Maria Goretti, patrona delle donne violentate e della dignità dell'infanzia

L’esempio della vita e della morte della Santa può essere un segnale per i giovani e gli educatori di oggi

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di Carlo Bellieni

ROMA, giovedì, 5 luglio 2012 (ZENIT.org) – Esattamente 110 anni fa, il 6 luglio 1902, là dove ancora non esisteva la città di Latina, ma la campagna e la palude facevano da sfondo a isolate case coloniche e piccoli paesi, veniva uccisa una bambina di 11 anni. Si chiamava Maria, e Goretti era il suo cognome. Veniva uccisa da un adulto nel tentativo di stuprarla, così ci raccontano le cronache processuali.

La bambina, che aveva già dato dimostrazione di carattere forte nonostante la giovane età, si rifiuta con i modi e la scarsa forza fisica che poteva avere e viene accoltellata. E’ un tragico fatto di cronaca nera, che ha segnato l’immaginario collettivo per la brutalità del gesto, ma che a distanza di 110 anni è stato colorato di tinte improprie.

Ci stupisce e ci addolora infatti che il nome di Maria Goretti, fatta Santa dalla Chiesa per la sua decisione, la sua forza d’animo e per la sua fede, sia spesso associato ad un’idea di estraneità alle cose del mondo, che è l’esatto opposto di come ce la raccontano le cronache. “Non è Santa Maria Goretti” usa purtroppo dire, per alludere a chi “sa vivere  la sua vita” senza eccessi ma anche senza mortificazioni. Come se l’atto di sottrarsi allo stupro fosse una mortificazione.  E si finisce col ridicolizzare un atto forte e deciso che il femminismo se ci fosse ancora dovrebbe riconoscere e valorizzare.

E Maria Goretti era davvero forte e decisa, nonostante l’età. Lavorava, accudiva i fratelli, pregava. Cosa impensabile oggi per un bambino della sua età. Ma a quell’epoca si cresceva in fretta, e anche questo è oggi un insegnamento della piccola santa: che il lavoro dovrebbe essere risparmiato ai bambini, ma non il senso di responsabilità; e quanto manca oggi il senso di responsabilità ai nostri adolescenti, che spesso sanno solo scegliere quale film andare a piratare su internet o quale marca di pantaloncini mettere: ragazzine che si metttono il trucco e i tacchi a dieci-dodici anni, maschietti che sono bombardati da inviti a fare sesso quando ancora non hanno che un filo di testosterone nel sangue.

Non solo violentata, ma violentata in un episodio di pedofilia: chi vuol male alla Chiesa vorrebbe far diventare la ragazza invece di un simbolo dell’infanzia intoccabile che la Chiesa ha sempre difeso, un oggetto di ridicolo. E nell’immaginario collettivo, nel mare dei luoghi comuni, ci riesce perché non accettano che da più di 100 anni la Chiesa sia insorta in difesa dei piccolissimi, mentre nei Paesi industrializzati era uso mandarli nelle miniere e nelle fabbriche.

Certo, la colpa è anche di chi l’ha raffigurata come disinnestata dalla vita, e in questo anche certa agiografia nostrana – diffusa e sempliciotta – deve fare il suo mea culpa, perché è giusto difendere un principio, ma non si può ridurre una persona a principio e ad icona, come se la santità fosse vivere fuori del mondo, cosa che Maria Goretti- come riflesso della santità operosa e materna di Maria Vergine cui era molto devota – non faceva di certo.

Un’agiografia che, ignora proprio le parole di Pio XII nel 1947: “Non vi è forse però da temere che la grazia e il candore delicatissimo, movendo la sensibilità artistica o letteraria, troppo superficiali e troppo naturali, lascino un poco nell’ombra la [sua] virtù caratteristica, la fortezza?”. Maria Goretti, continuava Pio XII, era cresciuta in uno di quei focolari domestici, “dove si prega; ove i figli sono educati nel timore di Dio, nell’obbedienza verso i genitori, nell’amore della verità, nella verecondia e nella illibatezza; ove essi fin da fanciulli si abituano a contentarsi di poco, ad essere ben presto di aiuto in casa e nella fattoria; ove le condizioni naturali di vita e l’aura religiosa che li circonda cooperano potentemente a far di loro una cosa sola con Cristo “.

Maria Goretti è patrona della gioventù e patrona della città di Latina. Ci piace pensarla anche patrona delle donne che hanno subìto la violenza immane di uno stupro e della dignità dell’infanzia. Aver riconosciuto la santità di una giovane piccolissima ma innamorata della vita, della propria dignità, della propria famiglia e di Dio è un segnale per i giovani oggi e per gli educatori: i nostri figli non sono “carne da pubblicità” e “insalata di capricci” come li disegnano i massmedia; sono forti, possono innamorarsi del vero, e meritano di essere trattati come tali.

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ZENIT Staff

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