Oltre ad essere stato il più significativo impero africano degli ultimi due millenni, l’Etiopia è anche il paese africano più spiccatamente legato alla tradizione cristiana.

Nell’ambito del ciclo di mostre Dalle periferie della Cristianità, il Meeting per l’Amicizia fra i Popoli renderà omaggio a questa straordinaria terra con uno spazio espositivo a Riminifiera, dal 24 al 30 agosto prossimi.

L’Etiopia innalzerà a Dio le sue mani. Immagini di una tradizione millenaria è il titolo della mostra che, in particolare attraverso l’arte, condurrà i visitatori del Meeting in qualcosa che si preannuncia molto più che un viaggio esotico “fuori porta” ma una vera e propria immersione nella profonda religiosità di un popolo con una gloriosa storia alle spalle, un passato recente pieno di tribolazioni ed un presente colmo di segni di speranza.

A colloquio con ZENIT, Giuseppe Barbieri, curatore della mostra, ha anticipato alcuni aspetti particolari dell’iniziativa.

Come sarà strutturata la mostra sull’Etiopia?

La nostra è fondamentalmente una mostra storico-artistica, non etnografica. Esponiamo una novantina di pezzi: icone piccole e medio-grandi (una realtà ancora piuttosto diffusa in Etiopia nel XV secolo), assieme ad una trentina di croci ed ad altri materiali tra cui rotoli magici, tessuti e codici miniati. Cerchiamo di dare un’idea della tradizione e della spiritualità etiopica. Questa mostra è la quarta tappa di una vicenda espositiva che è cominciata nel 2009 a Venezia, a Ca’ Foscari, e che, in maniera rigorosa e anche con l’impiego di nuove tecnologie, ha cercato di avvicinare il pubblico italiano alla civiltà artistica della chiesa cristiana d’Etiopia.

Questa mostra avrà un allestimento piuttosto efficace, potendo godere di uno spazio espositivo molto ampio. Le risorse, però, sono molto minori, di conseguenza ci appoggiamo soprattutto alle raccolte che monsignor Pietro Nonis, vescovo di Vicenza, deceduto poche settimane fa, aveva costituito nella sua vita. Altra importante fonte di questa mostra è una collezione privata italiana costruita con molta passione e molto amore che è stata anche esposta nella rassegna.

La mostra è alla sua quarta tappa, dopo essere stata esposta a Venezia, Pordenone e Vicenza: sono previsti appuntamenti ulteriori dopo Rimini?

Una delle finalità principali è quella di sensibilizzare il pubblico italiano alle esigenze dell’Università Cattolica di Addis Abeba, che è in costruzione e che ha bisogno di fondi, donazioni, risorse. Quindi ci sarà un vasto corner dedicato ai progetti e all’attività di questa università, con la possibilità di raccogliere informazioni e contribuire alla messa in funzione definitiva di questa università, che ha laureato i suoi primi studenti già nel 2012. Non so se poi, per sostenere la causa di questa università, siano previste nuove tappe per questa mostra.

Quali sono, in sintesi, i tratti fondamentali della storia religiosa etiopica?

C’è una tradizione leggendaria che lega l’Etiopia alla Regina di Saba, a un annuncio particolare di salvezza. Sappiamo però da documenti più certi che il Regno Etiopico è il primo nella storia della cristianità a battere monete con il segno della croce e cominciò a farlo intorno al 340 d.C., con un’ottantina di anni d’anticipo rispetto alla moneta romana. Sappiamo che ci sono state vicende molto turbolente, tuttavia anche l’isolamento geografico ha contribuito a mantenere questa tradizione, in una realtà continentale fortemente islamizzata, con cui vi sono stati una serie di confronti piuttosto aspri nel corso dei secoli. Buona parte dell’architettura religiosa etiopica nasce dall’impossibilità dei fedeli etiopici di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme. Questa millenaria tradizione si è mantenuta anche per fattori di isolamento geografico e militare ma non culturale perché, a diverse riprese, l’Etiopia ha sentito il bisogno di entrare in contatto con le altre chiese non solo orientali ma anche occidentali.

Come si caratterizza l’iconologia etiopica?

Le icone normalmente si caratterizzano per dimensioni piuttosto ridotte (le più grandi arrivano a 40-50 cm) e per una forte carica di colore, con la prevalenza del giallo, del rosso e dell’azzurro, ognuno con un forte valore simbolico.

L’icona bizantina di Santa Maria Maggiore, importata nel ‘500 dai gesuiti in terra etiopica, è diventata uno standard per buona parte delle raffigurazioni successive. Le immagini sono tradotte in un linguaggio cromaticamente molto ricco e vivace, con una forte attenzione ai fondamenti della sede. C’è in particolare questa sensibilità per i novissimi, quindi tante discese nel limbo, tante resurrezioni, una frequente raffigurazione dello Spirito Santo che danno anche la percezione di quella che è la temperatura religiosa di questa terra. Si tratta di icone che servivano sia per decorare gli ambienti, sia per usi liturgici molto precisi. Cerchiamo di dare un’idea di questo sia attraverso la scelta delle opere, sia attraverso contenuti multimediali che facciano vedere la dignità e la grandezza di questa tradizione, senza però pretendere di raccontare 1700 anni di storia molto complessi.

Figure ricorrenti nelle icone sono in particolare San Giorgio e la Madonna: l’Etiopia, infatti, viene chiamata “il feudo di Maria”. C’è un radicatissimo culto della Vergine, figura preminente di tutte le raffigurazioni iconografiche etiopiche nel pannello centrale: icone che si articolano in dittici o trittici, in cui di solito al centro c’è sempre la Madonna. C’è una forte attenzione al mistero della Passione e della Resurrezione di Cristo.

La presenza di San Giorgio è dovuta al fatto che nel calendario liturgico etiopico, lo stesso giorno dell’Assunzione di Maria, vi sarebbe stata anche la traslazione del corpo di San Giorgio dalla Persia a Israele, quindi vi è una sorta di nesso privilegiato tra queste due figure. Inoltre, nella tradizione etiopica, Cristo aveva stabilito un patto di misericordia per cui chiunque si rivolgesse a San Giorgio, avrebbe trovato ascolto presso Dio. Vi sono anche santi locali e deliziosi spaccati di naturalismo africano, con animali piuttosto interessanti: i draghi con cui combatte San Giorgio sono molto simili ad alligatori, e sono ripresi con un certo realismo.

L’Etiopia è un paese che, come avviene in gran parte del resto d’Africa, sta vivendo la sua modernizzazione. Come si sta manifestando questo fenomeno?

L’Etiopia è un grande paese, il secondo paese più popoloso dell’Africa, ed ha una popolazione in costante crescita, per metà sotto i 20 anni, quindi è un paese molto giovane. Dopo tutte le tribolazioni vissute alla fine dello scorso secolo, attraversa un momento di stabilizzazione, quindi di costruzione di uno stato laico ma rispettoso tanto delle radici cristiane copte ed ortodosse quanto di quelle islamiche (i musulmani sono più di un terzo della popolazione) che cerca di trovare una via di sviluppo anche economica. Un paese di 90 milioni di abitanti è interessante anche in termini di mercato: può consumare dei prodotti anche nella misura in cui entra in un circolo di produzione e di scambio. È un paese che sta avvertendo l’esigenza di formazione scolastica ed universitaria e di una nuova classe dirigente. L’Etiopia ha bisogno di essere formata invece che con l’uso delle armi o con la sopraffazione reciproca, attraverso un circuito più corretto di informazione culturale e scientifica.