigli, simbolo di purezza, la divide dall’angelo Gabriele ammantato da una tunica celeste trapuntata di stelle. In alto, in una nube luminosa e dorata, la colomba dello Spirito Santo e i profeti dell’Antico Testamento, che hanno predetto la venuta del Messia reggono cartigli in ebraico. L’opera, variata da una quieta penombra bloccata in una luce intima e spirituale, è percorsa da una tensione mistica, dal sapore classicheggiante, amplificata dalla pennellata quasi divisionista dell’artista capace di frammentare luce e colore, rendendo atmosfera silente e pathos domestico. Bruschi, ispirato soprattutto all’adesione al vero dall’ambiente romano, come si evince nel Battesimo di Agostino a Milano, del 1860, consegnato alla chiesa di Sant’Agostino a Valletta e filologicamente ricostruttivo nella volontà di ambientare storicamente la scena, in quest’opera, la quale a buon diritto può essere considerata tra i suoi capolavori, trova una personale grazia di disegno e colorito la quale esalta soprattutto la figura stante di Maria, commovente negli accordi timbrici e nella calibrata compostezza della posa. Di Pietro Gagliardi, romano, allievo di Camuccini e Minardi e successivamente professore all’Accademia di San Luca, tra i capiscuola della pittura parietale sacra, infine, autore a sua volta di un’Annunciazione dal sapore settecentesco per la chiesa madre di Tarxien, datata 1874, è presente la tela con la Madonna con Angelo custode.

Interessante la figura di Gagliardi nel contesto artistico maltese. Fu proprio Paolo Pullicino, facoltoso intellettuale, pedagogista di spicco, poligrafo, cultore delle arti, uomo di Chiesa, rivalutatore del Medioevo locale, a privilegiare la pittura romana e il suo artista prediletto fu proprio Pietro, conosciuto nel 1843 a Roma, che cominciò a presentare nell’isola dal 1863, imponendolo alle ricche famiglie nobili e agli ordini religiosi. Questi, agli occhi di Pullicino, incarnava certamente l’ideale dell’artista cristiano soprattutto per il valore pedagogico delle sue opere, dalle iconografie molto studiate ed esplicative, e presto diventò tra i pittori più affermati e seguiti dell’arcipelago. Tra le prime sue opere a giungere, però, abbiamo un’icona moderna realizzata nel 1868 perché andasse a sostituire la Madonna Phileremos nella chiesa conventuale di S. Giovanni a La Valletta. L’opera era arrivata con la bolla di trecento giorni d’indulgenza per chi recitasse le litanie lauretane davanti al dipinto e testimoniava la volontà di Papa Mastai Ferretti del recupero di forme di derivazione medievale nel rapporto tra il pontefice e le opere d’arte, imprimendo ai manufatti una carica di ri-sacralizzazione. Il Papa infatti era solito benedire le opere d’arte in partenza da Roma e concedere indulgenze a chi pregasse di fronte a loro nel luogo di destinazione.

Tornando a Gagliardi lo ritroviamo tra le commissioni per un’altra chiesa, San Gaetano di Thiene ad Hamrun, che è un piccolo scrigno di questo gusto per l’accademismo cattolico romano. Costruito nel 1870 in stile neo-palladiano, con due ecclettiche torri in facciata, e aperto al culto nel 1870, l’edificio sacro conserva un cospicuo numero di opere giunte da Roma e attualmente in fase di restauro. DI Pietro Gagliardi troviamo la pala del santo titolare, nell’abside, la Vergine Maria offre Gesù Bambino a San Gaetano, del 1881 e commissionato dal vescovo Geitanu Pace, dove la Madonna, raffaellesca nell’aspetto e nel portamento, appare in una luce crepuscolare al santo e la costruzione ascensionale in diagonale è limpida come la delicatezza del chiaroscuro, e un’elegantissima Addolorata, memore di reminiscenze compositive seicentesce ma neoclassica nella composta eleganza drammatica, nell’atto di contemplare il Figlio morto e invocare il profondo dolore, inserita in una tormentata e cupa ambientazione notturna. Ritorna Domenico Bruschi nell’Estasi di Sant’Antonio da Padova, 1884,con il santo che r
egge in mano il Bambino inserito in un concerto di angeli in adorazione e preghiera, raffinati e delicati, e infinitamente variati, come la luce sottile rosacea e celeste dello sfondo.

Una commovente tela con Santa Scolastica e San Benedetto è realizzata da Giuseppe di Giovanni. Di Giovanni, pittore di nascita e formazione palermitana ma con influenze napoletane e romane, attua, come già avvenuto per il Sant’Eligio di Mussomeli, una sintesi tra ambientazione storica e classicismo idealizzante, spingendosi, in questo caso, verso una maggior resa psicologica nella tensione ascetica delle due figure. I convenzionali accordi cromatici sono sostituiti da un gioco chiaroscurale più calibrato sul contesto, una spoglia stanza medioevale con tanto di crocifisso e Madonna bizantineggiante in affresco sulle pareti, che conferisce un’aria misteriosa e mistica alle figure. Notevoli anche i tre dipinti di Giuseppe Calì raffiguranti La Madonna del Carmelo, datato 1897, Nostra Signora del Santa Dottrina, datato intorno al 1885, e San Giuseppe, datato 1884. Calì, pittore maltese nato a Valletta da genitori napoletani e formatosi all’Accademia di Napoli sotto la guida di Mancinelli, si può considerare a tutti gli effetti, per formazione, stile e influenze, un artista italiano e le sue opere dimostrano tutta l’aderenza all’ambiente artistico classicista e accademico della penisola, pur virando verso una ricerca cromatica maggiormente rarefatta e sensuale, e composizioni percorse da fremiti romantici.

Le tre pale conservate ad Hamrun, comunque, segnano una tappa importante della sua ricerca nell’iconografia sacra dato che la Madonna del Carmelo è, in assoluto, uno dei suoi primi dipinti a Malta mentre il San Giuseppe è considerato, per le armonie cromatiche, la dolcezza non affettata della posa del santo, nell’atto di levare il Bambin Gesù sopra un muretto, e la nascosta intimità della scena immersa in un clima da novella verista, il suo quadro sacro più riuscito. Sorprende di Calì la tecnica pittorica che prevede una preparazione molto grezza e spessa dove applicare fittamente la vernice e una tavolozza dai colori brillanti e luminosi, morbidissimi nei passaggi tonali, mentre la pennellata spigolosa e ruvida, diversa da quella piana e precisa di scuola minardiana, crea suggestivi accordi di timbri e di tratti. Il suo capolavoro d’arte sacra, invece, si può ammirare nella chiesa dei francescani a Valletta dove la volta conserva l’affresco con l’Apoteosi di San Francesco, una lucidissima e chiara visione ascensionale che recupera, normalizzandola, la forma serpentinata rococò, con Francesco, classico nella posa estatica, circondato da diverse figure di Santi. Sullo sfondo una dolcissima veduta della Basilica d’Assisi, in una luce da aurora, fa da scenario alle monumentali figure allegoriche, cariche di pathos e sensualità. Misteriose e nascoste anche le figure di santi sulle vele. Per rimanere nel campo degli affreschi non si può non tacere dell’impresa pittorica di Attilio Palombi per la chiesa del Naufragio di San Paolo sempre a Valletta, vero cuore religioso e popolare della capitale maltese. Palombi, altro artista romano di ascendenza accademica e classicista, realizza per la chiesa intorno al 1880 l’intero apparato decorativo della navata e dell’abside con le Storie di San Paolo adoperando una solida pittura di storia volutamente retorica e descrittiva, con grande utilizzo di personaggi e figure che creano un clima narrativo movimentato e alle volte chiassoso. Le due prove pittoriche più significative, infatti, sono le due silenziose figure allegoriche della Fede e della Religione, poste in due riquadri del transetto, che si caratterizzano per una compostezza indecifrabile e severa dal sapore quasi metafisico.

Per terminare con il campo delle arti plastiche, infine, non si può non descrivere la statua di San Filippo di Agira realizzata dallo scultore Luigi Fontana per la chiesa di Zebbug. Fontana, altro artista romano della scuola di Minardi, attivo a Roma sotto Pio IX e inserito nelle scelte artistiche di Pullicino, realizza nel 1863 per Malta il suo capolavoro scultoreo, ovvero una statua processionale unica al mondo, a grandezza naturale, di due metri, in argento e del peso di oltre 36 chili, che fonde egregiamente il classicismo accademico con tensioni post-barocche nei panneggi e nel volto, e che emerge con la sua mole maestosa e compatta.

L’arte sacra maltese dell’Ottocento, quindi, deve molto, come lo è stato il Seicento per la presenza di Mattia Preti, agli artisti italiani e, in particolare, agli artisti accademici romani che hanno realizzato per l’isola autentici capolavori i quali andrebbero adeguatamente approfonditi. Molte di queste pitture, impostate neoclassicamente e ravvivate da improvvisi cangiantismi, appaiono animate da accenti di forte partecipazione religiosa. Il recupero neoclassico dell’antico, le reminiscenze barocche e l’apporto delle recenti teorie nazarene, sono state le premesse alla formulazione di un purismo del tutto personale e autentico, e mai banale nella scelta di soggetti e iconografie, con tipologie desunte sia dall’arte rinascimentale che dal classicismo del primo Seicento, bloccate nella piana e dolce pennellata minardiana capace di arrestare la scena in un dolce e meditativo exemplum per trasmettere, in pittura, tutta la chiarezza della dottrina cristiana.

[1] G. Capitelli, Il mercato globale dell’arte sacra romana nell’Ottocento. Pratiche, committenze, intermediari, artisti, in G. Capitelli, S. Grandesso, C. Mazzarelli (a cura di), “Roma fuori Roma”. L’esportazione d’arte moderna da Pio VI all’Unità (1775-1870), Roma 2012, p. 482

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Tommaso Evangelista

Tommaso Evangelista è Storico dell’arte

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