La visita ad limina apostolorum dei vescovi della Corea del Sud, che si conclude oggi, è stata per papa Francesco, l’occasione per tracciare un bilancio del viaggio pontificio compiuto nel paese asiatico lo scorso agosto.
Incontrando stamattina i presuli coreani, il Santo Padre ha espresso l’auspicio che l’evento della scorsa estate possa “rimanere un incoraggiamento duraturo per il mio ministero nella Chiesa Universale”.
Il Papa si è quindi soffermato su tre aspetti particolari della sua visita pastorale: la memoria, i giovani e la conferma nella fede dei fratelli e delle sorelle della Corea.
Un breve accenno è stato fatto da Bergoglio all’evangelizzazione in Mongolia, un paese dove la piccola comunità cattolica è come il classico “granello di senapa” di evangelica memoria (cfr. Mt 13,31-32).
Uno dei “momenti più belli” della visita pastorale in Corea, è stata per il Pontefice, la “beatificazione dei martiri Paul Yun Ji-chung e compagni”, i quali “non solo hanno rafforzato la loro personale relazione con Gesù ma lo hanno anche portato agli altri, senza distinzione di classe sociale, abitando in una comunità di fede e carità come quella dei primi discepoli del Signore”.L’esempio dei primi martiri coreani è “una scuola che può farci diventare dei testimoni cristiani sempre più fedeli, chiamandoci all’incontro, alla carità, al sacrificio”.
Una lezione attuale, quella dei nuovi beati, anche i tempi in cui “la tecnologia e le comunicazioni” favoriscono l’isolamento e indeboliscono le comunità, ha osservato Francesco, che ha poi incoraggiato i vescovi coreani a collaborare con i sacerdoti, i religiosi e i laici delle loro diocesi, perché “parrocchie, scuole e centri di apostolato siano autentici centri di incontro con il Signore che ci insegna come amare e come aprire gli occhi alla dignità di ogni persona ed incontrarci, specie con i poveri, gli anziani e i dimenticati”.
Il Santo Padre ha poi ricordato con “gioia” la sua presenza alla Giornata della Gioventù Asiatica, dove ha riscontrato “l’apertura a Dio e tra loro” dei giovani del più grande continente del mondo.
Parlare con i giovani, ha detto il Papa, significa accogliere la sfida a “condividere la verità di Gesù Cristo in modo chiaro e comprensibile” e a testare “l’autenticità della nostra fede e della nostra fedeltà”. La loro “onestà”, inoltre, “può esserci d’aiuto, quando cerchiamo di aiutare i fedeli a manifestare la propria fede nel loro quotidiano”.
I vescovi coreani sono stati quindi esortati a tornare nel loro paese, confermando nella fede i loro connazionali cattolici e a porsi come “servi”, così come “Cristo è venuto per servire e non per essere servito”. A tal proposito, il Pontefice ha elogiato il “generoso e disinteressato” ministero di questi presuli asiatici, che trova particolare espressione nella loro “proclamazione di Gesù Cristo e nel dono di se stessi, quotidianamente rinnovato”.
Attraverso la “collaborazione” reciproca, il “sostegno fraterno” e la vicinanza ai loro sacerdoti e religiosi, i vescovi coreani potranno quindi diventare “ancora più efficaci nel proclamare Cristo” nel loro paese e in Mongolia, ha aggiunto Francesco, prima della benedizione conclusiva.