Alleanza per lo sviluppo tra Europa e Africa

È ora che la UE abbandoni le politiche neocoloniali e pensi al territorio africano non come area da sfruttare ma come grande opportunità per lo sviluppo.dei popoli

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Il fenomeno del land grabbing – ovverosia l’acquisizione da parte di soggetti stranieri pubblici o privati di grande fette di territori fertili dei paesi in via di sviluppo –  sta marginalizzando i piccoli produttori e conseguentemente facendo crescere il numero delle persone che patiscono la fame (si pensi alla esponenziale crisi alimentare del 2007/2008). Inoltre, sta producendo scompensi sociali per le popolazioni colpite, creando forti ripercussioni sulla stabilità delle aree geografiche interessate che potrebbero riflettersi anche a livello internazionale.

I fattori alla base del fenomeno dell’accaparramento delle terresono differenti. Tra questi si è menzionato il business concernente la produzione di biocarburanti legato, in particolare, alla nuova politica energetica intrapresa da Usa e UE che, per mezzo degli incentivi statali, spingono le imprese verso una frenetica corsa alla terra. La messa in atto di tali politiche ha, di fatto, accelerato questa corsa da cui è derivata una vertiginosa impennata nella messa a coltura di piantagioni da cui poter estrarre oli combustibili, nonché una ovvia e repentina crescita dei prezzi dei cereali che, per la prima volta nella storia, si sono agganciati a quelli del petrolio.

Nel continente africano pare che siano circa 40 milioni gli ettari di terra interessati dal fenomeno e, da uno studio attento e approfondito effettuato dall’associazione RE:COMMON, emergerebbe che oltre Cina, India, Brasile, Qatar, Arabia Saudita e Corea del Sud, anche gli Stati Europei hanno effettuato grandi investimenti nel settore dell’agribusiness. Tra i maggiori investitori troviamo aziende italiane che, estendendo i loro investimenti su un territorio di circa 2 milioni di ettari, sono seconde solo a quelle britanniche.

Così dal Mozambico all’Etiopia, passando per la Repubblica del Congo, per giungere al Senegal senza tralasciare il Madagascar, tra banche, imprese assicurative, grandi utilities energetiche e giganti dell’abbigliamento, tantissimi sono i competitors tricolore che negli ultimi anni hanno varcato la soglia del continente africano. In Mozambico, ad esempio, opera l’Avia, una società per azioni biellese attiva nel settore tessile e presente dal 2008 nel paese, che ha creato una joint venture – l’AVIAM Ldt – con imprenditori localiper la messa a coltura della jatropha, una pianta da cui si ricava olio vegetale. Tale progetto, dal costo totale di 16 milioni di dollari, andrebbe ad insistere su un terreno di 10.000 ettari ubicato nel distretto costiero di Nacala-a-Vela, zona altamente strategica per le esportazioni in Europa dal momento che dista solo 35 km da uno dei principali porti della regione.

Oltre l’Avia, tra le aziende impegnate nella coltivazione di jatropha in Mozambico sono presenti la Bioenergy Italia Spa, la Mondaca Energy Group Srl, la MedEnergy Global nonché la Cir Group di Carlo De benedetti. In Etiopia, invece, è presente la Fri-El Green Power S.p.A. una società che opera nel settore delle biomasse e che nel 2006 ha costituito una sussidiaria, la Fri-El Green Power Srl, rinomata per aver messo in funzione la seconda centrale termoelettrica più grande in Europa, quella di Acerra.

La società, arrivata in Etiopia nel 2007, con l’intento di utilizzare le fertilissime terre della valle del fiume Omo per la produzione di olio di palma, si è stabilizzata al confine col Kenya al fine di utilizzare i porti kenioti per esportare i prodotti in Europa. Anche in Senegal, nella regione di Ndiaël ubicata nella zona nord occidentale del Paese, operano imprese italiane fra cui la Tampieri Financial Group e la SenEthanol SA che, per mezzo della loro controllata Senhuile SA, si sta adoperando per la messa a punto di un progetto che, mediante una concessione governativa, prevede l’acquisizione di 20.000 ettari di terra al fine di produrre biocarburanti per il mercato europeo.

La concessione richiamata è stata rilasciata nel 2010 per mezzo della stipula di un contratto di affitto cinquantennale col quale si concedeva alla SenEthanol questo appezzamento di territorio dalle ampie dimensioni per la messa a coltura di patata dolce dalla quale ricavare biocarburante, da immettere anch’esso sul mercato europeo. Tale concessione, che ha generato furibonde tensioni tra forze di sicurezza e comunità locali e che è costata la vita ad un paio di persone, venne sospesa nel 2011 dall’allora presidente senegalese Abdoulaye Wade, per poi essere ripristinata nel 2012 dal nuovo Presidente Macky Sall che con un decreto presidenziale ha provveduto a riapprovare e rilocalizzare il progetto. In Senegal è anche presente la TRE- Tozzi Renevable Energy, società del gruppo Tozzi Holding, impegnata nella coltivazione di jatropha nella regione di Tambacounda.

Ebbene, la disamina che precede, impone di domandarsi se tali progetti  che interessano vaste e fertili aree del  continente apportino un efficace ed effettivo contributo allo sviluppo delle comunità locali o se gli stessi non provochino gravi stravolgimenti, sia di natura sociale che ambientale. Una risposta dovrebbe tener conto di numerosi fattori, ivi compreso il dato che all’interno di queste aree, che vengono opportunamente recintate, scorrono falde acquifere o corsi d’acqua ai quali le popolazioni non possono più accedere, e che ciò inevitabilmente crea disagi agli autoctoni che, vivendo di pastorizia e agricoltura, vengono privati di ogni possibilità di sussistenza e, pertanto, costretti a patire la fame.

Sarebbe pertanto opportuno che l’Europa modificasse questo approccio dal sapore neo coloniale e sfruttasse la sua posizione geografica per costituire un’alleanza strategica e cooperativa con il continente africano. Un partenariato capace di creare un vero e reale sviluppo che consentirebbe alle imprese europee di realizzare investimenti in grado di apportare benefici effettivi all’Africa e da cui, per l’effetto, potrebbero derivare nuove opportunità anche per l’Europa. Diversamente operando, si contribuirebbe a generare quelle masse di diseredati che, per liberarsi dal giogo della fame, abbandonano i loro villaggi di origine per trasferirsi ai margini delle città o, peggio ancora, per intraprendere i ben noti “viaggi della speranza” verso l’Italia e verso l’Europa, con i tristi e tragici epiloghi che fenomeni del genere ci hanno costretto a conoscere.

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Dalle pagine di questa rubrica si è già trattata la questione del land grabbing. Vedi su: http://www.zenit.org/it/articles/la-corsa-alle-terre-preludio-di-fame-e-conflitti-sociali

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Filippo Romeo

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