Sindrome di Down: diagnostica ecografica e laboratoristica

L’uso incontrollato dei test suscita motivati timori di un risvolto eugenetico

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a cura di Marianna De Falco*

ROMA, mercoledì, 5 dicembre 2012 (ZENIT.org).

COSA È LA SINDROME DI DOWN?

È una condizione genetica caratterizzata dalla presenza nelle cellule di tre copie del cromosoma 21 invece di due. Ne consegue uno sviluppo psicomotorio più lento ed un variabile grado di ritardo mentale, oltre ad una maggiore incidenza di malformazioni, soprattutto cardiache ed intestinali. Nel mondo, circa 10 bambini su 10.000 nascono con la S. di Down (Eur J Pediatrics 2010;169(12):1445-1452). Attualmente, in Italia vivono tra le 30.000 e le 40.000 persone affette (Istituto Superiore di Sanità, LGMR: Linee Guida Multidisciplinari per l’Assistenza Integrata alle Persone con Sindrome di Down e alle loro Famiglie, 2007), con un’aspettativa di vita che, grazie alla cura delle malformazioni e al miglioramento dell’assistenza, è passata da 10 a 60 anni circa in meno di un secolo. Opportuni interventi curativi e riabilitativi consentono agli individui affetti di raggiungere una buona autonomia personale e di migliorare sensibilmente le funzioni cognitive, il livello di comunicazione verbale e lo sviluppo sociale, facilitando integrazione scolastica e lavorativa. Le cause della S. di Down sono ancora sconosciute. L’incidenza aumenta con l’età materna e con la presenza di un precedente figlio affetto. La condizione è ereditaria soltanto nel 2% dei casi.

E’ POSSIBILE DIAGNOSTICARE LA S. DI DOWN PRIMA DELLA NASCITA?

In epoca prenatale, la S. di Down può essere diagnosticata attraverso lo studio dei cromosomi contenuti nelle cellule del feto. Queste ultime possono essere prelevate mediante due tecniche diverse. A 10-13 settimane di gravidanza, si può effettuare la villocentesi, ovvero il prelievo di alcune delle cellule da cui, successivamente, si svilupperà la placenta. A 16-18 settimane, invece, si può effettuare l’amniocentesi, ovvero il prelievo di una piccola quantità (20 cc) del liquido amniotico. Entrambi questi esami sono considerati “invasivi”, in quanto consistono nell’inserimento di un ago attraverso l’addome materno fino all’utero, per effettuare il prelievo delle cellule fetali. Tale invasività comporta un rischio di aborto di 1 caso su 200.

SPESSO LE GESTANTI SI SOTTOPONGONO ALLO STUDIO DELLA TRANSLUCENZA NUCALE. COS’È E QUAL È LA SUA VALENZA DIAGNOSTICA?

Lo studio della translucenza nucale (NT) è la misurazione dello spessore dello strato sottocutaneo della nuca fetale, attraverso un’ecografia transaddominale effettuata tra le 11 e le 13 settimane di gravidanza. Uno spessore di NT superiore ai valori di riferimento per l’epoca gestazionale è espressione di un aumentato rischio di S. di Down, ma anche di altre condizioni come anomalie cardiache e malattie metaboliche. L’accuratezza diagnostica della NT è del 75% (Lancet 1998;352(9125):343-6). Ciò significa che 30 feti con S. di Down su 100 hanno una NT normale. Se alla valutazione della NT si associa il Duo-test, ovvero un prelievo di sangue materno per il dosaggio di due sostanze associate alla gravidanza (PAPP-A e Free-Beta hCG), l’accuratezza diagnostica sale al 90% circa (Ultrasound Obstet Gynecol 1999;13(4):231-7). Quindi, 10 feti con S. di Down su 100 non possono essere individuati nemmeno dal test combinato. In alcuni Paesi europei (non in Italia), da pochi mesi le gestanti nel corso del primo trimestre possono sottoporsi ad un prelievo di sangue che consentirebbe di diagnosticare la presenza di un eventuale cromosoma 21 in più nella piccola quantità di cellule fetali che circolano nei vasi sanguigni materni. Studi recenti propongono questa tecnica come un’alternativa alla diagnosi prenatale invasiva (Am J Obstet Gynecol 2012;207(2):137.e 1-8). Tuttavia, persiste il motivato timore di un risvolto eugenetico nell’uso incontrollato del test in oggetto, legato alla facilità di accesso allo stesso, alla precocità dell’epoca gestazionale in cui può essere effettuato e al possibile futuro utilizzo per diagnosticare un’ampia varietà di anomalie oltre alle alterazioni cromosomiche più frequenti (Eur J Human Genet 2010;18-3:272-7). Alla luce di tutto ciò, appare ancor più di fondamentale importanza la correttezza delle informazioni fornite alla gestante relativamente alle possibilità diagnostiche della S. di Down ed all’interpretazione dei risultati dei vari test disponibili.

ESISTONO TEST IN GRADO DI PREVENIRE FUTURI CASI DI S. DI DOWN?

Non esistono test in grado di prevenire futuri casi di S. di Down, ma esami diagnostici in grado di individuare la condizione nei feti che già la presentano. Le tecniche non invasive attualmente disponibili (NT, Duo-test), hanno un valore predittivo, cioè forniscono soltanto una valutazione della probabilità che il feto sia affetto dalla S. di Down.

QUALE COMPORTAMENTO DA PARTE DEL MEDICO?

Nella diagnostica prenatale le situazioni sono prevalentemente complesse sia sotto il profilo medico che etico. Per quanto riguarda le problematiche etiche, varie e composite, dal punto di vista oggettivo e nella stragrande maggioranza dei casi la diagnostica prenatale viene praticata senza un diretto collegamento con l’eventuale esito abortivo. In questo caso l’esito abortivo non  origina necessariamente dalla diagnosi. Altro significato, viceversa, assume la diagnostica prenatale quando inserita in una programmazione abortiva già prevista o nel caso di chi condivide l’atteggiamento intenzionale abortivo della gestante che richiede la diagnosi. Ciò configura, sotto il profilo morale, una collaborazione: vale a dire che l’azione è illecita e illecitamente è compiuta da entrambi e che la condivisione delle intenzioni accomuna i due agenti in un’unica azione. Nella complessità della diagnosi prenatale “il medico, pur nel doveroso rispetto della libertà altrui non può né deve abdicare alla propria libertà e responsabilità” (E. Sgreccia, 2007).

UNA RECENTE SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE (N.16754 DEL 2.10.2012) RICONOSCE IL RISARCIMENTO AD UNA BAMBINA NATA CON S. DI DOWN, PERCHÉ IMPEDITO L’EVENTUALE RICORSO ALL’ABORTO. QUALE INTERPRETAZIONE DARE ALLA SENTENZA?

Con questa sentenza, definita con termine tecnico sentenza manifesto, si andrebbe a riconoscere il diritto a non nascere da parte di persone affette o portatrici di alterazioni genetiche o di malformazioni. Possiamo dire, senza alcun dubbio, che si innesca una pericolosissima deriva, secondo la quale si giustificherebbe l’aborto eugenetico. In altri termini si ratificherebbe la falsa idea che la vita è degna solo se di qualità, senza patria per diversamente abili, fragili e malati.

* Ginecologa
Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, Napoli

 [Da bioFiles, n° 18  |  28 novembre 2012]

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ZENIT Staff

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