In questo fascicolo affrontiamo uno dei problemi principali della questione sociale oggi: il nodo del fisco. Crediamo con ciò di parlare di una questione di grande attualità, da tutti sentita in modo acuto, al centro di polemiche politiche ed anche di impasse programmatiche, perché tutte le belle parole della politica spesso si scontrano con il muro della questione fiscale che sembra oggi più grande di ogni ricetta per risolverla.
Se si elencano tutte le problematiche connesse con la questione fiscale si rimane sbalorditi dalla sua pervasività. Famiglia, natalità, lavoro, occupazione, risparmio, consumo e produzione, competitività internazionale, delocalizzazioni, welfare, sistema previdenziale, equità e conflitti sociali, vincoli europei per i Paesi membri … ogni elemento della vita sociale è direttamente o indirettamente connesso con il fisco e con le politiche fiscali. Ed anche in questo campo si notano i grandi cambiamenti intervenuti con la globalizzazione, sicché i livello delle politiche fiscali nazionali sembra oggi insufficiente, a fronte di spostamenti finanziari, imprenditoriali e di risorse umane aventi carattere ormai globale. Più che collaborare tra loro, gli Stati si fanno una guerra fiscale, per attirare capitali o industrie o per essere attraenti per ogni forma di investimento. Spesso l’abbassamento delle tasse con questi scopi è fatto a scapito della tutela dei diritto del lavoro o mediante lo smembramento del welfare. Gli organismi fiscali internazionali non riescono a mettere ordine e i paradisi fiscali, il cui pesò è ben più rilevante di quanto si pensi, incrociano evasione, elusione e riciclaggio.
Il dibattito sul fisco è molto vivace soprattutto in Italia, dove c’è la maggiore pressione fiscale in Europa, che serve però soprattutto a coprire la spesa corrente, senza che il debito pubblico sia ridotto. E’ per questo che mancano le risorse per gli investimenti produttivi, per la riduzione della tassazione sul lavoro, per il potenziamento del mercato interno. Ne risultano penalizzate le imprese, i lavoratori e le famiglie. In Italia la questione fiscale è connessa quindi con la riforma dello Stato, in tutte le sue dimensioni, riforma cui finora nessuno è riuscito a mettere mano. Senza un profondo progetto ispirato al principio di sussidiarietà, che riconsideri quanto lo Stato deve fare e quando devono invece fare altri soggetti, a minor costo e con qualità maggiore, non si risolverà la questione fiscale e con essa la questione sociale.
Ma come riformare lo Stato senza una coerente visione di come oggi può essere formulato il bene comune con le sue necessità? Serve quindi un ripensamento più ampio della stessa riforma dello Stato, un ripensamento delle relazioni comunitarie stesse, per capire il senso profondo delle condizioni entro le quali diventa ragionevole pagare le tasse.
Un tempo il problema fiscale era considerato prevalentemente dal punto di vista della morale individuale. La problematica si concentrava sui casi in cui era doveroso pagare le tasse e dove si poneva la soglia oltre la quale diventava possibile una dissociazione etica. Oggi, senza perdere questo aspetto dato che in fondo tutto si decide nel cuore dell’uomo, va visto anche come un problema politico, di organizzazione della vita comunitaria in modo “fiscalmente sostenibile”, ossia dove la fiscalità è coniugata secondo criteri di sussidiaretà e di solidarietà ed è concepita in modo favorevole alla famiglia, alla procreazione, alla vita oltre che allo sviluppo economico. Il fisco diventa uno dei mezzi principali per l’organizzazione di una vita degna, con riferimento non solo alla giustizia commutativa, ma anche alla giustizia sociale generale e alla logica del dono.
Le politiche fiscali sono fortemente direttive dei comportamenti e della mentalità dei cittadini e delle famiglie. Il fisco può premiare certi atteggiamenti e sanzionarne o disincentivarne altri. In Italia, per esempio, è classico l’esempio della famiglia. Oggi il fisco italiano incentiva le convivenze di fatto e penalizza il matrimonio. Incentiva la vita da single e penalizza le famiglie numerose. La politica fiscale manifesta sempre un’ideologia costruttiva della società in un modo o nell’altro. Occorre far aumentare la consapevolezza che gli strumenti fiscali non sono solo tecnici, ma esprimono diverse visioni del bene comune in conflitto tra loro. Questo aiuterebbe ad evitare gli approcci superficiali e qualunquistici, le accuse generiche di evasione senza analizzare i contesti istituzionali del fisco in quel particolare settore di attività umana. C’è bisogno di uno sguardo d’insieme sulla questione fiscale, ed è qui che può svolgere il suo ruolo utile la Dottrina sociale della Chiesa.
Fin dalla Rerum novarum (1891) di Leone XIII, la questione sociale è stata collegata con la questione fiscale. La prima enciclica sociale sosteneva il dovere dei cittadini di pagare le tasse, come contributo responsabile al bene comune, come atto di giustizia commutativa e distributiva, come contributo al pagamento di quanto oggi vengono chiamata i beni pubblici, senza dei quali una comunità politica non può dirsi tale. La Rerum novarum non esprime una cultura fiscale statalista. Non assegna al solo Stato il compito della redistribuzione della ricchezza, né gli assegna il monopolio delle funzioni di welfare. Non erano tempi di statalismo, quelli, anche se l’enciclica leonina, nonostante il noto contenzioso pratico e teorico della Chiesa con lo Stato, non ebbe remore a parlare anche dei doveri dello Stato. Non ne fece, però, il centro della questione fiscale. Ecco perché all’imposizione fiscale la Rerum novarum pose anche precisi limiti, che vanno di pari passo con il dovere di pagare le tasse da parte dei cittadini. Le tasse non devono essere eccessive, non devono essere lesive dei diritti del cittadino e della famiglia, non devono fiaccare la responsabilità individuale. Già nella Rerum novarum c’era l’idea della sussidiarietà fiscale, una imposizione che sorga e si legittimi dal basso piuttosto che dal vertice di uno Stato che imponendo le tasse impone se stesso alla società civile. Dicevo all’inizio che oggi lo Stato italiano adopera gran parte del gettito fiscale per pagare le spese correnti, e siccome anche questo non è sufficiente si indebita pure, non per investire, ma per mantenere la sua immensa macchina. La cosa poteva forse avere una plausibilità ai tempi della società industriale e dello Stato-macchina pesante, ma non più oggi.
Importanti aggiornamenti sulla questione fiscale sono arrivati puntualmente dalle successive encicliche sociali, sempre però secondo la linea di una fiscalità non statalistica. Sono note le critiche della Centesimus annus allo Stato assistenziale, costoso e inefficiente che non impiega in modo consono quanto reperito con il fisco. Fino ad arrivare alla Caritas in veritate di Benedetto XVI che accoglie l’idea della sussidiarietà fiscale, una concezione che rompe definitivamente con la centralità dello Stato in questo campo.
Questo numero del Bollettino è aperto dagli interventi di Ferdinando Leotta (“La Dottrina sociale della Chiesa e il fisco”) e di Luigino Bruni(“Il paradosso dell’imposta tra munus e donum”). Sono due interventi di ampio respiro, che ci permettono di inquadrare in profondità l’argomento. Viene spiegato quale sia il senso vero dell’ imposizione fiscale, le sue finalità e i suoi limiti. Ne risulta anche la grande attualità degli spunti della Dottrina sociale della Chiesa in questo campo. Segnalo qui anche l’ampio saggio di Daniel Passaniti, pubblicato nella sezione Rapporti dal Mondo, che dall’Argentina coglie l’occasione per fornirci il quadro teorico fondamentale delle politiche fiscali in ordine al bene comune.
Il Bollettino entra poi nel merito delle ripercussioni delle politiche fiscali sulla famiglia e sulla scuola. L’intervista a Matteo Lepore è incentrata sulla scuola e in pa
rticolare sulla libertà di educazione. Giuseppe Brienza presenta e discute di “quoziente familiare” e di “fattore famiglia”. Che le politiche familiari indirizzino i comportamenti è documentato dai due Zoom di Giuseppe Brienza e di Giorgio Mion. Nel primo (“Per le coppie di fatto Imu ed altre tasse meno care”) si mostra un caso evidente di penalizzazione della famiglia tramite la modulazione della tassa sulla casa. Nel secondo (“Cosa manca al 5×1000 per essere veramente per il bene comune”) si analizza il caso italiano del 5 per mille per mostrarne tutti i limiti, se non viene inquadrato in una corretta visione del bene comune e del ruolo non centrale ma sussidiario dello Stato.