di Costanza Miriano
ROMA, giovedì, 5 luglio 2012 (ZENIT.org) – Quello dell’aborto per me è uno dei più grandi misteri dell’epoca moderna. Davvero, lo dico sinceramente e per una volta senza scherzare. E’ un argomento su cui non sono in grado di essere simpatica, quindi vi deluderò. Il fatto è che ho visto troppo dolore tra le donne che conosco, e non posso perdonare una legge tanto bastarda, e la crudeltà di chi l’ha promossa, riuscendo a produrre un gigantesco inganno collettivo.
Non riesco proprio a spiegarmi, infatti, come molte persone intelligenti, spesso migliori di me, possano continuare a chiamare l’aborto un diritto. Le conosco, le stimo, ci parlo, ma quando viene fuori l’argomento – per me un vero chiodo fisso – mi sembrano irragionevoli, accecate dalla propaganda e incapaci di vedere quello che è ovvio. Con la moderazione che mi contraddistingue devo spesso reprimere l’istinto a compiere gesti inconsulti e a gridare “ma che cavolo stai dicendo?”, con tutto il fiato che ho in gola.
Temo che questo non aiuterebbe il dialogo, effettivamente. E così, dialogo, ma non capisco.
Posso spiegarmi, sì, che una donna lo commetta senza rendersi conto di quello che sta facendo – non mi do nessuna altra spiegazione – ma non capisco come si chiami diritto la possibilità di dare la morte al più debole dei deboli, un bambino nella pancia della mamma. Errore, tragedia, debolezza magari. Ma diritto proprio no. E non c’è neanche bisogno di essere cattolici per capirlo.
E la pillola del giorno dopo, dei cinque giorni dopo, o la RU486 vanno in questa direzione di non comprendere l’enormità in gioco: basta ormai un bicchiere d’acqua per dare la morte comodamente da casa (per la RU è previsto il ricovero, ma con una firma si lascia l’ospedale, si rimane sole a fronteggiare la cosa più enorme della vita dell’uomo, la morte).
La nostra legge è passata anche grazie ad alcune balle della propaganda radicale negli anni della legge e del referendum: dicevano che 25mila donne morivano ogni anno sotto le mani delle mammane (molte meno di 200, comunque tante ma un’altra cosa); sparavano cifre assurde; fecero abortire le mamme di Seveso, dopo la nube. I feti fatti esaminare poi rivelarono che quei bambini erano tutti sani. 33 morti.
D’altra parte anche la legge americana, la famosa Roe contro Wade, nacque da una bugia, da un falso stupro inventato ad arte.
In realtà tutte le bugie me le spiego solo con una iniziativa attiva e mirata della coda del Diavolo. Non c’è altra spiegazione. Perché l’aborto porta solo male, è un gioco a somma negativa in cui tutti perdono, come in tutte le iniziative dell’Ingannatore: perde il bambino, ovviamente, ma anche la mamma che per anni – a volte anche per ottanta anni, ha raccontato una donna al telefono Sos vita – sarà tormentata dal pensiero, anche se rimosso (mentre invece il riconoscimento e il pentimento fanno guarire).
La sindrome post aborto non è molto conosciuta, ma si parla di depressione, tumori, incubi, vere e proprie psicosi, con le mamme a cui sembra di vedere il loro bambino vivo, che continua a crescere mano a mano che passano gli anni dalla data fatidica. Perde anche il medico, che, continuando a uccidere bambini tradisce il suo mandato – guarire – e accumula uno stress insopportabile (qualcuno si è suicidato).
La donna – lo dicono ricerche come al solito non diffuse – sarà soggetta a problemi fisici e psicologici, mentre nessuna di quelle che sceglie di portare avanti la gravidanza si è mai detta pentita, dopo avere visto il suo bambino, nonostante tutte le difficoltà.
Poi ci sono le iniziative come “Le culle per la vita”, per dirne una sola. L’idea è stata quella di ripristinare l’antica ruota, cioè la possibilità di abbandonare i neonati subito dopo averli partoriti. La madre proprio non può farsene carico, ma riconoscendo l’intoccabilità della vita, la serve comunque come può, e dà alla luce il bambino, per poi lasciarlo in ospedale.
Ricordo un articolo su questo, su Repubblica. La giornalista, Maria Novella De Luca, invece che riconoscere la bontà di un’idea che salva vite umane, ha scritto un commento assurdo del tenore “quelle madri sono soprattutto immigrate, e perciò, poveracce, non sanno che qui da noi l’aborto è un diritto”.
A parte la difesa della cultura della morte, che su Repubblica non mi stupisce di certo, mi chiedo: nessuno dei capiredattori, vicedirettori, direttore della collega si è accorto che ha scritto una colossale bugia? Nessuno, evidentemente, vuole ricordare che neanche secondo la 194, che è una legge orribile, l’aborto è consentito come semplice strumento di regolazione delle nascite. E’ permesso solo quando una donna è in grave pericolo. E sottolineo grave pericolo.
Lo sottolineo tre volte. E’ vero che al pericolo di salute poi nel testo si sono aggiunti anche i pericoli riguardanti le condizioni economiche, ma ci deve comunque essere un grave pericolo. E non c’è quasi mai. Infatti quelle donne che hanno abbandonato i neonati non sono morte.
Invece nella prassi comune basta un certificato di un medico che non fa il suo dovere, e la donna viene autorizzata. Fuori legge. Contro la legge. Una legge che non è buona ma che non arriva a tanto.