ROMA, martedì, 11 dicembre 2012 (ZENIT.org) – In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, Mark Riedemann ha intervistato per il programma Where God Weeps(Dove Dio piange) il giornalista José Correa, fondatore del Catholic Radio and Television Network ed attuale direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Brasile.
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Sono ormai trascorsi più di 20 anni, da quando la Chiesa cattolica e quella ortodossa in Russia sono ritornate, dopo 70 anni di persecuzione di Stato, alla libertà, la quale sta permettendo un risveglio della fede e un cammino di riconciliazione tra le chiese. José Correa, uno dei primi giornalisti cattolici a lavorare con la Chiesa rinascente in Russia, ha contribuito alla ricostruzione dei mezzi di comunicazione religiosi nel paese. Nell’intervista racconta come è avvenuto il primo contatto con la Chiesa sotterranea russa durante il comunismo e la sua conversione.
Può raccontarci come avvenne il suo primo impatto con la Russia?
José Correa: Il mio primo impatto con la Russia è stato negli anni ‘80. Lavoravo per un’agenzia di stampa brasiliana e decisero di mandarmi nell’allora Unione Sovietica per fare un servizio sulla vita delle persone perché i media brulicavamo di analisi e servizi sulla situazione politica in quel paese. Volevano sapere come viveva la gente. La mia idea era di intervistare un campione di persone appartenenti a varie categorie sociali, ossia operai, studenti, giovani, anziani. Io ritenni che bisognava intervistare anche i cristiani che erano stati perseguitati nell’allora URSS, per capire come un cristiano può sopravvivere in un ambiente ateo. Per farla breve, scelsi un giovane cattolico, Julius Sasnauskas*, studente di medicina a Vilnius, in Lituania, che faceva parte dell’ex Unione Sovietica…
Non era pericoloso per questa persona essere contattato da un giornalista straniero?
José Correa: Eh sì, ma ero così ingenuo. Non sapevo queste cose. Sono andato a casa sua a Vilnius e ho bussato alla sua porta. Sua madre era completamente terrorizzata quando ha visto questo straniero che chiedeva di suo figlio. Lui aveva appena trascorso cinque anni in un campo di concentramento siberiano. Era stato arrestato e torturato perché aveva formato un gruppo di preghiera all’università e volevano conoscere gli altri membri del gruppo. Ma non ha rivelato i loro nomi. Una delle torture consisteva nel colpire le sue ginocchia con delle sbarre di ferro per fargli rivelare i nomi. Nonostante vari interventi chirurgici, oggi non riesce a camminare bene a causa delle torture che ha subito.
…Ma poi ha accettato di incontrarla?
José Correa: No, no, a causa della situazione non ho potuto prendere un appuntamento. Come ho detto, arrivato lì, bussai alla porta. Sua madre era terrorizzata. Mi chiuse la porta in faccia. Così me ne sono andato. Rimasi fuori, sulla strada e mi sentivo inutile. Cosa dovevo fare adesso? Mentre non capivo dove avevo sbagliato, si avvicinò a me discretamente un giovane con la barba e mi disse: ‘Chi sei? Cosa vuoi da Julius?’. Gli raccontai la vicenda e lui mi rispose che potevo incontrarlo nei boschi, perché per lui era pericoloso essere visto con degli stranieri in città. Lui veniva pedinato e doveva travestirsi sfuggire alla polizia segreta. Così il giorno dopo ci siamo incontrati in un bosco fuori della città.
Qual è stata la sua prima impressione di Julius?
José Correa: È stato impressionante, provenendo io dal Brasile, dove la gente è molto gioiosa, aperta e spensierata: lui era molto, molto serio. Sin dalle sue prime parole ho capito che era un uomo di profonda fede e questo mi ha colpito molto. Ho parlato con lui delle sue esperienze e lui mi ha raccontato le torture, la vita in carcere e di come ha rischiato di morire varie volte a causa della fame e del freddo estremo. Lui era stato in Siberia, in un campo detto “della morte” perché in tanti sono morti lì. Molti cristiani, molti martiri vi sono morti. Dopo circa 30 minuti di conversazione, ha concluso dicendo: “José, chiedo scusa, devo concludere la nostra conversazione adesso. Ti ricordi il gruppo di preghiera che ti dicevo? Beh, durante la mia assenza, mentre ero nel campo di concentramento, ha continuato a incontrarsi. Stanno per iniziare adesso un altro incontro di preghiera in un’altra parte della foresta. Ci devo andare…
*Julius Sasnauskas (fonte: The Economist) è stato condannato per pubblicazioni anti-sovietiche e sedizione ad una pena di un anno e mezzo in un campo di lavoro a regime duro (prigione della KGB) a Vilnius e a cinque anni di esilio interno in Siberia, sotto l’art. 68-1 del codice penale lituano. Julius finì nelle mani della KGB quando aveva 16 anni. Il suo processo si è svolto presso la Corte Suprema di Vilnius nel settembre 1980. Padre Julius Sasnauskas OFM è oggi sacerdote e rettore della chiesa dei Bernardini a Vilnius, parte di un monastero del XVI secolo.
(Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer)
[La seconda parte dell’intervista verrà pubblicata domani, mercoledì 12 dicembre]