Dentro la storia come ognuno di noi

Vangelo della II Domenica di Avvento

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 6 dicembre 2012 (ZENIT.org).

Baruc 5,1-9

Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. (…) Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro. (…) Perché Dio ricondurrà Israele con gioia, alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da Lui”.

Fil 1,4-6.8-11

Fratelli,..sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo”.

Lc 3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorreva tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli  del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”.

Il profeta Isaia, le cui parole oggi Luca mette in bocca a Giovanni Battista, rincuorava gli esiliati a Babilonia prospettando loro il ritorno in patria come un secondo esodo dall’Egitto. Presto sarebbe cessata la schiavitù, dalla cui liberazione il deserto era il simbolo:“Una voce grida: “Nel deserto..si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato.” (Is 40,3-5).

Certo, la grazia della liberazione/ricostruzione presupponeva un compito:“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (Lc 3,4), ma esso non era certo gravoso poiché si trattava di preparare ed aprire la via e i sentieri del cuore, vale a dire  porre un’assoluta fiducia nell’opera salvifica dell’unico vero Dio, Signore dell’universo e della storia.

Con questo sfondo biblico-storico, in questa II Domenica d’Avvento è anzitutto esaltata l’iniziativa divina: “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,..perché Dio ricondurrà Israele con gioia..Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (Bar 5,1-9); messaggio che significa: ogni cosa, ogni avvenimento della nostra vita, triste o lieto che sia, va riferito al Signore, che ne è l’invisibile regista.

Dio, infatti, non è un satellite inerte che ‘vede’ gli eventi della nostra storia dall’alto, ma un Padre che ci scruta e ci conosce, e che misteriosamente coordina tutti gli avvenimenti politici, sociali e religiosi per farli servire alla causa del nostro vero bene e della nostra salvezza.

E’ per dare questo messaggio che oggi Luca inquadra accuratamente l’Incarnazione di Gesù nel contesto storico del suo tempo. 

Pur essendo persone assolutamente libere e responsabili, non siamo noi i protagonisti fondamentali della nostra esistenza, allo stesso modo in cui non è il pennello a dipingere l’affresco. Perciò, a niente e a nessuno dobbiamo permettere di dirigere i passi del nostro cammino, se non all’Unico che veramente ci conosce e chiaramente ci suggerisce quali sono le scelte da fare secondo la sua volontà di bene per noi. Diversamente, sarà come lasciare che alla mano del pittore si sovrapponga un’altra mano, rozza ed inesperta: ne risulterebbero solo macchie e sgorbi!

Anche Paolo annuncia oggi questo messaggio:“sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6), e suggerisce quale debba essere la preparazione da parte nostra:“che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento” (1,9). Si tratta di impegnarsi con generosità a favore del nostro prossimo, non accontentandoci del giusto dovuto, ma puntando a quel “di più” che fa la differenza tra l’umana benevolenza e il “troppo grande  amore” di Cristo.

Il deserto da attraversare (o già attraversato) allora, una volta accettato con fede, opererà questa trasformazione decisiva del cuore: “Essere vuoto, spoglio, povero, non avere niente, trasforma la natura. Il vuoto fa salire l’acqua fino in cima ai monti e compie molte altre cose mirabili” (M. Eckart).

Accettare le separazioni e le fratture della vita, senza sottrarsi ad esse quando Dio ci chiama, significa aprire la via interiore allo Spirito di Colui che ci libera dalla schiavitù dell’egoismo, del rimorso, della tristezza e della nostra fragile sensibilità.

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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