Da Faenza alle Ande, padre Daniele Badiali martire dei poveri

Si chiude domenica 19 ottobre la fase diocesana del processo di beatificazione del missionario ucciso in Perù nel 1997

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Quando l’uccisero, nel marzo del 1997 sulle Ande peruviane, pensavano che di quel giovane prete barbuto venuto dall’Italia non si sarebbe più parlato. Chissà come reagirebbero nel venire a sapere che, a distanza di 17 anni, padre Daniele Badiali vive ancora nel cuore di tanti e ne ispira le azioni, specie fra coloro che appartengono all’Operazione Mato Grosso (Omg), di cui il sacerdote faceva parte.

E chissà che direbbero, scoprendo che domenica 19 si chiuderà a Faenza la fase diocesana del suo processo di beatificazione. Forse nel cuore dei rapitori, malviventi che volevano chiedere un riscatto, si potrebbe aprire una breccia, l’inizio di un cammino di conversione, se prendessero coscienza di aver stroncato la vita di uno che tanti già considerano santo.

Gemma Angeli, 49 anni, lo afferma senza incertezze: «Il mio cuore sente d’aver conosciuto un santo». Lombarda del lago di Como, Gemma è una volontaria dell’Omg, da 19 anni in servizio in Perù. Interpellata da Credere, accetta di aprire lo scrigno segreto dei ricordi: «Padre Daniele? Un uomo che ha scelto il sacerdozio per offrire la vita a Dio (pur nel dubbio lacerante di non sentirlo), ai poveri e ai giovani, attraverso l’obbedienza a padre Ugo de Censi, il fondatore dell’Omg. Per lui padre Ugo è stato papà, esempio e guida; così come padre Giorgio Nonni ha avuto un ruolo fondamentale nella sua storia vocazionale».

«Gli mancava Dio, viveva per cercarlo. Mentre era in vita, non sempre si riconosceva a Daniele questo desiderio come autentico. Il martirio

ne ha fatto risaltare il valore».

Nel corso della sua esistenza, padre Badiali non ha certo lottato per mettersi in mostra. Prima del seminario si era diplomato all’Istituto professionale di Stato per l’agricoltura di Faenza e di sé diceva: «La mia è una famiglia di agricoltori e io sono cresciuto imparando da loro la

fede semplice della gente di campagna».

Fede solida e concreta: prima i fatti, poi le parole. Anche per questo Gemma andava d’accordo con lui. La volontaria comasca ha operato  per 10 anni nella Casa dei bambini, alla periferia di Lima. In seguito ha gestito una casa di accoglienza per turisti (in appoggio alla Scuola di guide di alta montagna creata dall’Omg sulla Sierra) e ora, dal 2009, è a servizio di nove cooperative femminili di tessitura.

L’incontro con padre Daniele, folgorante, risale al 1987, anno dell’adesione di Gemma all’Omg. «Subito mi affascinò il suo modo di

suonare la chitarra e di saper trascinare i ragazzi nel canto». Nel 1994 padre Ugo de Censi invita Gemma a Ñaña, nella Casa dei bambini, per due anni. «Non era mia intenzione partire, non mi sentivo adatta. Poi mi son detta: “Se non faccio ora qualcosa di buono, quando mai?”».

Detto, fatto. Partita per il Perù, ritrova padre Daniele parroco di San Luis, sulle Ande. E lì ha la possibilità di conoscerlo più da vicino, soprattutto attraverso l’amicizia con Rosamaria Picozzi, originaria di Monza, una delle collaboratrici di padre Badiali. «Il giorno in cui lo sequestrarono, una domenica sera mentre tornavano da Messa, Rosamaria lo stava accompagnando in jeep, insieme ad altre persone. Volevano prendere Rosamaria, Daniele non volle e le disse: “Tu rimani, vado io”». Un gesto che gli è costato la vita. Di lì a qualche anno Rosamaria, nel frattempo sposatasi con Angelo, è tornata in Perù e ora vive là con il marito e quattro figli.

Prima che i rapitori gliela strappassero brutalmente, padre Daniele la sua vita l’aveva già regalata: a Cristo e ai poveri, in particolar modo ai suoi ragazzi. Continua Gemma: «Daniele soffriva perché si sentiva incapace di trasmettere ai bambini l’amore che provava per Gesù. Soffriva e piangeva». Piano piano affiorano tanti ricordi: «Quando veniva da noi per le confessioni, aspettava i bambini con la corona di spine in testa (come segno di penitenza per ricordare la Passione) e la sua amata chitarra in mano. Prima si confessava lui. Erano solamente due sacerdoti e confessavano fino a 700 bambini in una giornata!».

In Gemma padre Badiali ha lasciato ricordi indelebili: «Ricordo molto bene la mia confessione con lui. Mi tolse la corona di spine che portavo, appoggiandola sul suo piede. Leggendo la mia confessione iniziò a piangere e mi disse: “Non scegliere chi amare, devi amare tutti”. Io, guardando i suoi occhi pieni di lacrime pensai: “Padre, questi non sono più i tuoi occhi, sono gli occhi di Gesù”. Ci vedevo una bontà infinita».

Un ultimo frammento di memoria. «A fine febbraio ’97, due settimane prima della sua morte, ricevetti una sua lettera dove scriveva: “Sento che mi tocca morire per permettere ad altri di vivere”. Non ne comprendevo il significato, lo capii dopo la sua morte. Fu una tragedia, un dolore indescrivibile. Noi volontari italiani sentimmo il desiderio di stare più uniti. Come riuscire a dare un senso a una morte tanto crudele? Eppure c’era una forza che ci spingeva a continuare a vivere il cammino ancor più seriamente.

Oggi, quando mi prende lo sconforto, chiedo a Daniele di aiutarmi a essere forte». Un altro segno di come sia viva e feconda l’eredità di padre Badiali lo si trova nel seminario di Bologna. Il vicerettore, don Mirko Santandrea,

è pure vice postulatore della causa di beatificazione di padre Badiali. Spiega: «Il lavoro di indagine è partito nel marzo 2010: in quattro anni sono stati ascoltati più di 100 testimoni fra Italia e Perù e vagliate molti suoi scritti. Ora continua a Roma». E aggiunge: «Padre Daniele è alla radice di tante vocazioni sacerdotali di questi ultimi dieci anni. Una pietra bagnata dal suo sangue è custodita nella Casa Padre Daniele, voluta dal vescovo per la pastorale vocazionale. La processione di domenica 19 sarà l’occasione per pregare per le vocazioni nuove e per la perseveranza nella vocazione di chi è in cammino e di chi è nel ministero. Saranno anche i seminaristi a portare la croce e ad animare la preghiera».

La grande croce made in Perù verrà, alla fine, collocata a Ronco, vicino  alla chiesa, «a ricordare a chi passa (anche nella vicina autostrada) quello che padre Daniele ha spesso cantato nelle sue canzoni e scritto nelle sue poesie: «Non si può incontrare Cristo senza passare dalla croce».

Lo stesso padre Daniele sembra aver prefigurato il suo martirio in una lettera, che – letta oggi – appare profetica: «Guardo Gesù, doveva morire per salvare noi uomini e per difendere Suo Padre. Il diavolo non potrà fare mai nulla contro lo scandalo della Croce. Ecco perché in questo mondo così comodo, così sviluppato e proteso a star bene ci sento il puzzo del serpente antico. Mi sbaglierò? Sono tornato sulle Ande con il desiderio di abbandonarmi a ciò che il Signore vorrà. So solo che devo essere soldato di Gesù in qualsiasi luogo mi trovo. Non ho nulla da difendere di mio. Vorrei solo imparare a morire, staccandomi da ogni desiderio umano».

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Fonte: Credere, giovedì 16 ottobre 2014, pp. 19-21

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Gerolamo Fazzini

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