In vista del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, in programma il prossimo ottobre, è proficuo riflettere su alcuni temi presenti esplicitamente o indirettamente sul questionario proposto alle varie diocesi del mondo. Una delle piaghe che flagella silenziosamente la famiglia è l’abbandono delle persone anziane, un fenomeno che assume un carattere di assoluta novità rispetto al passato.
Gli anziani hanno sempre rappresentato una risorsa vitale per la vita della famiglia, perchè erano considerati i saggi della casa. Qualunque questione delicata per la vita della famiglia, qualunque decisione per il futuro dei giovani, veniva sottoposta al parere dell’anziano, il quale valutava la questione in virtù della sua esperienza di vita e del discernimento frutto del suo cammino di fede.
L’autorità della famiglia passava sicuramente dalla figura paterna, ma era coaudivata dalla saggezza dei nonni. I nonni non possedevano una discreta pensione con cui mantenere tutta la famiglia, ma erano depositari di una saggezza per illuminare, accompagnare e sostenere le giovani generazioni.
Oggi questa collaborazione tra nonno e padre, e tra nonna e madre, per l’educazione dei figli è andata sempre più perdendosi a causa della divisione delle famiglie. Assistiamo molto frequentemente a mariti e mogli che sono diventati genitori, ma hanno mantenuto giudizi e rancori verso il loro padre o la loro madre. Questo distacco tra genitori e figli si riflette automaticamente nel rapporto tra nonni e nipoti. Se un figlio vede fredezza e disinteresse del proprio padre verso il suo nonno, egli sarà condotto quasi naturalmente ad avere gli stessi tiepidi sentimenti verso il suo nonno.
L’amore per i nonni non è qualcosa di innato, ma si sviluppa e si comunica attraverso la testimonianza dei genitori. Altre sono le situazioni in cui la vita frenetica e le migrazioni conducono quasi a dimenticarsi dei genitori. Vi sono tante situazioni nelle quali i ritmi lavorativi e gli impegni familiari sottraggono tempo alla relazione con i familiari anziani. Vi è una eccessiva attenzione verso i figli, anche laddove non sempre vi sia una necessità oggettiva, e sempre una maggiore trascuratezza verso gli anziani.
Questo non vuole dire che bisogna trascurare i figli per occuparsi dei genitori, ma sicuramente una giusta misura ed un nuovo equilibrio deve essere ritrovato. La riconoscenza di un figlio verso un padre, la gratitudine di un nipote verso il nonno, sono un amore che devono e possono superare le barriere del tempo. Domandiamoci se la scarsezza di tempo non rimandi a qualcosa altro di più profondo, e la sorda dimenticanza verso i genitori o i nonni non nascondi un malessere sul senso della vita o su questioni irrisolte vissute precedentemente.
Fino a quando ci sono i nipoti da crescere, le case dei nonni sono frequentate giornalmente. Quando i figli diventano più grandi, gradatamente si riducono il numero delle visite ai nonni. Se i nonni sono autonomi la frequentazione molte volte prosegue con regolarità, ma quando i nonni iniziano ad avere i primi acciacchi o malattie più serie, questo viene percepito come un peso da vivere.
Questo modo di pensare ed agire dimostra la scarsità della fede nella vita eterna. Nel credo recitiamo: “credo la vita eterna, credo la risurrezione della carne” ma quando abbandoniamo un anziano professiamo un credo apostatato, affermando di credere solo nell’esistenza di questa vita terrena e professando l’incredulità che quel corpo malato sarà trasformato in un corpo glorioso ad immagine di Cristo Risorto.
Questo sostegno dei figli non significa escludere la figura della moglie o del marito anziano, che sono e restano il primo sostegno per il coniunge. Ma laddove venisse a mancare la forza e le possibilità del coniuge è doveroso l’intervento dei figli.
Una persona anziana dovrebbe alloggiare ad una vicinanza dalla casa del figlio proporzionale al suo stato di salute e alla sua capacità motoria e cognitiva. Laddove è possibile, un familiare non completamente autonomo deve essere accolto nella casa di un figlio e vivere la comunione familiare. Quanto preziose sono queste famiglie per la vita e la missione della Chiesa: i figli che accolgano nella loro casa una mamma e un papà non autosufficenti, rendono una luminosa testimonianza ai loro figli. La fede non si comunica a parole, ma con i gesti della dedizione, del servizio e dell’accoglienza. Ed anche se poco pubblicizzata, questa forma di amore viene percepita anche all’esterno della vita familiare, assumendo una chiara testimonianza di fede.
Uno dei temi, che è tanto caro a Papa Francesco, è quello di denunziare con forza la “cultura dello scarto” delle persone anziane. Il futuro delle nostre società passa proprio dall’accoglienza degli anziani, per dare alle nuove generazioni una testimonianza di fede e di speranza nella vita eterna.
Accogliere un anziano significa riconoscere la sacralità della vita umana, destinata all’eternità per l’amore infinito di Dio. Una persona anziana e malata diventa una occasione da sfruttare per servire la vita anche quando questa apparentemente non ha più nulla da dare. E quanto gioia, pace e forza dona il servizio ai familiari malati. Al contrario quanta angoscia, inquietudine e rammarico porta a trascurare gli anziani.
Relegare un anziano nella casa di riposo, deve essere una scelta estrema da attuare solo quando l’anziano richiede cure non praticabili dentro casa. Oggi assistiamo ad un ricorso eccessivo, e delle volte esagerato, dell’utilizzo delle case di cura, perchè l’anziano è considerato un ingombro da sopportare, perchè sottrae tempo e spazio alla nostra vita.
La vita conserva il suo valore anche quando perde l’efficentismo, la capacità di produrre, la forza di muoversi, di parlare e di ascoltare. Un sorriso, una stretta di mano, sono gesti percepibili ad ogni essere vivente, perchè la sola presenza affettuosa e silenziosa costituisce una testimonianza di amore.
Per tutte queste ragioni, la pastorale della famiglia nei riguardi delle persone anziane dovrebbe ripartire dal reimpiantare una cultura dell’accoglienza, facendo ricordare che Cristo non solo è vicino ad ogni malato, ma questa vicinanza si tramuta in impersonificazione: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25, 36).