Solo poche ore e si concluderà il 2012. Poche ore ancora per fare bilanci, per ricordare gli avvenimenti importanti, per prepararsi a dare il benvenuto al nuovo anno e salutare quello passato, così intenso, così pieno, così difficile.
Poche ore e i cristiani reciteranno il Te Deum,per ringraziare solennemente Dio, perché qualsiasi cosa sia accaduta loro negli ultimi dodici mesi, anche negativa, è comunque un Suo dono, un segno della Sua volontà che si manifesta nella vita umana.
È una certezza questa, radicata nel cuore di ogni fedele. Non si spiega altrimenti come i cristiani di una regione ferita come la Siria siano ancora capaci di dire grazie al Signore per l’anno passato e di tenere viva la speranza per quello futuro.
Lo conferma una fonte dell’Arcidiocesi siriana di Jazirah in una nota inviata a ZENIT, in cui racconta che “come i cristiani in ogni parte del mondo anche noi cristiani di Siria celebriamo la Natività del nostro Signore e il nuovo anno. Speriamo che il Cristo non possa mai dimenticare la gente siriana e tutta l’umanità per portare loro pace e giustizia”.
Questa zona storica della Siria, corrispondente all’antica Mesopotamia, dopo anni di serenità, vive oggi una situazione molto difficile. “Il nostro futuro è incerto – racconta la fonte – la gente teme che i combattimenti in molte parti della Siria potrebbero spostarsi un giorno nella nostra zona, portando morte e distruzione”.
Un sentore questo che è diventato quasi realtà quando, il 9 novembre 2012, i combattenti si sono spostati a Ras Al-Ayn, una piccola città al confine con la Turchia e a circa “un’ora di auto” dalla sede dell’Arcidiocesi di Jazirah in Hassaké. “Il 10 dicembre 2012 – si legge nella nota – abbiamo fatto un giro a Ras Al-Ayn con Padre Touma Qas Ibrahim ed è stata dura vedere la sua Chiesa di San Tommaso e le altre chiese della città vuote, danneggiate o addirittura distrutte”.
“Questa era una cittadina molto tranquilla, la gente ha vissuto in pace per molti anni, ma ora è una città di morte”. “La Chiesa ha fatto un grande sforzo fino ad oggi per creare armonia fra tutte le comunità, soprattutto tra arabi e curdi” spiega la fonte, raccontando del recente incontro ecumenico di preghiera per la pace presieduto dai sacerdoti cristiani nella Cattedrale siro-ortodossa di San Giorgio a Hassaké.
Per l’Arcidiocesi di Jazirah è stato questo “un evento significativo, che ci ha permesso di raggiungere sia arabi che curdi”, i quali “non avevano mai avuto un’occasione di stare insieme dal marzo del 2011”, da quando, cioè, sono cominciati i problemi in Siria. “Queste persone hanno partecipato alla veglia, hanno pregato con noi e hanno dato un vero messaggio di pace all’umanità”.
Sempre secondo quanto riferito nel comunicato, la regione di Jazirah ha accolto, inoltre, un gran numero di famiglie sfollate, venute a vivere nelle città di Hassaké e Kamishly. “Queste due città sono diventate ormai un rifugio sicuro per decine di migliaia di famiglie, fuggite dalle zone di combattimento, tanto che la popolazione di entrambe è quasi raddoppiata”. “Preghiamo quindi che queste due città possano stare lontane dal conflitto, per evitare una catastrofe umana definitiva” si legge.
La guerra in Siria, infatti, è ancora in corso, e il prezzo di morte, distruzione, miseria e dolore è spesso a carico di persone innocenti. L’assenza “locale e internazionale” di uno spirito di riconciliazione “ha portato il paese ad una situazione di caos totale” dichiara ancora la fonte di Jazirah: “La Chiesa in Siria, come tutte le altre comunità, ha sofferto tanto per questa guerra così empia”.
In aggiunta a tutte queste difficoltà, il popolo siriano è costretto a sottostare ad altri problemi: inflazione, povertà in crescita, vendetta, carenza di forniture di cibo e carburante, clima freddo, rapimento di bambini, uomini e anziani. E ancora: immigrazione, più di 12 ore di energia elettrica a breve taglio, rischi nel viaggiare, connessione ad internet quasi sempre assente e molto altro ancora.
“La Chiesa cattolica siriana cerca di fare il massimo per ‘riparare’ a questi danni, per ottenere la pace, per la carità verso i poveri e per ricostruire le Chiese di Dair Al-Zor, Ras Al-Ayne e Homs” conclude la nota.
Tutto questo non è una denuncia, né un grido di disperazione, ma solo la descrizione della tragica vita di un Paese dove la speranza cristiana resta accesa come un faro in una tempesta. E la richiesta è solo una: “Chiediamo solo le vostre preghiere incessanti per la pace in Siria. Speriamo che le immagini di distruzione spesso trasmesse dai media tocchino il cuore dell’umanità. Intanto auguriamo a tutti i nostri fratelli di proseguire nel successo e nella prosperità in questo nuovo anno che sta per iniziare”.