Ormai non vi sono dubbi: per molti tumori ci può essere la guarigione definitiva per cui non si può più parlare di “malattie incurabili”. È quanto emerge dal Convegno organizzato dall’Unità Operativa di Ematologia dell’Ospedale Ca’ Foncello, svoltosi a Treviso il 14 e 15 Novembre, dal significativo titolo: Il guarito di neoplasie ematologiche dell’adulto.
Negli ultimi anni si è registrato un progressivo aumento delle guarigioni da malattie maligne del sangue negli adulti. Sono stati infatti presentati dati pubblicati nel luglio scorso sulla prestigiosa rivista Lancet Oncology dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Istituito dei Tumori di Milano, che hanno analizzato la storia clinica di più di mezzo milione di pazienti di tumori ematologici seguiti in vari paesi europei dal 1996 al 2007. Dallo studio è emerso che l’incremento delle guarigioni è stato assai significativo, ma non uniforme, perché diverso a seconda della patologia e della nazione. Inoltre l’aumento della sopravvivenza è stato maggiore nei pazienti giovani che negli anziani oltre i 75 anni.
“I motivi di uno scenario terapeutico più incoraggiante sono molteplici – ha spiegato il professor Filippo Gherlinzoni, direttore dell’Ematologia e promotore del convegno – lo sviluppo della ricerca preclinica e di laboratorio innanzitutto, che ha consentito, attraverso lo studio sempre più straordinariamente preciso delle sequenze genomiche del Dna, di individuare le alterazioni genetico-molecolari alla base della trasformazione in senso tumorale di una cellula normale, intensificando, nella maggior parte dei casi quelle proteine anomale che sono le dirette responsabili della carcinogenesi di un tessuto”.
I risultati incoraggianti “si sono ottenuti grazie alla disponibilità di un numero in costante aumento di farmaci, garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale, sempre più attivi e specifici, in grado di bloccare in maniera mirata l’attività di quelle molecole anomale. Si sta progressivamente arricchendo un armamentario terapeutico che non solo affianca le chemioterapie ma, in qualche caso, le sostituisce”.
Lo stesso Gherlinzoli ha presentato una ricerca che ha riscontrato una percentuale di guarigione del 90% a 5 anni, in una malattia che fino a poco tempo fa era ritenuta molto grave, la leucemia acuta a promielociti, in seguito a trattamento non con chemioterapici, ma con acido transretinoico.
Questi risultati sono in linea con quelli riguardanti molti altri tumori, presentati due mesi orsono ad un Convegno Internazionale organizzato dal professor Paolo Tralongo, primario di Oncologia dell’Ospedale Umberto I di Siracusa.
In quell’occasione, spiegò Tralongo, “importanti studi condotti su numeri molto grandi di persone, hanno dimostrato che le persone curate efficacemente per un tumore al colon o alla cervice uterina possono essere definite guarite dopo otto anni di controlli in cui non si è avuta alcuna ripresa della malattia. Si sale, per ora, a 10 anni per chi ha avuto un carcinoma della tiroide o dei testicoli, il cui tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi oggi è già superiore al 90%. E anche per il cancro al seno sappiamo che ben l’80% delle donne operate per un nodulo di piccole dimensione non ha alcuna ricaduta nei successivi 15 anni: per precauzione, quindi, teniamo la soglia della guarigione a 20 anni, anche in virtù dei molti tipi diversi di carcinoma mammario e consapevoli del fatto che per alcune forme le recidive si presentano a tanti anni di distanza. Un discorso simile può essere fatto per gli uomini con un tumore alla prostata, tenendo presente che viene diagnosticato in un’età più avanzata rispetto a quello al seno”.
Sicuramente occorre stabilire con maggiore precisione la differenza fra paziente “lungo sopravvissuto o survivor e paziente realmente guarito, tenendo presente che alcuni tumori possono dare nuovamente segni di sé dopo molti anni di quiescenza. Definire questo criterio è molto importante non solo da un punto di vista medico, ma anche psicologico. È noto come ciascun paziente, quando viene a conoscenza della sua malattia, pur reagendo in modo diverso a seconda del proprio carattere, con la rassegnazione o con la rimozione o con la speranza o con la ricerca di terapie alternative, dà comunque alla propria vita e al tempo un significato diverso da prima. Pertanto il sapere di essere completamente guarito da una malattia incurabile opera un ribaltamento psicologico con la necessità di un ritorno alla normalità, con tutte le problematiche nuove e i quesiti i dubbi e le perplessità che investono chi esce da una così devastante esperienza. Questo importante aspetto è stato tema di riflessione durante i lavori del Congresso di Treviso nella relazione del professor Tiziano Barbui dell’Ospedale Maggiore di Bologna, che ha sottolineato, tra l’altro, come manchi nei confronti dei pazienti guariti un progetto di reinserimento nella vita lavorativa e sociale.