Trasmettere l’esperienza della Conferenza di Aparecida ai fedeli di tutto il mondo, al di fuori dei confini dell’America Latina. È questo l’obiettivo dell’ultimo libro firmato dall’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, dal titolo La forza del fascino cristiano. Il contributo di un testimone della Conferenza di Aparecida (Itaca, 2014).
Il saggio ripercorre ed attualizza i punti salienti della V Conferenza dell’Episcopato Latino-americano, svoltasi nel 2007, con un ruolo determinante svolto dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio.
A margine della presentazione del volume, avvenuta ieri al Meeting di Rimini, ZENIT ha incontrato l’autore, che ha delineato i punti in comune e le differenze tra le sfide dell’evangelizzazione in America Latina (monsignor Santoro, oltre ad aver preso parte alle sessioni di Aparecida, è stato per anni missionario in Brasile) e in Europa, in particolare in Italia.
Eccellenza, come è nata l’idea di un libro sulla conferenza di Aparecida?
Il libro risponde all’esigenza di far conoscere anche in Italia la Conferenza di Aparecida, un evento di cui, fuori dall’America Latina, si sa poco, al punto che, durante un Sinodo, un vescovo australiano mi chiese: “Who is Aparecida?”, come se si fosse trattato di una donna… La chiave di lettura del libro è proprio l’esperienza della bellezza e del fascino cristiano. Nella conferenza di Aparecida si affrontano tutte le problematiche dell’America Latina, tuttavia, come affermò esplicitamente in un intervento il cardinale Bergoglio, ciò avviene a partire dall’esperienza della fede, a partire dall’essere, dal cuore e dallo sguardo dei discepoli missionari. In questa prospettiva i passi indispensabili sono dati dalla formazione dei discepoli missionari, poi sono proposte varie opzioni tra cui la ripresa e l’approfondimento dell’opzione preferenziale per i poveri.
Potremmo dire che Aparecida, in virtù del ruolo determinante giocato dall’allora cardinale Bergoglio, rappresenti una sorta di manifesto programmatico del pontificato di papa Francesco, che sarebbe iniziato sei anni più tardi?
Il vero documento programmatico di papa Bergoglio è l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, la quale è piena non solo di citazioni di Aparecida ma dello spirito di Aparecida. È un documento pieno dell’esperienza che il cardinale Bergoglio ha fatto, riuscendo a sintetizzare vari elementi e sfide che, talora in modo conflittuale, sono emersi ad Aparecida. Nella redazione Bergoglio ha quindi messo insieme tutti gli stimoli che venivano dalla galassia della Teologia della Liberazione, dalle sètte, dal fenomeno della secolarizzazione, dalla povertà, dalla corruzione, dai diritti umani, dalla dignità della persona: tutto questo è stato posto in un contesto che mette al centro la bellezza dell’essere discepoli di Cristo, persone che hanno incontrato il Signore, ne sono rimaste affascinate e lo hanno seguito, quindi entrano nel vivo dei problemi con un cuore e con uno sguardo nuovo. Aparecida è sicuramente uno dei filoni portanti del magistero del Papa che non rimane un magistero settoriale o ‘locale’ ma è proposto per tutta la Chiesa, poiché approfondisce l’essenziale: l’amore di Cristo che arriva attraverso la morte e la Resurrezione, la Sua misericordia, la vicinanza di Dio a noi.
Qual è la lezione più grande che riceviamo dalla religiosità dei popoli latino-americani?
La prima lezione è quella dell’attuazione del Concilio, un obiettivo assunto da tutte le conferenze dell’episcopato latino-americano, a partire da Medellin (1968), passando per Puebla (1979) e Santo Domingo (1992), per arrivare infine ad Aparecida.
Ciò è stato vissuto in un ambiente dominato dalla fede cattolica e da un marcato entusiasmo ma l’espansione delle sètte è stata come una sferzata, ha interrogato profondamente i cattolici su cosa volessero fare, in particolare per le classi più disagiate, laddove era sorta la Teologia della Liberazione ma, alla fine, molti poveri erano andati a finire nelle sètte.
C’è quindi un interesse a migliorare le condizioni umane e sociali ma soprattutto a riproporre l’annuncio di Cristo nella sua bellezza. La novità nella Chiesa latinoamericana è dovuta all’esperienza che lo Spirito ha suscitato attraverso le nuove comunità, i movimenti, le comunità di base (che pure si ispirano in parte alla Teologia della Liberazione), le comunità parrocchiali, le piccole comunità. Quest’esperienza rimette la fede al centro dell’esistenza, non solo come premessa ma anche come dinamica di aggregazione, di unità delle persone, di attenzione ai drammi della gente. Questa è l’esperienza che rende viva la chiesa in America Latina: l’incontro con il Signore vissuto nella sequela, nella lode, nel canto, nella solidarietà e in questa esperienza è possibile vivere con intensità l’opzione preferenziale per i poveri, che ad Aparecida non è risultata svuotata o immiserita ma intensificata, perché il cuore di Cristo si rende vicino alla gente.
Lei ha un passato da missionario in Brasile: quanto rivive questa esperienza nel suo attuale ministero episcopale?
Appena sono arrivato a Taranto, mi sono trovato davanti a sfide molto grandi. La lezione che ho ricevuto in America Latina è stata innanzitutto la vicinanza alle persone. Una delle prima visite che ho fatto nella mia attuale diocesi è stata in un ospedale, dove ho incontrato tutti i pazienti; in seguito visitai il carcere dove la direttrice mi fece trovare 70 detenuti su 700 ma io volli visitare tutti i singoli settori, nonostante mi fosse stato detto che era pericoloso. Volli salutarli uno per uno stringendo loro la mano attraverso le grate del carcere e dissi loro: “se siete qui qualcosa avete fatto, ma la dignità non la perdete, la potete recuperare in pieno”. Quando scoppiò il caso dell’ILVA, fui a contatto con gli operai in sciopero e presi parte a vari congressi e convegni medici promossi a seguito delle leucemie e di altre malattie procurate dall’inquinamento dovuto all’ILVA e ad altre fabbriche. L’aspetto missionario, quindi, è stato come un lasciar accadere le sfide ma il cuore è quello di comunicare la speranza cristiana, stare vicino alla gente perché incontri la Chiesa non come un insieme di dottrine o di norme ma come una vita dove riverbera la bellezza di Cristo che ti prende e che non ti lascia più.
Quanto alla Chiesa italiana, quali sono i suoi punti di forza?
L’esperienza italiana è notevole in particolare dal punto di vista della catechesi: il cammino catechetico finora compiuto rappresenta una ricchezza, non solo per l’Italia ma anche per altri paesi. C’è poi la valorizzazione di certe realtà legate alla devozione popolare. A Taranto, ad esempio, io riscontro una grande religiosità popolare che si sintonizza fortemente con uno dei capitoli più belli di Aparecida che è la pietà popolare. In Italia ho trovato spesso un’acutezza nell’affondo sulla fede, un’intelligenza della fede, profonda, sistematica, intensa, che svolge al meglio il livello proprio dell’esperienza e quindi della vicinanza ai problemi vissuti dalle persone.