di Carmine Tabarro
ROMA, lunedì, 16 luglio 2012 (ZENIT.org).- In questo paper vogliamo analizzare altri aspetti dell’attuale crisi finanziaria e del debito pubblico che nei nostri precedenti interventi non avevamo trattato.
Nello specifico tratteremo della speculazione finanziaria, della tecnocrazia, della democrazia.
Iniziamo questo intervento sottolineando due aspetti: da un lato gli sforzi che il nostro Paese (e tutti i Paesi “deboli” dell’area euro) sta facendo per migliorare lo stato delle finanze pubbliche. D’altro però non possiamo dimenticare che la crisi che stiamo vivendo da cinque anni nasce dall’avidità del capitalismo finanziario globalizzato, le cui patologie sono state evidenziate da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate (e da diversi interventi delle Conferenze Episcopali, dalla Pontificia Commissione Giustizia e Pace), ma le cui cause non sono ancora state debellate.
Dal fallimento di Lehman Brothers luglio 2007 in poi gli stati hanno “sprecato” quasi 10.000 miliardi di dollari tra finanziamenti diretti di capitale o garanzie per salvare le istituzioni finanziarie in crisi, ma il prezzo è stato fatto pagare ai cittadini, alle famiglie e alle imprese con laceranti tagli al welfare sociale e all’economia reale.
La grande responsabilità della classe politica è stata, oltre a non aver fatto nulla per prevenire la crisi sistemica, quella di continuare a non far nulla; cioè dettare regole a quell’immensa concentrazione di potere finanziario che gestisce in modo assolutamente opaco la vita quotidiana dei cittadini attraverso la gestione della finanza globale (dal mercato dei derivati regolamentati e non, a tassi che regolano la nostra vita con le banche e le assicurazioni come il Libor (1)).
Come detto, salvare le banche è costato caro agli Stati che hanno visto salire vertiginosamente i loro debiti pubblici. La speculazione ha approfittato della debolezza degli Stati sovrani; difatti a differenza della politica che si muove con tempi archeologi, la speculazione si muove in tempo reale ed ha approfittato della lentezza della politica per fare lauti guadagni.
L’arma usata per dissanguare gli Stati più deboli (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, ma nel breve periodo, se le politiche non cambiano, il club si arricchirà anche di Francia e Olanda) è stato lo spread. La diabolicità di questa arma sta proprio nell’esasperare la differenza di interessi tra i cosiddetti paesi virtuosi (Germania in testa) e quelli che non sarebbero tali (vedi i Paesi nominati sopra).
In questo modo viene esaltato l’egoismo irrazionale (a trovare una soluzione ai problemi) dei Paesi più virtuosi al prezzo della distruzione dello spirito comunitario e nel medio periodo nell’autodistruzione anche dei Paesi forti.
Che lo spread sia gonfiato dalla speculazione è stato confermato dal governatore della banca d’Italia Visco.
Difatti il governatore Visco, uomo moderato e persona istituzionale di elevata reputazione, ha affermato che non esiste nessuna evidenza economico-scientifica che possa giustificare quasi 600 punti base di differenza tra la Spagna e la Francia o 460 punti base tra Italia e Germania.
Se analizziamo i fondamentali di debito e deficit su PIL, la Spagna è messo meglio della Francia, e pur considerando la crisi bancaria spagnola, non è sufficiente a spiegare il differenziale di rischio dei due Paesi. Tutti i dati degli studi scientifici più recenti ci dicono come tra il 2010 e il 2011, all’improvviso si è scatenata la tempesta perfetta senza alcun motivo derivante dai dati economici fondamentali. Ci troviamo in altre parole dinanzi ad una tempesta virtuale creata dalla speculazione.
Come detto i fattori di rischio globale, i rischi di liquidità e di default non vengono evidenziati dagli studi scientifici ma nonostante questo gli spread continuano ad essere elevati.
Stesso discorso riguarda l’Italia. I dati economici ci dicono che la nostra spesa pubblica (al di la dell’efficienza e della corruzione che è un altro tema sul quale torneremo), al netto degli interessi sul debito non è superiore a quella degli altri paesi europei (siamo al 32 percento tra i più bassi con Irlanda e Regno Unito che superano il 40 percento).
Il vero problema italiano è la zavorra del debito pubblico e dagli interesse pagati per collocarlo.
Questa situazione ha ridato voce alle scuole di economisti neoliberisti, che sono alla base della crisi sistemica; ma le loro ricette non hanno al centro la persona i corpi intermedi il bene comune, tutt’altro; per questi economisti l’unica terapia sono tagli lineari senza tenere conto delle persone, delle famiglie, del bene comune. Per questi economisti contano solo i dati economici.
Altro grave evento è la sospensione della democrazia.
Difatti oltre al nuovo fenomeno del governo dei tecnici (vedi Italia), le politiche economiche e sociali vengono imposte dalle tecnocrazie (Commissione europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale).
Parole profetiche sul rischio della tecnocrazia le scrive Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, al quale dedica l’intero capitolo sesto: “la tecnica non è mai solo tecnica” (n. 69), cioè non è mai neutra: esprime sempre anche orientamenti culturali. Oggi, in particolare, “il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità”. (n. 70).
A questo punto, “lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo” (n. 70). E “questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato. Infatti, il vero sviluppo non consiste primariamente nel fare” (n. 70).
Questa profezia e i conseguenti rischi non mi sembrano al centro del dibattito culturale europeo.
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NOTE
1) Vedi i nostri articoli sulla malafinanza della Barclays Ban e lo scandalo Libor