"L'importanza della Costituzione 'Exsul Familia' 60 anni dopo la sua promulgazione" (Terza parte)

Il discorso del card. Vegliò presso lo Scalabrini International Migration Institute (SIMI)

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ROMA, sabato, 1 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la terza parte del discorso tenuto giovedì 29 novembre dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, presso la Sala Newman della Pontificia Università Urbaniana, all’Atto accademico di inizio delle attività 2012-2013 dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI).

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4. Un documento “circoscritto”?

Come molti hanno notato, gran parte della Costituzione Exsul familia riguarda l’emigrazione italiana che era, oggettivamente parlando, un fenomeno piuttosto rilevante in quel tempo (le statistiche dicono che nel 1952 c’erano circa 20 milioni di italiani emigrati all’estero). Ora, sia nella sezione storica sia in quella normativa,il documento pontificio accentua fortemente il fatto dell’emigrazione italiana e, probabilmente, proprio quest’attenzione gli ha procurato l’accusa di essere “circoscritto”. La limitazione di campo, tuttavia, non toglie nulla all’ampiezza di respiro del documento al quale, in ogni caso, tutti riconoscono il pregio di utilizzare un esempio storico concreto come base per suggerire un modello estensibile a livello universale.

Del resto, senza l’analisi di eventi e problematiche circoscritte non sarebbe stato possibile elaborare programmi e disposizioni per l’assistenza globale missionaria ai migranti. Così, il fatto dell’emigrazione italiana ha aiutato la Chiesa, in tutte le aree del mondo, a prendere coscienza di un fenomeno planetario e a intraprendere specifiche attività per l’assistenza di tutte le persone “in movimento”. E questa è la seconda ispirazione cheil documento pontificiocontinua a offrirci oggi, e cioè che la nostra analisi del passato, seppure delimitata nel tempo e nello spazio, deve assumere una forma concreta nel presente, adattandosi alle realtà diversificate in cui si concretizza.

Nella sua udienza ai partecipanti al VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, tenutosi a Roma nel 2009, il Santo Padre ha affermato che “in effetti, se il fenomeno migratorio è antico quanto la storia dell’umanità, esso non ha mai avuto la grande importanza di oggi, a causa del numero e della complessità dei suoi problemi. Esso colpisce ormai quasi tutti i paesi del mondo ed è parte del vasto processo della globalizzazione[1]. Nella situazione attuale globale, segnata sempre più dalla diversità culturale, politica, economica, religiosa e sociale, il fenomeno migratorio esorta non solo i singoli Paesi, ma anche la comunità internazionale a chiedersi: che tipo di mondo stiamo costruendo? e obbedendo a quali valori? Anche le Chiese locali, nelle quali sussiste l’unica Chiesa di Cristo, sono interpellate a porsi le stesse domande: che tipo di Chiesa stiamo costruendo? e secondo quali modalità? Dal punto di vista cristiano, questo richiede non tanto l’uso di meccanismi di difesa nei confronti di altre religioni o culture, quanto piuttosto l’assunzione di nuove reti di solidarietà contro l’esclusione e la miseria, con la promozione di un vero spirito di dialogo e di arricchimento reciproco che sgorga dall’incontro delle culture.

Quale modello può proporre, dunque, la Chiesa per essere veramente esemplare? Quale Paese o quale regione può offrire un’adeguata e comprensiva politica migratoria? Esiste un ideale oggi? L’Istruzione Erga migrantes caritas Christi indica delle piste ausiliari, soprattutto delineando un’aggiornato quadro normativo-pastorale e richiamando i principi che ispirano la pastorale migratoria. Certo, non basta la semplice applicazione delle disposizioni giuridiche. La stessa Istruzione afferma che “al fine di assicurare che la cura pastorale dei migranti sia di comunione (…), è essenziale che le Chiese di partenza e di arrivo instaurino una intensa collaborazione tra loro[2] e menziona il reciproco scambio di informazioni su questioni di comune interesse pastorale, l’istituzione di apposite commissioni, nonché di Vescovi Promotori e Direttori Nazionali. Probabilmente oggi non esistono modelli unici che la Chiesa possa raccomandare per l’organizzazione della cura pastorale dei migranti, come invece aveva potuto fare la Costituzione apostolica del 1952. Tuttavia, con la collaborazione di tutti e grazie all’arricchimento di molteplici esperienze, le Chiese locali hanno l’opportunità non solo di condividere principi e progetti, ma anche di imparare nuove opportunità di strutturare la pastorale migratoria per l’umanità che si affaccia sul terzo millennio.

Vi è anche una nota al tempo stesso interessante e ironica. L’Italia che, sessant’anni fa, veniva proposta da Pio XII come riferimento per l’organizzazione della cura pastorale dei migranti, non è più un Paese di emigrazione, ma di immigrazione. Mentre in passato guardava i suoi cittadini che partivano per andare oltre frontiera, oggi non può chiudere gli occhi su migliaia di migranti che chiedono di essere accolti nei suoi confini. È una sfida e un “segno dei tempi” per i governanti del Paese, così come lo è per la Chiesa. È anche l’occasione per avvalersi dell’esperienza acquisita nel corso degli ultimi decenni. In uno dei miei primi interventi, dopo essere stato nominato Cardinale nello scorso mese di febbraio, mi è stato chiesto se dobbiamo difenderci dalle ondate di immigrati che entrano in questo Paese o piuttosto cercare di diventare più accoglienti. Allora risposi che “non dobbiamo spaventarci: nella storia, le ondate migratorie di solito hanno presentato inizialmente situazioni più o meno confuse. Certo, lo spostamento, soprattutto massiccio, di migranti impegna a mettere ordine nei rapporti reciproci, perché tutti diventino collaboratori e promotori di benessere a mutuo vantaggio[3], e continuai dicendo che “la presenza dei migranti è (…) una provvidenziale provocazione al rinvigorimento dell’apertura e dell’accoglienza che, esaltando la persona umana, tendono a valorizzare le diversità[4]. Questi pensieri li ripropongo oggi, sia per quanto riguarda l’aspetto politico della migrazione, che per la sua rilevanza in ambito ecclesiale. In effetti, la condivisione di esperienze e la reciproca assistenza, affermate dalla Exsul familia, sono ancora oggi elementi di grande importanza.

[La seconda parte è stata pubblicata venerdì 30 novembre. La quarta ed ultima parte uscirà domani, domenica 2 dicembre]

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NOTE

[1] Benedetto XVI¸ Discorso ai partecipanti al VI Congresso mondiale per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti (9 novembre, 2009), in: People on the Move 111 (Dicembre 2009), pp. 7-9.

[2] Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e ei Rifugiati, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 70.

[3] A.M. Vegliò, Lectio magistralis (Pesaro, 19 marzo, 2012), 2 (pro manuscripto).

[4] Ibidem, 3.

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ZENIT Staff

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