Dove andare se davvero abbiamo incontrato Cristo?

Commento al Vangelo della XXI domenica del Tempo Ordinario (Anno B) — 23 agosto 2015

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“Volete andarvene anche voi?”. La domanda di Gesù ci interroga questa domenica con tenerezza e fermezza. Gesù conosceva il destino di solitudine che lo attendeva. Solo, nella passione e sulla Croce, solo, nel sepolcro.

Ma proprio quell’estrema solitudine lo ha costituito primogenito di una moltitudine immensa. Dalla sua solitudine è sorta la Chiesa, frutto primaticcio della sua risurrezione. Sì, Gesù è morto solo per risorgere insieme ad ogni uomo, perché “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). 

E’ la solitudine della Croce che genera la comunione; il dono totale di se’ suppone l’essere abbandonati, rifiutati, lasciati soli, poiché esso avviene sempre quando le strategie umane segnano il passo, quando ogni relazione risulta compromessa. Ci si dona veramente solo quando l’altro non ha più nulla da dare, quando tradisce, quando rifiuta.

L’amore si rivela autentico e fecondo, gratuito, proprio quando non ha nulla da sperare dall’altro, quando questi sembra perduto. Per questo Gesù risorto dice alla Maddalena di andare ad annunciare ai suoi fratelli che Egli sarebbe salito al “Padre suo e Padre loroDio suo e Dio loro”: il passaggio solitario nella morte aveva misteriosamente condotto nella comunione ormai senza limiti dei figli dello stesso Padre quanti lo avevano tradito e lasciato solo.

Come Giuseppe, proprio perché venduto e abbandonato dai fratelli, ha potuto provvedere alla loro indigenza, stringendosi con essi in una comunione rinnovata, che sorge dal celeste sguardo di fede capace di superare i peccati. 

Per questo Gesù andava incontro senza indugio al suo destino di solitudine. E scrutava i cuori dei suoi discepoli; non chiedeva loro di rimanere con Lui, sapeva che non l’avrebbero fatto. Illuminava il loro cuore per liberarlo dalla menzogna e dall’inganno. Li preparava per lo stesso suo destino. 

Seguire il Signore, infatti, è partecipare della sua solitudine. Ogni apostolo è chiamato ad offrire la propria vita con Lui, proprio quando il linguaggio della predicazione e della testimonianza si fa duro, impossibile da comprendere.

La missione della Chiesa – come quello di un padre, di un amico, di un fidanzato o anche di un coniuge – è quella di essere sacramento di salvezza, come un’ostia offerta per ogni uomo. La Chiesa è il corpo di Cristo abbandonato e tradito, lasciato solo nella morte perché il mondo riceva la vita. “Volete andarvene anche voi?”, volete anche voi rifiutare la durezza salutare del linguaggio della Croce, l’unico capace di distruggere la durezza del peccato? 

Le parole con le quali Gesù ha annunciato la sua missione di Pane celeste, di unico e vero alimento che risuscita e dà la vita, sono parole dure, difficili da comprendere, perché è duro il giogo del peccato che imprigiona la carne.

I discepoli mormorano e non capiscono perché la carne soggetta al peccato occulta l’estrema serietà e tragicità di un’esistenza lontana da Dio. E’ necessario lo Spirito Santo che illumini e liberi la carne; sono necessarie “le parole di Gesù che infondono Spirito e Vita”. 

Restare con Gesù, seguirlo e dimorare con Lui significa dunque accogliere le sue parole che generano la fede, perché si compiano nella propria vita: “Quest’inquietante provocazione ci risuona nel cuore e attende da ciascuno una risposta personale.

Gesù infatti non si accontenta di un’appartenenza superficiale e formale, non gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione; occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita “al suo pensare e al suo volere”.

Seguirlo riempie il cuore di gioia e da’ senso pieno alla nostra esistenza, ma comporta difficoltà e rinunce perché molto spesso si deve andare controcorrente” (Benedetto XVI). Fede e conoscenza dunque, bastioni su cui la noia, le alienazioni, la disperazione si infrangono senza recar danno. 

Dove andare se davvero abbiamo incontrato Cristo? Per quali sentieri sciogliere la mente se una Parola ci ha donato la vita eterna? Il mondo sbuccia la vita come un carciofo, cerca, ricerca, e non trova nulla. Noi invece, per pura Grazia, abbiamo incontrato una Parola, quella che nessuno ha mai pronunciato, la Parola di Gesù.

A volte può sembrar dura, spesso lo è davvero, specie quando ci smaschera, e ci ritroviamo così imprigionati dall’orgoglio da non poter credere a un amore così grande che si fa carne da mangiare. Ma è sempre una Parola di libertà, la misericordia che ci ha colto quando non meritavamo nulla, se non una condanna esemplare, forse oggi, forse ora.

Un amore senza limiti capace di ricreare quanto in noi il peccato ha distrutto. Una Parola di vita eterna. Non un articolo di giornale, un’opinione, un proclama; tanto meno una linea politica disegnata per essere smentita dall’arroganza e dagli appetiti della carne. Una semplice Parola capace di incastrarsi nel nostro cuore e farne un prodigio, trasformandolo nel cuore di Cristo.

Dove andare, cosa ancora cercare, quali speranza ancora inseguire, se davvero abbiamo ascoltato la sua Parola, se in essa abbiamo conosciuto Cristo, l’unico che ci ama davvero? La vita è molto meno complicata di quel che crediamo, perché la vita si risolve in un incontro. La Chiesa è qui, oggi e sino alla fine del mondo, per offrire a ogni uomo la possibilità di questo incontro.

La nostra stessa vita ci è donata per incontrare il Signore. Accettando la solitudine in famiglia, al lavoro, nella scuola, la solitudine profonda che ci afferra quando il marito non ci comprende, quando il fidanzato vorrebbe quello che proprio non possiamo e non dobbiamo dare, quando un figlio si intestardisce e non ascolta più; accettare la solitudine provocata dalla parola dura di un amore incorruttibile annunciata al prossimo, parola di verità rifiutata e calpestata: accettare ed entrare in questa solitudine per riscattare proprio chi ci rifiuta e ci abbandona, per riconsegnarlo al Padre.

Non vi è altra missione per noi, essere la carne e il sangue di Cristo per chiunque si affacci alla nostra vita: “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”, per questo abbiamo in noi la vita che non muore, e con essa possiamo scendere nella solitudine del sepolcro dove giace chi ci è accanto, per risvegliarlo e riscattarlo, perché possa riconoscere, con noi, in Dio suo Padre.

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Antonello Iapicca

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