Molti sono i dipinti devozionali dedicati da grandi artisti alla Sacra Famiglia, che nel corso dei secoli offrono spunti di meditazione e sono splendidi ausili per la contemplazione dei fedeli. Tra questi mi sembra interessante proporne alcuni che, in vario modo, mettono in risalto la figura di Giuseppe, come per esempio la splendida tela dipinta da Lorenzo Lotto nel 1533 e conservata oggi a Bergamo nell’Accademia Carrara, dal titolo La Sacra Famiglia con Santa Caterina d’Alessandria[1]. Questa tela, per le dimensioni e per il formato, è ascrivibile nel catalogo delle commissioni private, anche se le ricerche d’archivio non hanno ancora individuato il possibile committente. La scena rappresenta un luogo che è allegoria di uno spazio dell’anima. Santa Caterina d’Alessandria, posta sulla destra nel dipinto e individuabile dai suoi inconfondibili attributi iconografici, quali la corona principesca, la palma del martirio e la ruota dentata, celeberrimo strumento del suo martirio, contempla in preghiera Gesù bambino addormentato. Giuseppe intercede per lei e, spostando con delicatezza il lenzuolino che lo copre, le mostra il Bambino addormentato, mentre Maria, colta in un moto spontaneo di preoccupazione tutta materna, fa cenno allo stesso Giuseppe di non disturbare con gesti bruschi il sonno del figlioletto. In questo dipinto vengono espressi molta familiarità e amore. Lotto in pochi tratti esprime tutto della vocazione di Giuseppe che, chiamato a svolgere il ruolo di custode della Sacra Famiglia, lo interpreta con delicatezza estrema, concedendo nel contempo di poter contemplare anche solo per un istante il volto di Cristo a colei che attraverso le preghiere glielo ha chiesto. Ci tornano alla mente le parole di santa Teresa d’Avila che nei suoi diari scrive: «Qualunque grazia si domanda a san Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuole credere faccia la prova affinché si persuada», individuando così nella figura di Giuseppe non solo il capo della santa Famiglia e il decoro della vita domestica, ma anche il Patrono universale della Chiesa.

Sul tema di Giuseppe protettore della santa Famiglia si può citare anche Il riposo nella fuga in Egitto[2] dipinto da Caravaggio nel 1596, conservato a Roma nella Galleria Doria Pamphilj. In esso sorprendiamo la santa Famiglia in un momento di sosta nel lungo viaggio verso l’Egitto, per sfuggire al complotto di Erode il grande, che si risolse nella strage degli innocenti di Betlemm. Caravaggio rappresenta Maria e Gesù addormentati in un sonno ristoratore, mentre Giuseppe con l’aiuto di un angelo offre loro una musica per accompagnare quel sonno. Diversi studi hanno individuato l’autore dello spartito e il tema dello spartito stesso; si tratta di un musicista franco-fiammingo, Noël Baulduin, e di un suo brano pubblicato nel 1519 su tema del Cantico dei cantici, cantus in chiave di violino del mottetto Quam pulchra es et quam decora. Giuseppe sorregge lo spartito musicale con le mani e, benché stanco anch’egli, veglia il sonno della sposa e del bambino Gesù: questa è la dimensione del ruolo di Giuseppe, che assolve la sua vocazione con una risposta affermativa fatta tutta di tenerezza e di discrezione. Giuseppe è, come ha mirabilmente ricordato sant’Agostino, il padre davidico di Gesù: «Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente»[3]. E in quanto padre egli è vicino al figlio in tutti gli anni della vita trascorsa con lui, tanto che l’arte ha immaginato alcuni di questi momenti, rappresentandoli attraverso capolavori mirabili. Uno di questi è San Giuseppe falegname[4] dipinto intorno al 1640 dal pittore francese Georges de La Tour per i Carmelitani Scalzi di Metz su commissione della nobildonna Elisabeth de Danois-Sernès e oggi conservato al Louvre. È interessante sapere che questo dipinto fu eseguito con lo scopo di adornare le sale della Fondazione per le ragazze di strada, voluta e finanziata proprio dalla nobildonna all’interno del convento carmelitano. Nel dipinto Giuseppe è rappresentato mentre lavora ad un’opera di carpenteria, infatti con un trapano è intento a praticare un foro in un asse di legno. A terra vediamo trucioli sparsi, una mazzetta e uno scalpello, e tra le gambe di Giuseppe scorgiamo la parte terminale del lavoro che sta compiendo: è probabilmente la gamba di un tavolo. Dunque, Giuseppe trasmette al figlio Gesù il mestiere di falegname, insegnandogli i segreti di un innesto. La scena coglie i due in momento di vita domestica, in un tenero incrocio di sguardi, mentre Giuseppe intaglia l’innesto e Gesù gli fa luce con una torcia. Per comprendere meglio questo dipinto, utilizziamo ancora una volta le parole di sant’Agostino: «se tutte le cose sono  create dalla Potenza che si estende  da un’estremità all’altra del mondo con forza e regge l'universo con bontà per mezzo del Figlio di Dio furono creati anche coloro, ai quali egli medesimo si sarebbe sottomesso come figlio dell’uomo. [...] sentano adesso i ragazzi perché ubbidiscano ai genitori e siano loro sottomessi. Il mondo è sottomesso a Cristo, Cristo è sottomesso ai genitori»[5]. Così, mentre Giuseppe insegna a Gesù il suo mestiere, Gesù lo illumina con la potenza della Grazia, senza sottrarsi al ruolo di figlio e senza che Giuseppe rinunci al ruolo di padre.

Dopo i fatti dell’infanzia di Gesù, non si trova più traccia di Giuseppe nei Vangeli, né la sua figura si intravede durante la vita pubblica di Gesù, tanto da indurre a pensare che Giuseppe morisse durante i trenta anni della vita nascosta di Cristo, se infatti fosse stato superstite a quei trent’anni, come Maria, qualche accenno si sarebbe facilmente conservato nell’antica catechesi e quindi anche nei Vangeli che da essa dipendono. Di lui rimase ufficialmente soltanto l’appellativo paterno ch’egli lasciò, insieme col mestiere, a Gesù: «non è costui il figlio del carpentiere?»[6], e ancora «non è costui il carpentiere, il figlio di Maria?»[7].

Mi sembra opportuno, allora, terminare questa breve carrellata di opere d’arte sulla Sacra Famiglia, con un dipinto di Giuseppe Maria Crespi, artista bolognese che nel 1720 circa dipinse per la chiesa parrocchiale di Stuffione, vicino Modena; si tratta di una tela sulla Morte di Giuseppe, dove è rappresentata la santa Famiglia unita nell’atto di confortare il moribondo Giuseppe. La tela rappresenta in questo modo i titoli cari alla devozione di san Giuseppe, che lo invoca come “Conforto dei sofferenti”, “Speranza degli infermi” e “Patrono dei moribondi”. Guardando alle opere d’arte di cui abbiamo parlato e alle altre infinite che la sensibilità artistica ha realizzato, ci sovvengono le bellissime parole scritte da San Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio: « è questo il compito sacerdotale che la famiglia cristiana può e deve esercitare in intima comunione con tutta la Chiesa, attraverso le realtà quotidiane della vita coniugale e familiare: in tal modo la famiglia cristiana è chiamata a santificarsi ed a santificare la comunità ecclesiale e il mondo»  (n. 55).

Nella enciclica Deus Caritas Est, papa Benedetto XVI scrive parole di rara bellezza sul matrimonio come icona dell’amore di Dio: «All'immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l'icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell'amore umano» (n. 11).

Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. 

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NOTE

[1] Per una analisi degli ultimi studi sull’opera di Lotto, cfr. AA.VV. Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento, Milano 1998 (catalogo della mostra).

[2] Cfr. R. Papa, Caravaggio. Vita d’artista, Firenze 2002.

[3] Sant’Agostino, Commento al Vangelo e alla prima epistola di san Giovanni, trad. it. E. Gandolfo, Roma 1968: Omelia 51, p. 49.

[4] Cfr. P. Rosenberg - M. Mojana, Gerorges de La Tour, Firenze 1992.

[5] Sant’Agostino, op. cit., omelia 51, p. 31.

[6] Mt 13, 55.

[7] Mc 6, 3.