La scandalosa Sapienza della Croce: Gesù che soffre e viene rifiutato per risorgere

Commento al Vangelo della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) – 13 settembre 2015

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Gesù convoca questa Domenica la folla insieme ai suoi discepoli, le sue parole sono per tutti, anche per gli indecisi, anche per chi gli s oppone. “Se qualcuno vuole venire dietro a me”, e obbliga tutti a guardarsi dentro e a scoprire le carte, e decidere se davvero lo vogliamo seguire. Gesù scuote la nostra libertà come in uno scrutinio: quel “se” si impone alle nostre abitudini, si incunea dentro le nostre acquisizioni fatte di riti quotidiani, ripetuti stancamente.

Lavoro, casa, svaghi, studio, la nostra esistenza segue un ritmo, un incedere, segue qualcosa, qualcuno, ma chi? Chi, che cosa ho deciso di seguire? Forse è una questione che non ci siamo mai posti, abbiamo ricevuto una scelta fatta da altri, spalmando la vita su una fetta di mode e abitudini che ci garantiscono un galleggiare neanche male tra le onde dei giorni.

Come una vita telecomandata illudendoci di esserne al timone. O abbiamo scelto di seguire Gesù, cercando di essere coerenti, e ci stanchiamo e ci sentiamo sconfitti. O forse no, siamo contenti di quel che abbiamo realizzato, lo attribuiamo al Signore, e siamo in pace

Per questo le parole di Gesù rivolte ai discepoli, a Pietro, e a ciascuno di noi sono insieme una domanda e un rimprovero. Il Vangelo di oggi è stretto in questa morsa perché fuoriesca il pus che giace nascosto nei nostri cuori e nelle nostre menti. Davvero desideri seguirlo? Allora non puoi pensare secondo gli uomini.

La parola greca che nel Vangelo indica il pensiero, assume una gamma di significati che ci aiutano a comprendere il senso di quanto detto da Gesù. Tutti ruotano attorno a quello più profondo di “sapienza”. La stessa che diviene astuzia nel caso del serpente di Gen. 3. Ma anche la sapienza creatrice di Dio, come appare in più testi della letteratura sapienziale, dove l’uso del vocabolo secondo il greco della traduzione della LXX assume il senso di giudizio, perspicacia, discernimento. Nei Vangeli, il termine indica spesso una sapienza capace di valutare, di aspirare ad una meta, di prendere posizione. Il pensiero è legato alla sapienza, che può essere secondo la carne o secondo Dio.

Il pensiero-sapienza è una sorta di Dna spirituale. Nella natura, esso rappresenta la molecola chiave nell’economia della cellula. Come in una “catena” di informazioni, nel Dna è contenuta l’informazione genetica dalla quale partono tutte le informazioni su come deve essere fatta e su cosa deve produrre una cellula. L’informazione viene poi trasmessa alle generazioni successive.

Potremmo chiederci quale sapienza vi sia all’origine dei nostri pensieri, delle aspirazioni, e delle scelte, e dei nostri atti. Se il nostro Dna spirituale stia scrivendo una catena carnale o una catena divina. Se in noi tutto è scomposto, frammentato, se i dubbi la fanno da padrone, o se si può riscontrare un centro, un origine che infonde pace, gioia, gratitudine.

La “dittatura del relativismo” evocata da Benedetto XVI che governava anche i pensieri dei contemporanei di Gesù, faceva dire alla gente le cose più diverse su Gesù. Esattamente come farà Pietro prendendo in disparte il Signore per rimproverarlo.

La gente ha i propri schemi, il Dna del pensiero disegna sugli eventi presenti una catena di informazioni che inducono a prendere posizione, a discernere, a fissare obiettivi, ma sono tutti secondo la carne. Le risposte della “gente” circa l’identità di Gesù sono tutte confinate in un passato – Giovanni Battista, Elia, uno dei profeti – che si proietta sul presente allungandosi sul futuro.

È la traccia evidente dell’opera di satana, il suo Dna millantatore e ingannatore. Gli effetti si rivelano in Pietro, adirato, scandalizzato, in contrapposizione con la stessa opera di Dio della quale si protestava addirittura difensore.

Gesù infatti lo apostroferà con il nome che smaschererà l’origine del suo pensiero. Pietro ha intuito, perché il Padre glielo ha rivelato, la vera identità del suo Maestro, ma la concupiscenza della carne impedisce lo sguardo di fede, e ne incita la ribellione. San Paolo descrive bene nel capitolo 8 della Lettera ai Romani la realtà di Pietro. Identica alla nostra.

Appartiene a Cristo chi ne ha lo Spirito, potremmo dire il pensiero secondo altri testi paolini. Pensare secondo la carne, seguirne i desideri significa essere nemici di Dio. Pietro con i suoi pensieri umani, carnali, era un nemico di Dio, sino ad identificarsi con esso, con il nemico, Satana. Diventava così scandalo, l’inciampo sul cammino di obbedienza che il Figlio doveva percorrere.

Il pensiero di Pietro si era posto innanzi e di traverso a quello di Dio. Gesù doveva soffrire ed essere rifiutato per risorgere. Era questa la missione di Cristo, del Messia, che Pietro aveva pur riconosciuto e confessato. Era il Figlio dell’uomo, l’Uomo che realizzava il pensiero di Dio.

Era la Sapienza stessa di Dio, la scandalosa Sapienza della Croce. Per questa sapienza Egli doveva donare la vita, e non era un dovere morale, ma, come suggerisce l’originale greco, era una necessità di tipo naturale. Era nel Suo Dna l’amore per i propri amici e anche per i propri nemici, sino alla morte. Lui pensava un amore infinito.

Altro aveva in mente Pietro. Altro abbiamo in mente noi. Anziani, sacerdoti, scribi, sono tutte categorie che portiamo dentro. Costituiscono la catena del Dna dei nostri pensieri. Prestigio, potere, intelligenza, religione. Sì, anche la religione, come un totem capace di soddisfare i nostri desideri.

Gesù sarà rifiutato proprio dai nostri pensieri, la cui immagine appare chiaramente nelle categorie “religiose” che storicamente lo condurranno al supplizio: “Sono le tre maschere dell’unico male, l’egoismo… Corrispondono alle tre concupiscenze sulle quali si struttura il mondo…e ai tre aspetti seducenti e illusori del frutto proibito, che già ad Eva parve buono, bello e desiderabile” (S. Fausti, Ricorda e racconta il Vangelo). Il veleno di satana, il Dna impazzito dei nostri pensieri.
Ma proprio qui appare la salvezza, per Pietro e per ciascuno di noi. L’amore infinito di Gesù, che chiama per nome il nostro pensiero corrotto, per tirar fuori ed espellere il veleno che ci distrugge. Satana. Pietro. Tu. Ed io. Satana che occulta la verità scoprendone solo un pezzettino. Satana che mostra il rifiuto e la morte e nasconde la risurrezione.

E Pietro ci casca, e sgrida il Signore. Non ha sentito, non ha potuto ascoltare la buona notizia che il Signore aveva annunciato subito dopo l’annuncio della passione, si era bloccato alla parte che riguardava il dover soffrire, il suo pensiero inquinato gli aveva sottratto l’epilogo di Gloria. Non aveva compreso l’amore, il dover morire per risuscitare, il dover caricarsi del rifiuto e dei peccati, per cancellarli e per risorgere, garanzia del perdono e della vita eterna.

Lo capirà più tardi, quando l’evento annunciato si farà carne in Lui, la carne santificata dallo Spirito di Cristo risorto. Quando il pensiero sarà, per mezzo dello Spirito Santo, lo stesso pensiero di Cristo, e guiderà la sua carne ad essere offerta in una missione identica a quella del Signore. Sino alla Croce.

Quello che ora rifiuta sarà il suo destino, la morte con la quale glorificherà chi ha rifiutato. E così per noi. Esattamente quello che stiamo oggi rifiutando sarà il nostro trofeo, il candelabro sul quale brillerà la luce del Padre in noi. Malattie, fallimenti, rifiuti. La nostra croce.

Per ora però, Pietro deve scendere, tornare, convertirsi. Tornare a camminare dietro Gesù, perché l’originale greco non dice “lungi da me” ma “dietro di me”. Quest’ultima è l’espressione che caratterizza il discepolo.

Gesù vuole Pietro vicino. Ci vuole con Lui, ma al nostro posto sul cammino di conversione che ci conduce alla fede adulta, ad offrire la nostra vita sulla Croce. Non ci giudica, ci illumina. Ci dice la verità e svela quel che abbiamo nel cuore e nella mente.

E ci attira a sé con amore, per im
parare a seguirlo, a camminare umilmente ogni giorno con Lui, per conoscerlo negli eventi della vita. Può chiamarci con autorità ad odiare e rinnegare la nostra vita, quella dell’uomo vecchio, perché, come un fidanzato che chiede la mano alla fidanzata, ha mostrato chi è, ha rivelato il suo amore.

Su di esso possiamo fondare la nostra vita rinnovata in Lui, possiamo uscire dalla casa dei nostri genitori, dove abbiamo cercato di difenderci e salvare la nostra vita, e seguirlo caricando la nostra croce, dove, uniti a Lui nostro Sposo, potremo perdere la vita in virtù del suo potere, per Lui e per il Vangelo.

Sì, fratelli, nella Chiesa sperimentiamo a favore di tutti l’amore infinito di Dio. Ascoltiamo il vangelo che, facendosi carne in noi, diventa una Buona Notizia per ogni uomo. E’ questa la vita nuova, salvata oggi e per l’eternità, quella spesa sino all’ultimo respiro per annunciare il vangelo.

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Antonello Iapicca

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