Giovedì 20 agosto, in uno dei giorni di massima affluenza all’Expo 2015 di Milano, a Casa Corriere, il Padiglione del quotidiano milanese, si è tenuto nel tardo pomeriggio, un incontro con i giornalisti Stefano Giussani e Maria Luisa Villa, intitolato Come salvare il cibo in scadenza. Dalla grande distribuzione al nostro frigo: ridurre gli sprechi.

Riprendendo una riflessione già apparsa tra febbraio ed aprile sul blog tenuto da Giussani sull’Huffington Post, i due giornalisti hanno conversato su alcuni dei consigli per ridurre lo spreco di cibo. Questi consigli, rappresentati anche sotto forma di decalogo, possono essere suddivisi genericamente in tre ambiti:

Il primo, è riconducibile al tema del come “riempire” la dispensa:

  • preferire il piccolo negozio per farsi raccontare da dove arriva il prodotto, senza essere  abbagliati dalle offerte “tre x due”;
  • utilizzare i gas (gruppi di acquisto solidale), sia a livello di condominio che di gruppo di amici / famiglie, in modo da “strappare” un prezzo più basso ed avere un contatto diretto con il produttore;
  • donare al vicino di casa del cibo in eccedenza che non può essere utilizzato.

Il secondo, è più o meno assimilabile al “mettere in tavola” il cibo:

  • prepararsi in casa alcuni alimenti, come lo yogurt o, in alcune circostanze, anche il pane;
  • cucinare elaborando anche degli avanzi.

Il terzo ed ultimo, riguarda l’aspetto psicologico delle modalità di acquisto di ogni consumatore:

  • fare una lista della spesa, e soprattutto rispettarla;
  • non fare la spesa quando si ha fame, in quanto tendenzialmente si è portati ad acquistare più alimenti;
  • acquistare i prodotti in quantità ragionevole, anche nell’eventualità di poterseli preparare in proprio;
  • non essere ossessionati dalle scadenze in quanto spesso (come per il latte) vi è qualche giorno di margine e questo consentirebbe, soprattutto ai distributori, di non eliminare dagli scaffali quantità di cibo in prossimità della scadenza.

In questo terzo gruppo, tuttavia, vi è certamente un atteggiamento che non riguarda esclusivamente se stessi, ma la percezione che gli altri hanno di noi (o naturalmente noi degli altri). E cioè, la richiesta nei ristoranti della doggy bag, ovvero la scatola dove poter inserire il cibo non finito e poterlo portare via per un uso successivo.

La richiesta della doggy bag (o più semplicemente della “busta”, in una delle semplici definizioni meridionali d’altri tempi), che molti anni fa era più consueta, soprattutto a conclusione delle cerimonie (nuziali e non solo), negli ultimi decenni è quasi scomparsa in quanto percepita come comportamento del quale vergognarsi.

Ora, intorno alla doggy bag, non c’è solo un cambio di atteggiamento dovuto a molteplici fattori, che vanno dalla crisi, ai temi della sostenibilità economica, a quelli della solidarietà agli indigenti ma si torna ad investire in termini di marketing su questi contenitori, anche dal punto di vista estetico.

A tal proposito, nell’interessante mostra in corso alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma dal titolo Corporate Art, l’azienda come oggetto d’arte, fanno bella mostra di sé quindici doggy bag dalle forme più diverse e dalla grafica più varia, sia astratta che con richiami ad alimenti.

Ecco, in una giornata di grande affluenza all’Expo dove è stato per certi versi complicato percepire l’essenza del significato di questa Esposizione Universale, Villa e Giussani, ricorrendo anche alle proprie esperienze (di famiglia la prima, di single il secondo), ci ricordano che spesso, basta partire dalla quotidianità, orgogliosi dei propri semplici comportamenti, anche quello di chiedere una “bella doggy bag”.