ROMA, domenica, 9 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l’omelia tenuta venerdì 7 dicembre nella Basilica di San Giovanni in Laterano dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella Messa di Ordinazione Episcopale a mons. Massimo Camisasca, vescovo eletto di Reggio Emilia–Guastalla.
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«Cantate al Signore un inno nuovo, perché Egli ha fatto meraviglie», abbiamo cantato nel Salmo. La meraviglia fatta dal Signore, è la sua decisione di porre “un tesoro in vasi di creta”: il tesoro della successione apostolica dentro alla creta di uomini che condividono in tutto la condizione dei loro fratelli. E’ Cristo infatti che nel ministero del Vescovo continua a predicare il Vangelo del Regno, a santificare i credenti mediante i sacramenti della fede, a guidare il suo gregge ai pascoli della vita. Mediante l’imposizione delle mani fra poco il tesoro della successione apostolica sarà collocato nel vaso di creta che è don Massimo.
Il significato profondo e la portata storica di questa collocazione ci sono svelati dalla parola di Dio che abbiamo appena ascoltato.
1. La nostra celebrazione ha la sua sorgente e radice in un atto di contemplazione del mistero di Dio, «Padre del Signore Nostro Gesù Cristo». In questo mistero è racchiuso un disegno di amore paterno che trascende ogni pensiero e desiderio umano: introdurre la persona umana nella stessa vita divina, «predestinandoci a essere suoi figli adottivi».
Questo sguardo contemplativo diventa anche capace di una lettura ed interpretazione della storia, secondo le quali nella confusa e non raramente brutta vicenda umana il Padre, fonte di ogni iniziativa, agisce liberamente sia per attuare il suo progetto, sia per farlo conoscere attraverso i suoi profeti. E tutto questo «secondo il piano di Colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà».
La nostra celebrazione dunque si pone dentro allo spazio disegnato dalla parola di Dio, e che ha come due fuochi: Dio si rivela come Padre; la storia umana è la realizzazione del progetto di Dio.
Avendoci il Padre già benedetti «con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo», attua il suo progetto di salvezza «per opera di Gesù Cristo». L’introduzione della nostra umanità nell’intimità del Mistero ha inizio nell’Incarnazione, e trova il suo compimento nella glorificazione della carne crocifissa del Verbo incarnato. Dio «per opera di Gesù Cristo» ci ha attirato in se stesso, così che non siamo più fuori di Dio, ma dimoriamo nella sua stessa intimità: in Cristo, con Cristo, e per mezzo di Cristo.
2. Dentro a questa “opera di Gesù Cristo” come si pone la persona umana? Non può non porsi che liberamente. Ma la libertà dell’uomo è il rischio di Dio. La prima lettura e la pagina evangelica ci svelano le due possibilità inscritte nella scelta umana: la disobbedienza dell’incredulità o l’obbedienza della fede; la disobbedienza di Eva o l’obbedienza di Maria.
«Mi ha dato dell’albero e ne ho mangiato», dice Adamo al Signore. La libertà dell’uomo, come allucinata dal suo splendore e provando come una sorta di vertigine di fronte all’abisso della sua possibilità, decide di porsi come suprema istanza circa la verità e il bene. L’uomo si erge ad arbitro inappellabile circa ciò che è il bene/il male della sua persona.
Esce dal progetto di Dio, il Dio che lo benedice «con ogni sorta di benedizione nei cieli, in Cristo». Il Mistero spaventa; diventa qualcosa da cui ci si nasconde: «ho avuto paura…e mi sono nascosto».
«Ecco l’ancella del Signore, si faccia in me secondo la tua parola» dice Maria all’angelo. E’ la libertà che consente al progetto di Dio in Cristo; anzi, è un consenso che lo rende possibile. Dio, il Padre, non è invidioso. Egli non costruisce l’edificio della sua gloria sulle ceneri dell’uomo e della sua libertà. L’obbedienza della fede è una vera e propria cooperazione all’attuazione del progetto di Dio.
Abbiamo così infine la possibilità di decifrare l’enigma della storia. Due forze si incrociano, si contrastano e si avversano: la forza insita nella disobbedienza dell’incredulità e la forza insita nell’obbedienza della fede di Maria e di ogni discepolo del Signore.
3. Venerato fratello e caro don Massimo: questo è il contesto in cui da questo momento sei collocato, per sempre. Sei posto dentro al contrasto fra l’incredulità e la fede. E’ da una parte un’incredulità che sta pervadendo ogni vissuto umano, e che vuole distruggere anche la fede della Chiesa, alla cui presenza dentro la vicenda umana viene gradualmente negata ogni legittimazione. E’ dall’altra parte la fede dei martiri, la fede dei semplici, la fede «che sconfigge il mondo».
Sei posto dentro a questo “scontro” come testimone del progetto del Padre; come testimone di Cristo che lo attua; come testimone della verità circa l’uomo.
La tua predicazione è una vera e propria profezia, senza la quale la vita delle persone finirebbe, prima o poi, col ridursi ad un vagabondaggio privo di meta. E’ per questo che, come scrive S. Tommaso, «la profezia è necessaria al governo del popolo» [2,2,q.172,a.1, ad 4um; cfr. anche De Veritate q.12,a.3, ad 11um]. Ed il Concilio Vaticano II raccomanda ai Vescovi che «propongano il mistero di Cristo nella sua integrità, ossia quelle verità che non si possono ignorare senza ignorare Cristo stesso» [Decr. Christus Dominus 12,1; EV 1, 596].
Radicato e fondato nella fede di Maria – la Chiesa -, non temere niente e nessuno: gli idoli delle genti sono nulla al confronto della testimonianza profetica dell’apostolo. La parola di Dio che annuncerai li farà cadere, dentro e fuori la Chiesa.
Mi piace, venerato fratello e caro amico, concludere colle parole di Gregorio il Teologo.
«Ma ora…prendi con noi ed anzi, davanti a noi, il tuo popolo: lo Spirito Santo te lo ha affidato, gli angeli te lo conducono, il tuo stile di vita ti ha reso degno di riceverlo…Insegna ad adorare Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, in tre Persone, in un’unica gloria e in un unico splendore. Cerca ciò che è perduto, rendi forte ciò che è debole, proteggi ciò che è forte». Possa tu «presentare al Signore un popolo scelto, gente santa, sacerdozio regale, in Cristo Gesù Signore nostro. A Lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.» [Disc.13,3; Tutte le orazioni, Bompiani, Milano 2000, 331].