L’affascinante tematica su quella misteriosa entità che è la nostra coscienza ormai non è più di esclusiva competenza di discipline tradizionali come la teologia e la filosofia; dinnanzi al progresso delle discipline afferenti allo studio del sistema nervoso umano, in particolare del cervello, si presentano infatti nuove evidenze e stimolanti prospettive di riflessione.
Ad approfondire il tema è stato padre Alberto Carrara, L.C., in occasione della conferenza “La coscienza tra mente e cervello”, che si è tenuta lo scorso 11 marzo nell’ambito del Master in Scienza e Fede all’Ateneo Regina Apostolorum. Padre Carrara è coordinatore del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica (GdN), Fellow della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani e docente di filosofia presso il Regina Apostolorum. A lui abbiamo chiesto al prof. Carrara quale sia la rilevanza di questa tematica.
“I problemi relativi alla coscienza e all’identità personale – ha spiegato padre Carrara – si trovano oggigiorno in primo piano tra le questioni più dibattute sia a livello mediatico (radio, televisione, internet, reti sociali, quotidiani, settimanali, riviste di ogni genere e categoria, mezzi di comunicazione sociale), sia nei settori più specialistici delle scienze cognitive, della filosofia e delle neuroscienze”.
“Diversi autori colgono una stretta dipendenza tra l’anima e la coscienza tanto che, da certe evidenze empiriche a livello neuroscientifico, deducono quanto segue: L’anima è nel cervello. Radiografia della macchina per pensare, titolo del libro bestseller di Eduardo Punset; oppure: Noi siamo il nostro cervello, titolo dell’immensa opera di Dick Swaab. Questi sono soltanto alcuni dei numerosi libri che vogliono ridurre l’essere umano al suo organo cerebrale, al cervello”, ha chiarito il professore.
“L’uomo comune – ha proseguito – cioè l’uomo della strada, noi tutti, associamo subito al nome Terry Schiavo o Eluana Englaro, immagini di esseri umani ‘ridotti’, ‘costretti’ da gravi forme di traumi neurologici, a uno stato denominato, ancora in modo del tutto indegno ed improprio: ‘stato vegetativo’, abbreviato in VS (dall’inglese: vegetative state)”. “Tutti noi siamo stati testimoni, più o meno diretti e partecipi, dei numerosi dibattiti di bioetica relativi a questo disordine della coscienza”, ha aggiunto Carrara, e “sappiamo di persone in stato di coma, un’altra forma di grave disordine della ‘coscienza’ o in ‘stato di minima coscienza’ (MCS), per non parlare della ‘sindrome dell’imprigionato (lock-in syndrome)”.
Parlare di “coscienza” diviene allora “critico” – ha chiarito il prof. Carrara – “in particolare quando in gioco c’è la propria pelle e quella delle persone che ci stanno accanto e a cuore: parenti, amici e conoscenti”. “Definire cosa sia la ‘coscienza’, cosa si intenda per ‘coscienza’, se essa davvero definisce completamente la persona umana, tanto che se persa si può affermare ‘già non c’è più la persona X’, ‘già se n’è andata’, etc.: tutto ciò diviene estremamente coinvolgente poichè in prima persona, almeno potenzialmente, ci sono proprio ‘io’, come persona, non un ‘io’ generico, sperduto nell’iperuranio”.
“Queste domande mi coinvolgono perchè mi definiscono, almeno parzialmente – ha ribadito il Coordinatore del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica – mi toccano poichè un giorno potrei trovarmi anch’io in una tale situazione”. Il tentativo di assoluto riduzionismo della ‘coscienza’ al mero ambito neuroscientifico – ha soggiunto – viene ben descritto dal neurochirurgo italiano Massimo Gandolfini nel suo libro: I volti della coscienza. Il cervello è organo necessario ma non sufficiente per spiegare la coscienza, che così viene recensito e descritto: “Da sempre il tema della coscienza ha affascinato l’uomo e impegnato le sue energie speculative. Se la filosofia per secoli ha detenuto il primato sulla riflessione, oggim le nuove scoperte sul funzionamento celebrale tendono a ridurre la coscienza a un ‘prodotto’ dell’organo cervello. Ma la conoscenza del come non implica automaticamente la comprensione del perché”.
“Massimo Gandolfini – ha spiegato padre Carrara – invita quindi a considerare tutta la complessità del comportamento umano e rovesciare il nostro sistema di comprensione della coscienza: il punto di partenza non sono i correlati biologici neurali, ma la natura dell’esperienza e del vissuto, individuale ed unico”. Ha infine chiarito che “dalla definizione e considerazione di tale peculiarità umana, dipenderà l’intera visione antropologica. Allora la domanda filosofica classica: ‘Chi è l’uomo?’, può ben venir declinata in: ‘Che cos’è la coscienza?’”.