In un messaggio del 23 aprile 2006 Osama Bin Laden attaccava ferocemente gli intellettuali “eretici”, termine con il quale si riferiva ai liberi pensatori, e in modo particolare a quelli residenti nella sua terra natale, l’Arabia Saudita, autorizzandone esplicitamente l’uccisione: «Lo statuto dei liberi pensatori e degli eretici che diffamano la religione, deridono o si prendono gioco del nostro nobile Profeta – su di lui la pace e la benedizione di Dio – è stato ben esposto dall’imam Ibn Qayyim al Jawziyya che ha affermato chiaramente che il reato commesso dal libero pensatore è il peggiore dei reati e che il danno da lui arrecato restando in vita tra i musulmani è un danno gravissimo, quindi deve essere ucciso e il suo pentimento non deve essere accettato».
Lo sceicco di al Qaeda faceva anche dei nomi, tra i quali spiccava quello di Turki al Hamad, giornalista delle principali testate arabe, autore di saggi e romanzi in cui ha denunciato senza mezzi termini le cause del terrorismo.
In primis l’istruzione impartita nelle scuole saudite: «Di recente ho pubblicato Profumo di paradiso (Saqi Books), un romanzo sull’11 settembre e sui 15 terroristi sauditi. Quando si studiano le loro biografie, ebbene da dove escono? Escono dalle istituzioni ufficiali, dalle scuole, dai centri ufficiali. Sono studenti indottrinati a un’ideologia religiosa politicizzata. Ogni materia, anche scientifica, viene insegnata citando imam vari. Ma la scienza è un fatto, la religione un altro».
Anche nella sua trilogia Fantasmi di un vicolo abbandonato (Saqi Books), pubblicata anche in inglese, al-Hamad riprendeva i temi scottanti che gli stavano a cuore, ovvero i tabù della società saudita: la sessuofobia, l’integralismo islamico, la verità scientifica, il razionalismo e la libertà religiosa. «Ho scritto questa trilogia per tentare di smuovere la situazione».
Uno dei suoi personaggi arrivava a esclamare: «Allah e Satana sono due facce della stessa medaglia!». Nonostante le minacce e le continue denunce da parte dell’integralismo islamico al-Hamad aveva deciso, con coraggio, di rimanere nel proprio paese per combattere la battaglia dall’interno.
Una voce coraggiosa, e per questo scomoda, a tal punto da diventare l’ennesima vittima di Twitter e della censura saudita. La scorsa vigilia di Natale le autorità saudite, su ordine del Ministro dell’Interno il Principe Muhammad ibn Naif, hanno arrestato al-Hamad con l’accusa di oltraggio al Profeta dell’islam.
Il contenuto dei tweet incriminati è ancora visibile sul suo account personale @TurkiHAlhamad1. Si tratta principalmente di attacchi all’estremismo islamico “che ci ha distratti con le sue insensatezze affinché dimenticassimo le questioni importanti”. Nulla di nuovo anche nei tweet successivi in cui paragona l’estremismo islamico con il nazismo: “Il neo-nazismo è in ascesa nel mondo arabo e ha le sembianze dell’islamismo”.
Ciononostante conclude con una nota positiva: “ma l’età del nazismo è finita da tempo e il sole sorgerà ancora”. Il messaggio che ha portato all’arresto è probabilmente il seguente: “Il nostro nobile Profeta è venuto per correggere il credo di Abramo, l’amico di Dio, ora è giunto il momento in cui è necessario che qualcuno corregga il credo di Maometto figlio di ‘Abd Allah”.
Altri tweet di al-Hamad chiariscono meglio la sua posizione nei confronti della religione e servono a contestualizzare il messaggio appena riportato: “Il Profeta è giunto con una religione umanitaria, ma alcuni l’hanno trasformata in una religione disumana”; “Tutte le religioni invitano all’amore… pratiche e rituali non indicano certo quel che cela il cuore”.
Si tratta di un’inequivocabile critica all’ideologia dell’estremismo islamico che trova nell’ideologia wahhabita l’esempio più evidente e atroce. L’ideologia wahhabita è alla base di tutti i movimenti jihadisti e qaedisti nel mondo islamico. Quello di al-Hamad non è un attacco a Maometto né all’islam in sé e per sé, ma una forte e chiara critica a chi usa la religione per scopi politici ed egemonici.
Il suo arresto è avvenuto quasi in contemporanea a quello dell’attivista saudita Raif Badawi, gestore del sito Saudi Arabian Liberals. Lo scorso febbraio un altro giovane giornalista e poeta saudita, Hamza Kashghari, è stato arrestato con l’accusa di apostasia a seguito di una serie di tweet. Non credo sia un caso.
Al-Hamad, Badawi e Kashghari hanno in comune non solo il fatto di essere liberi pensatori, ma tutti e tre hanno apertamente criticato la politica della famiglia reale. Nel dicembre 2011 al-Hamad aveva criticato, sempre su Twitter, il principe ‘Abd al-‘Aziz ibn Fahd: “Signore, Lei non sa nulla di nulla, ma sa gestendo uno Stato. Grazie alle vostre politiche ci stiamo dirigendo verso una sicura rovina”.
L’arresto di al-Hamad è una triste conferma alle sue previsioni. Il Regno saudita che ha diffuso a tutti i livelli l’interpretazione più rigida dell’islam tanto da vedere la nascita di un Bin Laden, tanto da applicare regolarmente le pene corporali previste dal diritto islamico, tanto da non volere riconoscere alle proprie donne i diritti più elementari, non può certo accettare il libero pensiero e la critica costruttiva. Così facendo continuerà a nutrire il cancro dentro di sé che la porterà al suicidio e a soccombere alla propria ideologia.
Decenni di ideologia estremista insegnata a scuola e diffusa dai pulpiti delle moschee non si cancellano in un giorno, occorrono anni. Purtroppo gli arresti della vigilia di Natale non indicano né un’inversione di tendenza né una prospettiva di maggiore apertura. Quel che più preoccupa è che l’Occidente sta ancora una volta a guardare nella convinzione che tutto ciò non lo riguardi, che in primo luogo vadano salvaguardati gli interessi finanziari ed economici e solo in seconda istanza i diritti dell’uomo.
Forse quando comprenderà che la vita, la libertà, i diritti umani sono universali e che devono essere garantiti a tutti, senza distinzione alcuna, sarà troppo tardi e noi avremo perso la parte migliore del mondo arabo-islamico.