La sabbia nelle tasche

Un buon film sul fenomeno dell’immigrazione in cui vince il valore insostituibile della buona coscienza del singolo

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di Franco Olearo

ROMA, sabato, 22 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Al commissariato di Genova è trattenuto un giovane marocchino, accusato di furto in un centro commerciale della città. Il suo nome è Abdel Rahim ed è uno dei tanti clandestini arrivati in Italia dopo un lungo camminare attraverso un’Europa che se a tratti lo respinge, talvolta anche lo aiuta.

Il film ribadisce il valore insostituibile della buona coscienza del singolo, l’unico modo per affrontare e risolvere problemi complessi come l’immigrazione

Voglio essere profumo, il precedente lavoro della Gpg Film, distribuito in proprio, è stato visto in 70 sale cinematografiche del Nord e ne sono stati venduti 2000 DVD. Realizzato grazie all’impegno di volontari, si è ispirato alla storia vera di un seminarista morto prematuramente che seppe trasmettere gioia ed entusiasmo con la sua fede a tutti i giovani che l’hanno conosciuto.

Di fronte a questa voglia di comunicare e trasmettere valori cristiani non possono non venire in mente gli esordi di un’altra piccola casa di produzione, la Sherwood Pictures , fondata nel 2002 dai fratelli Alex e Stephen Kendrick , entrambi pastori alla chiesa battista di Sherwood in Albany, Georgia. Iniziarono a fare film impiegando solo volontari fino a riscuotere un notevole successo nazionale (ma anche internazionale nella versione in DVD) con Fireproof, la storia di una coppia che sta per divorziare ma che ritorna unita grazie alla fede.

La Scherwood costituisce un chiaro segno di speranza perché quando i film sono realizzati professionalmente, il pubblico non ha nessuna remora ad accogliere messaggi cristiani quando sono espressi in un linguaggio a loro accessibile.

“La sabbia nelle tasche” non parla esplicitamente di fede come nel precedente lavoro (se c’è una persona che si vede pregare inginocchiato verso la Mecca è il protagonista, il mussulmano Abdel Rahim), ma di buona coscienza umana, di attenzione verso l’altro, quindi di un atteggiamento universale, per chi lo vuole coltivare, che costituisce comunque anche la base irrinunciabile per una solida fede cristiana.

Sono ormai molti i film che hanno coperto il tema dell’immigrazione. Solo per citare i più recenti: Terraferma (2011) di Emanuele Crialese, efficace più nelle immagini che nella storia, Il sole dentro (2011) di Paolo Bianchini, realizzato specificamente per un pubblico di ragazzi, il delicatisssimo Io sono Li (2011) di Andrea Segre sull’immigrazione cinese ma anche il magnifico Welcome (2009) del francese Philippe Lioret che affronta il problema delle immigrazioni clandestine senza ideologie ma con grande sensibilità umana e da questo punto di vista è molto vicino a questo film di Filippo Grilli, che vuole soprattutto mostrare, invitando a comprendere,ancor prima di giudicare.

“La sabbia nelle tasche” inizia con una sequenza molto comune nelle nostre città: un immigrato viene portato al Commissariato perché accusato di furto.

Abdel Rahim, impegnato a discolparsi, racconta la sua storia. Inizia in questo modo ciò che cinematograficamente è un flashback ma per lo spettatore è un invito a compiere un viaggio della conoscenza, a comprendere chi sono e come vivono queste persone che incontriamo nelle nostre strade con il volto spesso triste e che parlano male l’italiano.

Il film non vuole affrontare il tema delle responsabilità che ci sono dietro il fenomeno migratorio, non vuole disquisire se sia giusto o meno bloccare le immigrazioni clandestine ma risale alle origini di tutto: si pone “semplicemente” dalla parte del singolo, di questo Abdel Rahim, buon padre di famiglia, ragioniere senza lavoro, che deve trovare un modo per sfamare i suoi figli.

Anche nel resto del racconto, che si snoda fra Spagna, Francia e Italia, non sono le strutture che sono buone o cattive, ma tutto si risolve o si ferma in base all’atteggiamento della singola persona: di quella generosa che lo accoglie o di quella indifferente che cerca di sfruttarlo. Alla fine il messaggio esce molto chiaro: i grandi problemi si risolvono con la buona volontà e la generosità delle singole persone.

Il film ha un ampio respiro (spazia su quattro paesi), lo stile è asciutto ed essenziale per far parlare i fatti più che le parole (non ci sono certi toni enfatici presenti nel precedente lavoro). La sceneggiatura è solida ma probabilmente ciò che manca per arrivare a un lavoro realmente professionale è la recitazione di alcuni protagonisti e il casting.

In una sequenza iniziale. quando Abdel Rahim si trova ancora in Marocco e deve andare dal boss locale per chiedere il permesso di emigrare clandestinamente, deve superare la barriera delle sue guardie che a parole lo trattano rudemente, ma i volti hanno un che di nostrano, la jallabia di uno di loro appare stirata di fresco e il senso di minaccia e di pericolo richiesto dalla scena non si concretizza.

Nell’ultima scena Addel è seduto su di una panchina, pensieroso, il suo sguardo rimanda oltre lo stesso film perché il problema dell’immigrazione è ancora qui, davanti ai nostri occhi. Ma non bisogna mai perdere la speranza: infatti, dopo i titoli di coda, il film continua…

E’ importante che vengano fatti film come questo che ci aiutano a riflettere e non cercano di proporci soluzioni facili e consolatorie.

Il film è disponibile in DVD in italiano è presente nelle sale in una distribuzione limitata per tutto il 2013 (la lista delle proiezioni aggiornata è consultabile su www.gpgfilm.it).

Paese: Italia
Anno: 2012
Regia: Filippo Grilli
Sceneggiatura: Filippo Grilli
Produzione: Gpg
Durata: 105′
Interpreti: Lorenzo Pozzi, Nicoletta Monaco, Luca Pirola, Marco Maggioni, Simone Farina, Hani Shaban, Alberto Arosio

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it

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ZENIT Staff

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