"Come vivere il tempo d'Avvento in questo Anno della Fede?" (Terza ed ultima parte)

Intervento di mons. Moraglia al Ritiro spirituale d’Avvento per i sacerdoti e i diaconi della Diocesi di Venezia

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ROMA, martedì, 11 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo la terza ed ultima parte dell’intervento del Patriarca monsignor Francesco Moraglia al Ritiro spirituale d’Avvento per i sacerdoti e i diaconi della Diocesi di Venezia, che si è svolto giovedì 6 dicembre a Mestre.

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I vescovi, i presbiteri e i diaconi, innanzitutto, sono chiamati a farsi carico – con cura – della fede dei semplici, dei bambini, degli anziani e di chi, più degli altri, accusa i colpi della vita o ha perso il gusto del vivere.

Chiediamoci, allora, da dove prendere l’energia divina necessaria al nostro ministero per non cedere allo scoramento e venir meno. Noi ministri ordinati, infatti, siamo chiamati a sorreggere e a guidare i nostri fratelli nelle cose che riguardano Dio.

Questa forza soprannaturale, che proviene da Dio, è necessaria perché anche i vescovi, i presbiteri e i diaconi hanno le loro stanchezze, le loro fatiche apostoliche e non sempre i loro sforzi pastorali hanno esito favorevole; non sempre il ministero sorride, non di rado emergono difficoltà e disagi.

Come si fa, allora, per non venir meno e per continuare a lavorare fedelmente, nonostante tutto, in quella parte della vigna del Signore che ci è stata affidata? 

Ciò che dà forza al ministro ordinato è il rapporto personale e diretto che ha col Signore Gesù. Senza tale legame con Lui, prima o poi, tutto è destinato a sfaldarsi. Riscoprire quotidianamente il rapporto col Signore è fondamentale per il nostro ministero. A tal proposito san Paolo scrive a Timoteo di rivitalizzare il dono ricevuto per l’imposizione delle sue mani (cfr. 1 Tim. 4, 14).

Nel libro dell’Esodo Dio esige – nella raccolta della manna – di non prenderne più del fabbisogno giornaliero, ad eccezione del giorno di sabato, pena il marcire di quanto raccolto in eccedenza rispetto alla razione quotidiana stabilita (cfr. Es 16, 13-31). Dio intendeva, in tal modo, educare il popolo alla Sua presenza e fargli vivere la grazia del momento presente, così che il Suo popolo comprendesse che era Dio a salvarlo, giorno dopo giorno.

Non dobbiamo, quindi, cercare facili o false giustificazioni: quando manca il rapporto personale col Signore tutto s’appanna e diventano faticose e insormontabili anche le cose che non lo sono. Il rapporto personale d’amore reale col Signore, alla fine, s’esprime, giorno dopo giorno, soprattutto nell’Eucaristia quotidianamente celebrata e adorata, come pure nella preghiera personale e nel ministero fedele a servizio del proprio popolo, per amore al Signore Gesù.

E il monito ripetuto, per ben tre volte, da Gesù riguarda proprio l’amore dell’apostolo Pietro verso di Lui. E’ emblematico che solo dopo aver chiesto a Pietro, per tre volte, se lo amava gli ingiunga di seguirlo (cfr. Gv 21, 15-19). A tal proposito si può leggere il brano dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino (cfr. Breviario, vol. I, Ufficio delle Letture, Seconda lettura della Memoria di san Nicola).

Il vescovo, il presbitero, il diacono devono essere umilmente consci della loro identità, della grandezza del loro ministero e del loro amore per il Signore Gesù; tale consapevolezza, umile ma ferma, deve accompagnarli ovunque. Non c’è momento del giorno e della notte, nella salute o nella malattia, nella giovinezza o nella vecchiaia, in cui la propria identità di ministri ordinati possa venire meno o appannarsi.

Si è vescovi sempre, si è presbiteri sempre, si è diaconi sempre, a prescindere dall’ufficio e il compito concreto che, in quel momento, ci è stato affidato dalla Chiesa. Non si fa il vescovo, il presbitero o il diacono ma si è vescovi, si è presbiteri, si è diaconi a tempo pieno e senza soluzione di continuità.

Al di fuori di tale logica, tutto nella struttura sacramentale dell’ordine – episcopato, presbiterato, diaconato – decade nel funzionalismo e, alla fine,  nell’incomprensibile perché la logica intrinseca del sacramento è il dono, così come risulta dalle promesse dell’ordinazione che richiedono fedeltà.

Si è vescovi, si è preti, si è diaconi quando la chiesa è affollata di persone e quando è semivuota o anche vuota, quando si è apprezzati o disprezzati, quando si è nel tempo della gioia o del dolore.

Il ministro ordinato sa poi che quando non è possibile parlare alla gente di Dio, si può sempre parlare a Dio della gente, ossia pregare per quel popolo che ci è stato affidato. Sì, parlare a Dio di quel popolo affidato alle nostre cure di ministri ordinati e che, oggi, fatica a percepire la voce del Padre comune che sta nei cieli.

Il vescovo, il prete e il diacono – in modi diversi, attraverso il loro ministero – sono a servizio del popolo loro affidato incoraggiandolo nella fede e dando a quel popolo l’unica certezza che veramente può garantirlo oltre la grande fragilità dell’uomo che è la morte. Il senso ultimo del ministero ordinato è portare gli uomini a Dio e Dio agli uomini, annunciando il Signore Gesù come il Risorto e il Vivente.

Ma se poi entriamo nella logica di guardare la comunità e i membri che la compongono, a partire da una prospettiva solo umana, allora è facile veder tutto unicamente secondo tale logica che è vera ma ancora parziale. E così si finisce – senza accorgersene – per porre se stessi come “riferimenti” della comunità, attendendo poi da essa – o da alcuni suoi membri – considerazioni, attenzioni e riconoscimenti particolari che poco o nulla hanno a che fare col ministero sacerdotale o diaconale.

Concludo, infine, con un passo della prima lettera ai Corinzi[1] (1 Cor 3, 1-23) che ci può aiutare a capire, in quanto ciò che Paolo scrive non è ipotesi astratta ma realtà. E i motivi dei legami inopportuni e malsani possono essere anche molti altri, oltre a quelli qui descritti dall’apostolo Paolo.

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NOTE

[1] Ecco il passo integrale (1 Cor 3, 1-23): “Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana? Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo
mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”.

[La seconda parte è stata pubblicata lunedì 10 dicembre]

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ZENIT Staff

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