È il racconto di Gesù che si ritira nel deserto per quaranta giorni ad aprire ogni anno la Quaresima. E nella sua prima predica, padre Raniero Cantalamessa si avventura anch’egli in questa valle desolata che la tradizione identifica con il cosiddetto Monte della Quarantena, per scoprire cosa Cristo abbia fatto in questo tempo e spiegare quali siano i temi presenti nel racconto evangelico applicabili alla vita dei cristiani di oggi.
Il primo è, appunto, quello del deserto. Il predicatore della Casa Pontificia ricorda che, nella storia, sono tanti gli uomini che hanno voluto imitare “questo Gesù che si ritira nel deserto”: in Oriente, “si ritiravano nei deserti dell’Egitto o della Palestina”; in Occidente, “in luoghi solitari, monti e valli remote”. Ma questo invito a seguire Gesù nel deserto – spiega – è rivolto a tutti, non solo a monaci ed eremiti. Con la differenza che mentre quest’ultimi hanno scelto “uno spazio di deserto”, noi dobbiamo scegliere “almeno un tempo di deserto”.
Questo tempo – sottolinea il predicatore - lo offre la Quaresima, un’occasione donata dalla Chiesa per abbandonare le attività quotidiane e “rientrare nel proprio cuore” da quel “vagabondaggio che ha portato fuori strada”, come affermava Sant’Agostino. E quando si parla di cuore non si intende solo un organo vitale del corpo umano, bensì “il luogo spirituale, dove uno può contemplare la persona nella sua realtà più profonda e vera, senza veli e senza fermarsi ai suoi lati marginali”. Pertanto l’espressione di Sant’Agostino - "rientrare nel proprio cuore" - significa “tornare a ciò che c’è di più personale e interiore in noi”.
Purtroppo “l’interiorità è un valore in crisi”, osserva il predicatore. La causa è la nostra “composizione” di carne e spirito, che fa sì che siamo “come un piano inclinato” verso “l’esterno, il visibile e il molteplice”. “Siamo perennemente ‘in uscita’, attraverso quelle cinque porte o finestre che sono i nostri sensi”, afferma Cantalamessa; sempre “chiusi fuori” da quel castello interiore di cui parlava Santa Teresa d’Avila, e “prigionieri dell’esteriorità”. Stando all’esterno si è esposti però “al pericolo quasi inevitabile dell’ipocrisia”. “Lo sguardo di altre persone ha il potere di far deviare la nostra intenzione, come certi campi magnetici fanno deviare le onde”, avverte il cappuccino, “il sembrare prende il sopravvento sull’essere”. Invece è “l’interiorità” la via “a una vita autentica”. Per questo Gesù invita a digiunare e fare l’elemosina di nascosto e a pregare il Padre “nel segreto”.
Proprio il digiuno è il secondo grande tema. Una volta era inteso come “il limitarsi nei cibi e nelle bevande e l’astenersi dalle carni”. Questo digiuno alimentare – dice Cantalamessa - è tuttora valido e altamente raccomandato, “ma non è più il solo e neppure il più necessario”. Esiste oggi un’altra forma “più significativa” per digiunare come Cristo e si chiama sobrietà. Cioè “privarsi volontariamente di piccole o grandi comodità, di quanto è inutile e a volte anche dannoso alla salute”. “Rinunciare al superfluo”, “frenarsi dal ricorrere sempre alla soluzione più comoda”, è infatti molto “più efficace che imporsi delle penitenze artificiali”.
Ancor più necessario – sottolinea padre Raniero – è “il digiuno dalle immagini”, che attraverso tv, stampa, pubblicità, “lasciamo entrare a fiotti” dentro di noi. “Molte di esse sono malsane, veicolano violenza e malizia, non fanno che aizzare i peggiori istinti che ci portiamo dentro”. “Sono confezionate espressamente per sedurre” e danno “un’idea falsa e irreale della vita”; pertanto, ribadisce il cappuccino, “se non creiamo un filtro, uno sbarramento, riduciamo in breve tempo la nostra fantasia e la nostra anima a un immondezzaio”.
Un altro di questi “digiuni alternativi” è quello dalle “parole cattive”. Non solo le parolacce, ma anche e soprattutto “le parole taglienti, negative” che “seminano discordia e sospetti” in una famiglia o una comunità, che “hanno il potere di far chiudere ognuno in se stesso, di raggelare, creando amarezza e risentimento”. Insomma quelle “chiacchiere” da cui più volte ha messo in guardia Papa Francesco, perché “mortificano”, nel senso che “danno la morte”. “Una parola può fare più male di un pugno”, rimarca infatti padre Cantalamessa.
Passa poi al terzo elemento della sua riflessione: la lotta di Gesù contro il demonio. E parte anzitutto da una domanda: “Esiste il demonio?”. Per molti la risposta è negativa. “La prova principale dell’esistenza del demonio nei Vangeli non è nei numerosi episodi di liberazione di ossessi”, precisa il predicatore, ma il fatto che Gesù sia tentato da esso nel deserto. Anche tanti santi “hanno lottato nella vita con il principe delle tenebre”, non come “dei Don Chisciotte contro mulini a vento”, essi “erano uomini molto concreti e dalla psicologia sanissima”.
Chi trova assurdo credere nel demonio, vuol dire che passa la vita “nelle biblioteche o a tavolino”. Al demonio, invece, “non interessano i libri, ma le persone”. Il predicatore della Casa Pontificia smonta, quindi, tutte le teorie di coloro che parlano “con sicurezza e superiorità” di satana senza mai aver avuto a che fare con la sua realtà ma solo con tradizioni culturali, religiose, etnologiche. “È una falsa sicurezza – afferma – è come chi si vantasse di non aver alcuna paura del leone, adducendo come prova il fatto che lo ha visto tante volte dipinto o in fotografia”.
È poi “del tutto normale e coerente” che non creda nel diavolo, chi non crede in Dio. Sarebbe tragico il contrario. Eppure – osserva con rammarico padre Raniero - è ciò che avviene nel nostro mondo tecnologico e industrializzato che “pullula di maghi, stregoni di città, occultismo, spiritismo, dicitori di oroscopi, venditori di fatture, di amuleti, nonché di sette sataniche vere e proprie”. Il diavolo, insomma, “scacciato dalla fede, è rientrato con la superstizione”.
Tuttavia, la cosa più importante che la fede cristiana ci dice “non è che il demonio esiste, ma che Cristo ha vinto il demonio”. “Gesù è l’unico Signore”, afferma il cappuccino, mentre “satana non è che una creatura ‘andata a male’”. Un antico padre della Chiesa diceva infatti: “Satana, dopo la venuta di Cristo, è come un cane legato sull’aia: può latrare e avventarsi quanto vuole; ma, se non siamo noi ad andargli vicino, non può mordere”.
L’obiettivo del diavolo è, perciò, tentarci e attirarci a sé, come con Gesù nel deserto. “Oggi tutto lo sforzo del demonio è di distogliere l’uomo dallo scopo per cui è al mondo che è quello di conoscere, amare e servire Dio”, afferma Cantalamessa. Il demonio mira all'uomo e prova a “distrarlo”. E lo fa in maniera astuta, non comparendo di persona “con tanto di corna e odore di zolfo” - “sarebbe troppo facile riconoscerlo” – ma servendosi “delle cose buone portandole all’eccesso, assolutizzandole e facendone degli idoli”. Quindi denaro, piacere, sesso, mangiare, bere, che da mezzi diventano “la cosa più importante della vita”, fino a distruggere “l’anima e spesso anche per il corpo”.
Infine, padre Cantalamessa arriva al cuore della sua riflessione: “Perché Gesù, dopo il suo battesimo, si recò nel deserto?”. Certo non per essere tentato da Satana: “Non ci pensava nemmeno”. “Vi andò per pregare”, “per sintonizzarsi, come uomo, con la volontà divina”, dice. È questo, dunque, “lo scopo principale della nostra Quaresima”: pregare, stare in intimità con il Padre. È “il segreto della felicità e della pace in questa vita”, chiosa il cappuccino: “Cosa desidera di più un innamorato se non stare da solo, in inti mità, con la persona amata? Dio è innamorato di noi e desidera che noi ci innamoriamo di lui”. Allora, conclude padre Raniero, “Gesú ci aspetta nel deserto: non lasciamolo solo in tutto questo tempo”.