ROMA, domenica, 9 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo la prima parte dell’intervento del Patriarca monsignor Francesco Moraglia al Ritiro spirituale d’Avvento per i sacerdoti e i diaconi della Diocesi di Venezia, che si è svolto giovedì 6 dicembre a Mestre.
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Carissimi sacerdoti e diaconi, iniziamo il nostro ritiro d’Avvento ringraziando innanzitutto il Signore di quest’opportunità: trascorrere insieme una mattinata in preparazione al santo Natale con la possibilità d’accostarci al sacramento della penitenza.
Lo stare insieme del Vescovo con i presbiteri e i diaconi per pregare è già, in sé, una vera grazia. Viviamo queste ore con questo spirito. Chiediamoci poi: come vivere il tempo d’Avvento in questo Anno della Fede?
La risposta non può prescindere dalla nostra identità sacerdotale e diaconale. Per grazia abbiamo ricevuto il sacramento dell’ordine che ci abilita a compiere i gesti propri di Gesù-capo-sposo e di Gesù-servo del Padre e dei fratelli. Solo guardando a quello che siamo diventati, in forza di questo sacramento, possiamo dare risposta alla domanda: come vivere il tempo d’Avvento in quest’Anno della Fede?
La liturgia della Chiesa, all’inizio dell’Avvento, propone una preghiera che ci conduce subito a fare un esame di coscienza molto concreto. Mi riferisco all’orazione dei primi Vespri della prima domenica d’Avvento.
E’, quindi, la prima orazione del tempo d’Avvento che poi ritroviamo come colletta nella santa Messa della prima domenica di questo breve ma importantissimo tempo liturgico: “O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli”.
Il punto è proprio questo: quali sono le opere buone con cui il vescovo, il presbitero e il diacono vanno incontro al Signore che viene? Non si tratta di opere genericamente intese ma delle opere proprie del vescovo, del presbitero, del diacono. Bisogna essere chiari: la santità non può prescindere dalla fedeltà alla propria vocazione personale, non può essere mai al di fuori di essa.
Anche per noi, ministri ordinati, assume grande valore la parabola del Seminatore (cfr. Mc. 4, 1-20). Intendo dire che anche noi – vescovi, presbiteri, diaconi – possiamo essere terra “buona” o terra “non buona” proprio in rapporto agli atti specifici del nostro ministero. Andiamo al testo della parabola che leggiamo nella versione dell’evangelista Marco[1].
La lettura e spiegazione della parabola ci ricordano che anche i vescovi, i sacerdoti e i diaconi sono – agli occhi di Dio, che vede come Lui solo può – terreno “buono” o terreno “non buono”, capace o non capace di dare frutto. Possono essere terra fertile che produce il trenta, il sessanta o il cento per uno oppure selciato, pietraio o roveto improduttivi.
Si può essere diaconi, sacerdoti, vescovi ma – come ci ha ricordato la parabola – essere distratti, dissipati e incapaci di darsi una regola di vita. Sono gli atteggiamenti che la parabola identifica con la strada, luogo della dissipazione e del vuoto chiacchiericcio, terreno dove il seme appena gettato viene portato via e non può attecchire.
Ogni tipo di rapporto e legame spirituale e pastorale del ministro ordinato nasce e si sviluppa a partire dalla relazione personale col Signore Gesù: in stretta connessione con essa, non al di fuori o contro di essa. Ma se il rapporto personale con Gesù si attenua, o addirittura viene meno, si crea un vero e proprio corto circuito e, in tal modo, l’efficacia del ministero viene vanificato. E ciò vuol dire che già prima si era smarrita la percezione della propria consapevolezza o identità sacerdotale.
In tale situazione non potremo farci carico in modo valido – ossia col giusto coinvolgimento e giusto distacco – di quell’umanità dolente che quotidianamente incontriamo, passo dopo passo, sulla nostra strada.
Questi incontri richiedono saggezza e insieme capacità di discernimento, doti che si acquistano nel prolungato contatto col Signore, nella preghiera, nella lectio divina, nel silenzio interiore ed esteriore. Si può leggere, in proposito, il cosiddetto “Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell’ultimo Sinodo” (cfr. Breviario IV volume, Ufficio delle Letture, Seconda lettura della Memoria di san Carlo Borromeo).
Maria – la Regina apostolorum, che custodiva ogni cosa nel suo cuore (cfr. Lc 2,19.51) – diventa il nostro comune imprescindibile riferimento. Lei è la zolla di terreno fecondo; noi, invece, siamo non di rado il terreno sassoso della parabola che non permette alla pianta, per mancanza di terra, di buttar fuori radici capaci di attecchire.
Si può essere vescovi, preti, diaconi essendo testimoni veraci e sinceri del proprio episcopato, presbiterato e diaconato. E allora si è benedizione per il proprio popolo. Ma se la logica umana prende il sopravvento sul servizio delle anime e alla Chiesa, ci si scopre sassi improduttivi.
In proposito, ricordiamo che le promesse dell’ordinazione non ci sono state imposte ma, dopo anni di discernimento e preparazione, ci sono state proposte e noi, in quel momento, le abbiamo accolte liberamente e con gioia, non come costrizione ma con lo spirito di chi avverte l’aprirsi di un nuovo orizzonte di senso nella vita. Sì, un nuovo orizzonte di senso nella propria vita.
I legami umani – che impropriamente possono impadronirsi di noi, all’inizio in modi anche impercettibili, e vincolarci a persone e a beni materiali – finiscono così per soffocarci. Ciò avviene quando si smarrisce la logica del dono e non si compie più, come Maria, l’offerta della propria persona semel et semper.
La mancanza di questa totalità nel dono può essere l’inizio del venir meno. In san Giovanni della Croce troviamo questo esempio significativo: un uccello – anche se è libero da tutto ma è legato ad un sottilissimo filo di seta – non può spiccare il volo in alcun modo, anche se c’è solo quel sottile filo… Prendiamo occasione oggi di rinnovare, di fronte al Signore, la nostra piena totale offerta a Lui, attraverso le promesse sacerdotali.
Vigiliamo perché ogni nostro incontro inizi sempre nel Signore, in Domino, e rimanga tale, in Domino, così da non rimanere soffocati come il seme caduto tra i rovi e le spine.
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NOTE
[1] “Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quan
do l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno»”.