La ricerca di un Natale diverso, ricco di pace e di speranza

Una riflessione sulla Solennità del 25 dicembre a firma di monsignor Bruno Forte

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Riprendiamo di seguito una riflessione sul Natale firmata da monsignor Bruno Forte, arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto (in Abruzzo), e pubblicata sull’edizione di domenica 23 dicembre 2012, pp. 1 e 16, del quotidiano Il Sole 24 Ore.

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In questa vigilia di Natale vorrei fermarmi su una figura chiave della scena della natività: la Madre. Chi è Maria nel suo profilo di donna, di credente, di testimone del Messia? Come ha vissuto il suo rapporto con Dio e le sue relazioni umane? Proverò a rispondere a queste domande secondo quanto la discrezione dei Vangeli consente di farlo, convinto che la conoscenza di Maria può aiutare tutti – credenti e non credenti – a vivere non banalmente questi giorni speciali.

Maria è una donna ebrea dalla fede profonda.Il suo nome viene dall’ebraico “Myriam” o “maryam”. Fra le possibili etimologie c’è “mara”, “signora”, o “mi-ram”, col significato di “eccelsa, desiderata”. Già nel nome si avverte come ella sia stata attesa dai suoi, desiderata e amata. Quando concepisce il Figlio, Maria è una almah, termine usato da Isaia 7,14 (“la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”), la cui traduzione corretta è “giovane donna”, una donna cioè di poco più di 14 anni. Poiché la nascita di Gesù va fissata intorno al 6 a.C. – almeno due anni prima della morte di Erode, che aveva ordinato la strage dei bambini dai due anni in giù – la nascita di lei può essere collocata fra il 22 e il 20 a.C. Al tempo degli eventi pasquali del Figlio Myriam aveva dunque fra i cinquanta e i cinquantacinque anni.

La versione greca della Bibbia, detta dei Settanta e considerata ispirata dall’ebraismo della diaspora, tradusse l’ebraico almah con la parola greca parthénos, cioè “vergine”, aprendo così la strada alla lettura credente del testo come profezia della nascita verginale di Gesù (cf. Mt 1,23). Maria è una giovane ebrea credente, familiare al linguaggio delle Scritture: così, nel racconto dell’annunciazione le risultano immediatamente comprensibili i riferimenti ai Profeti (come nel saluto angelico, in cui risuona il testo del profeta Sofonia 3,14-17: “chàire, esulta, piena di grazia…”),. È una credente che osserva scrupolosamente la Torah, come mostra ad esempio la sua andata al Tempio per celebrare la purificazione rituale dopo il parto. La spiritualità di Myriam è quella dello “Shemà”, cioè dell’“ascolto” obbediente del Dio unico, perché parli quando e come vorrà alla sua serva e compia in Lei le sue opere: in questo Maria si colloca al vertice della fede biblica dell’attesa e dell’accoglienza della Parola divina.

Lo si coglie anche nella scena dell’adorazione dei pastori, dove Maria è laprotagonista, silenziosa e raccolta, che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Luca 2,19). L’espressione richiama un atteggiamento caro alla tradizione ebraica: il ricordare associando fra loro gli eventi, in cui si manifestano i misteriosi disegni dell’Altissimo. In ciò consiste propriamente lo studio della Torah e il greco “symballousa” – “meditando”, ben richiama quest’atteggiamento di confronto, intelligenza, giudizio, decisione. Maria è la donna credente e riflessiva, che si abbandona all’Eterno con serietà radicale e pensosa. È questo peraltro il modello di femminilità nella tradizione ebraica: la donna sa tenersi in prossimità dell’invisibile Voce e questo la colma della gioia di sapersi amata dall’Altissimo.

Maria è la donna della gioia, testimoniata dal suo Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Luca 2,46-48). Il suo atteggiamento interiore è ben espresso da questo canto, che richiama i Salmi degli “anawim”, i “poveri” che confidano solamente in Dio e si aprono con docilità alle Sue sorprese. Alla scuola di Maria è possibile imparare il primato della dimensione contemplativa della vita, quel continuo desiderare, ascoltare e accogliere l’iniziativa del Signore, lasciandosi amare e condurre docilmente da Lui.

La scena della visitazione mostra, poi, quali siano le caratteristiche dell’agire della giovane Myriam: ella è capace di un amore attento, concreto e tenero. Maria non ha bisogno di richieste per capire il bisogno della cugina Elisabetta, avanzata negli anni e in attesa di un figlio: il suo sguardo, nutrito d’amore, ha capito il da farsi al di là di ogni comunicazione verbale. “Ubi amor, ibi oculus”: dove c’è l’amore, c’è lo sguardo che vede! All’attenzione Maria unisce la concretezza: non indulge a sogni di bene, agisce. L’espressione “in fretta” (v. 39) dice la sollecitudine e la premura con cui concretizza la decisione di andare in aiuto alla madre di Giovanni. Commenta Sant’Ambrogio: “La grazia dello Spirito Santo non tollera indugi” (Expositio in Evangelium secundum Lucam, 2,19)!

L’agire di Maria, poi, è pervaso della tenerezza, propria dell’amore che non crea distanze, che avvicina, anzi, i lontani, facendoli sentire accolti e riempiendoli della gioia di scoprirsi oggetto di dono gratuito. “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (vv. 43s). Nella vita di Gesù la Madre ha avuto un ruolo decisivo. La tradizione rabbinica sottolinea che la Torah rivelata al Sinai fu data prima alle donne, poiché senza di esse la vita ebraica non sarebbe stata possibile, e invita i mariti ad “ascoltare” le proprie mogli, poiché è per loro merito che le benedizioni raggiungono la famiglia.

Maria è la madre ebrea che educa il figlio, a lei sottomesso (cf. Luca 2,51), secondo la Legge del Signore. Madre attenta e tenera, vive le attese, i silenzi, le gioie e le prove che ogni mamma è chiamata ad attraversare. Gesù morente si rivolge a sua Madre e al discepolo che egli ama. Alla morte del Figlio abbandonato sulla Croce, segue il sabato santo della prostrazione e dell’attesa, in cui la tradizione cristiana ha riconosciuto un ruolo unico a Maria, la Vergine Madre di Gesù, come attesta il titolo di “Sancta Maria in Sabbato”. Mentre il Figlio giace morto nel sepolcro, la Madre custodisce la fede, affidata alle mani del Dio fedele che compirà le Sue promesse. Il sabato santo di Maria parla ai pellegrini del grande sabato del tempo: nell’ora del silenzio di Dio, nello stupore dolente davanti al Dio crocifisso e abbandonato, Maria ci invita a fidarci di Dio. Proprio così, questa giovane donna ebrea, questa “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio”, parla alle nostre difficoltà, alle sfide del nostro difficile presente, alla solitudine dei cuori, e ci introduce in un Natale diverso, dove il vero regalo da chiedere e da offrire è la pace e la speranza del cuore.

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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