Il profilo dei nuovi evangelizzatori

Vangelo della XXXI Domenica del Tempo Ordinario

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di padre Angelo del Favero*

1 Ts 2.7b-9.13
Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre, che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Vi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il Vangelo di Dio

Mt 23,1-12
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri..; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi.., dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”(…). Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”.

Ricordando con toni affettuosi il suo soggiorno a Tessalonica, Paolo traccia il ritratto autobiografico dell’annunciatore del Vangelo: afferrato dall’amore di Cristo, convinto della necessità di soffrire con gioia per il Vangelo, pronto a lottare con il coraggio di una madre che difende il suo bambino, l’araldo della buona Novella dovrà mostrarsi nello stesso tempo pastore amorevole, premuroso, affezionato ad ognuna delle sue pecore più che alla propria vita.

Richiamando più volte il proprio affetto fraterno, l’apostolo sembra suggerire ai missionari del Vangelo di farsi suoi imitatori non solo nella pratica concreta (1 Cor 11,1), ma anche nell’atteggiamento del cuore.

E’ in questi termini che Benedetto XVI (umile ed infaticabile protagonista della nuova evangelizzazione), ha chiamato a raccolta i credenti indicendo l’Anno della fede. Ecco, infatti, la sua consegna precisa: “Nella quotidiana riscoperta dell’amore di Cristo attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti, che non può mai venire meno” (Lettera Apostolica “Porta fidei” n.7).

I nuovi apostoli del Vangelo dovranno dare testimonianza di affetto reciproco intenso e puro, profondamente libero, pronti a donare la vita per Cristo e per i fratelli. Perciò sarà necessario che tutti i credenti vivano un rapporto di amicizia fortissima con il Signore Gesù, non solo non comportandosi da nemici della sua Croce, ma rimanendo sempre presso di essa, assieme a Maria sua Madre.

In tema di tale testimonianza, purtroppo, fa più notizia il caso raro opposto (specie se gravemente negativo) che l’esemplare, spesso eroica fedeltà della grande maggioranza dei sacerdoti. Anche fra questi ultimi, tuttavia, non mancano comportamenti incoerenti, che sconcertano i fedeli impedendo di edificare le comunità nell’amore.

E’ di questi cattivi esempi che Gesù oggi parla nel Vangelo, indicando (per contrasto) il criterio interiore irrinunciabile per un’efficace nuova evangelizzazione: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalta, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato” (Mt 23,11-12).

Quello che Gesù “dipinge”, è il ritratto del ministro responsabilmente incoerente, fariseo in condotta, ricco di occulta superbia e palesemente geloso delle proprie prerogative. Egli da’ scandalo, ma sembra non rendersene conto mentre predica ciò che non fa; oppure si autogiustifica in nome dell’efficacia intrinseca del seme della Parola divina, che non può essere vanificata dalla naturale debolezza del seminatore.

Così, mancando il sale della testimonianza sincera, sulla bocca di un tale annunciatore la Parola è una luce tenuta nascosta dalla sua stessa vita (Mt 5,13-16), ed egli rischia di nuocere alla nuova evangelizzazione più di un avversario della fede (“Porta fidei”, n. 3).

Leggendo il Vangelo odierno, si ha quasi l’impressione che Gesù esageri con tinte plateali la rappresentazione sfigurata degli scribi e dei farisei, tanto che il moto primo può essere quello di un sorriso da spettatore che pensa “non sono io”.

In realtà, la denuncia e l’avvertimento del Signore sono del tutto attuali, dato che non è poi così rara la tristezza di esempi simili nei sacerdoti “in cura d’anime”, nelle persone consacrate, negli appartenenti ai Movimenti ecclesiali, nei laici catechisti, ecc..

L’osservazione non vuole essere né ingiusta, né polemica, ed interpella anzitutto la mia coscienza.

Voglio qui ricordare le parole con cui il beato Giovanni Paolo II ha introdotto la missione della nuova evangelizzazione nel terzo millennio: “E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità. (…) E’ un impegno che non riguarda solo alcuni cristiani: tutti i fedeli, di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 30).

Infine, ecco cosa ha scritto un grande teologo: “Il fatto che la Chiesa abbia ricevuto nella sua istituzione e tradizione, nella sua gerarchia, nei suoi sacramenti e nelle sue forme, la promessa di una santità oggettiva, inespugnabile per le potenze dell’inferno, garantisce la continuità della sua missione divina sino alla fine dei tempi; però non la dispensa in nessun modo dal perseguire una santità soggettiva e personale; anzi tutto ciò che è istituzionale e soggettivo esiste solo in funzione di questa santità di vita. L’ufficio del sacerdote esiste per la comunità, le fonti di grazia dei sacramenti esistono per coloro che vi si accostano, la Parola di Dio esiste per chi l’ascolta. E quanto più una persona, come sacerdote, come membro di un Ordine religioso o come depositario di una grazia sacramentale, è vicina alle fonti della santità oggettiva della Chiesa, tanto più è obbligato ad aprire e adeguare la propria vita alla santità oggettiva che egli serve e custodisce. La santità, soggettivamente intesa, si identifica con l’amore, che preferisce Dio e gli uomini a se stesso, che cioè vive per la comunità della Chiesa” (Hans Urs von Balthasar, Sorelle nello Spirito. Teresa di Lisieux e Elisabetta di Digione, Introduzione).

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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