Educare “al femminile e al maschile” è rimasto per millenni qualcosa di scontato. Che un bambino e una bambina debbano ricevere due approcci diversi, sia in famiglia che a scuola e in tutte le altre agenzie educative era un dato che non sembrava poter essere mai messo in discussione.
Oggi non più: l’ideologia del gender, secondo la quale ogni persona, sin dalla più tenerissima età, avrebbe il diritto di scegliere il proprio orientamento e il proprio comportamento sessuale, ha preso piede prima nel dibattito accademico, poi, anche a livello di politiche educative. Ne è la prova il recente documento dell’UNAR, al centro di un’accesissima controversia.
È giunto dunque il momento di tornare a definire le differenze sessuali e, soprattutto di rivalutare la bellezza e la meraviglia dell’incontro tra la maschilità e la femminilità.
Il tema è trattato nel saggio di Tonino Cantelmi e Marco Scicchitano, Educare al maschile e al femminile (Edizioni Paoline, 2013, pp. 192), presentato ieri sera presso l’Oratorio Piccolo di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) a Roma.
Al dibattito, oltre ai due autori, hanno presenziato la psicologa Chiara D’Urbano, il critico letterario Andrea Monda, la giornalista Costanza Miriano, e il viceparroco di Santa Maria alla Navicella, padre Maurizio Botta, C.O.
Come spiegato da Cantelmi e dalla D’Urbano, siamo in primo luogo di fronte ad una sfida dell’ideologia contro la scienza, ed in particolare la biologia. Come avviene in tutte le ideologie, c’è il tentativo di sottomettere la realtà ad un’idea.
La dottoressa D’Urbano ha riportato il caso emblematico di un asilo svedese dove i giochi sono gli stessi per bambini e bambine, nelle favole loro raccontate non vi sono più principi e principesse ma personaggi dall’identità sessuale indefinita e vi si raccontano bislacche storie, come quella delle due giraffe (un maschio e una femmina? due maschi? due femmine?) che vogliono adottare un coccodrillo (naturalmente, anch’egli dal sesso indefinito…). In questo asilo, persino i pronomi “lui” e “lei” sono stati banditi e sostituiti dal generico epiteto di “amico”.
Il professor Andrea Monda, docente di religione ed esperto di letteratura anglosassone, ha citato tre grandi autori cristiani del ‘900: Gilbert Keith Chesterton, Clive Staples Lewis e John Ronald Reuel Tolkien.
Questi tre illustri narratori inglesi hanno tutti scritto splendide pagine sulla preziosità della differenza sessuale, producendosi in acute e originali considerazioni sul rapporto uomo-donna.
<p>Parlando del divorzio, Chesterton si meraviglia di come gli americani potessero eccepirlo per “incompatibilità di carattere”. Essendo uomo e donna sempre inevitabilmente incompatibili di carattere, lo scrittore inglese si domanda come mai “non abbiano tutti divorziato”.
Da parte sua Lewis affermava: “Uomo e donna si completano vicendevolmente, come il bottone e l’occhiello, come il violino e l’archetto”.
Di Tolkien è infine rimarchevole la vicenda di un personaggio femminile minore del Signore degli anelli, Eowyn che ama Aragorn non corrisposta e che reagisce a questo dolore, assumendo una condotta volitiva da “femminista” ante litteram che, però, la condannerà alla frustrazione. Sarà l’amore di Faramir a salvarla, recuperando tutta la sua femminilità.
Ciò che è letale per l’umanità, è dunque la divisione, mentre la distinzione è ciò che conferisce la vita. Il rischio più grande, quindi, per la società di oggi è proprio quello della indistinzione, a partire da quella tra i sessi.
È poi intervenuto l’altro coautore del libro presentato, il dottor Marco Scicchitano, premettendo che il lavoro di uno psicologo si articola su schemi e rappresentazioni, che non hanno nulla a che vedere con gli stereotipi.
Sarebbe un madornale errore metodologico, dunque, considerare l’appartenenza sessuale come uno stereotipo. Il sesso, infatti, è innanzitutto una componente biologica, che, di conseguenza, plasma indelebilmente la psiche e l’apprendimento.
È significativo, ad esempio, che, fin dall’ottava settimana di gestazione, i testicoli dell’embrione maschio producono testosterone, “maschilizzando” così il cervello.
Già dall’infanzia, dunque, bambini e bambine manifestano comportamenti eminentemente maschili o femminili, cosicché i primi saranno attratti da “movimento e rumore”, le seconde dalla qualità delle relazioni umane.
Nel nostro desiderio sessuale, ha concluso lo psicologo, è iscritta la nostra apertura alla vita, possibile soltanto attraverso corpi e menti diversi.
Secondo Costanza Miriano, la diversità maschile/femminile è qualcosa che ricorda la “dinamica trinitaria”. Se lo specifico femminile è il “bisogno dello sguardo” e della relazione, l’uomo è più portato alla risoluzione dei problemi.
Anche l’autrice di Sposati e sii sottomessa si è soffermata sul problema dell’indifferenziazione tra i sessi che, in definitiva, si risolve quasi sempre su un’esaltazione dell’approccio femminile: ad esempio, quando viene lodato il padre che cambia il pannolino al figlio neonato, quando è risaputo che la donna è in grado di farlo meglio.
Traendo le conclusioni della tavola rotonda, padre Maurizio Botta è tornato sulla sfida ideologica di questi tempi. Chiunque appoggiasse la teoria del gender, ha detto il sacerdote, non farebbe altro che rinnegare tutta la sua storia familiare, come se i suoi progenitori fossero stati tutti dei “disadattati”.
A fronte di tale scollamento tra il “mondo virtuale” e la realtà delle persone, è necessaria dunque una “simpatica e goliardica resistenza attiva”. In altre parole, l’avversario va sfidato a colpi di intelligenza e di ironia – proprio come faceva ai suoi tempi, il succitato Chesterton – facendo sempre leva sulla grande forza dell’amicizia, che fa crescere le idee e il bene e che può davvero cambiare il mondo.