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Conosciamo ormai le analisi sul momento storico presente, sulle difficoltà che le nostre Chiese possiedono e la crisi del momento presente. Non si può dimenticare che sono stati dedicati due Sinodi sull’Europa; il primo venti anni fa, nel 1991; il secondo nel 1999 da cui è scaturito Ecclesia in Europa nel 2003. Quanto là è stato discusso e scritto non può cadere nell’oblio. E’ vero, sono passati ormai decenni; eppure in quelle pagine si trovano indicazioni per noi preziose; prima fra tutte là dove si dice: “Che è andata sempre più maturando la consapevolezza dell’unità che, senza rinnegare le differenze derivanti dalle vicende storiche, collega le varie parti dell’Europa” (n. 4); e ancora più direttamente: “Ovunque c'è bisogno di un rinnovato annuncio anche per chi è già battezzato. Tanti europei contemporanei pensano di sapere che cos'è il cristianesimo, ma non lo conoscono realmente. Spesso addirittura gli elementi e le stesse nozioni fondamentali della fede non sono più noti. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse: si ripetono i gesti e i segni della fede, specialmente attraverso le pratiche di culto, ma ad essi non corrisponde una reale accoglienza del contenuto della fede e un'adesione alla persona di Gesù. Alle grandi certezze della fede è subentrato in molti un sentimento religioso vago e poco impegnativo; si diffondono varie forme di agnosticismo e di ateismo pratico che concorrono ad aggravare il divario tra la fede e la vita; diversi si sono lasciati contagiare dallo spirito di un umanesimo immanentista che ne ha indebolito la fede, portandoli sovente purtroppo ad abbandonarla completamente; si assiste a una sorta di interpretazione secolaristica della fede cristiana che la erode ed alla quale si collega una profonda crisi della coscienza e della pratica morale cristiana. I grandi valori che hanno ampiamente ispirato la cultura europea sono stati separati dal Vangelo, perdendo così la loro anima più profonda e lasciando spazio a non poche deviazioni” (EiE 4). E’ sufficiente rileggere i discorsi di Benedetto XVI, soprattutto nelle sue visite in Gran Bretagna, Portogallo e Germania per verificare quanto queste considerazioni siano vere e mantengano la loro attualità fino ai nostri giorni.

Sulla base di queste indicazioni, non si può dimenticare il contesto culturale con i tratti di secolarismo presenti e le sue conseguenze negative soprattutto per quanto riguarda la comprensione dell’esistenza personale. Siamo dinanzi a una situazione per molti versi paradossale; emerge il distacco dalla religione cristiana e sembra rinnovarsi il senso per una ricerca del sacro e del religioso; si afferma che la fede non può avere alcuna voce quando si parla di vita privata, pubblica o sociale, eppure riusciamo a riempire le città con le iniziative pubbliche. Resta, purtroppo, evidente che l’esistenza personale si costruisce ormai prescindendo dall’orizzonte di fede che è relegato a un ambito privato senza incidere nella vita delle relazioni interpersonali, sociali e civili. Il nostro contemporaneo è fortemente caratterizzato dalla gelosia per la propria indipendenza personale. Diventato allergico a ogni pensiero speculativo, si limita al semplice momento storico, all’attimo temporale, illudendosi che è vero solo ciò che è frutto della scienza e quindi anche lecito moralmente. E’ precipitato in una sorta di empirismo pragmatico che lo porta ad apprezzare i fatti e non le idee. Senza alcuna resistenza cambia rapidamente il suo modo di pensare e di vivere, diventando un soggetto progressivamente più cinetico, sempre pronto cioè a sperimentare; desideroso di essere coinvolto in ogni gioco anche se più grande di lui, specialmente se lo rapisce in quel narcisismo non più neppure velato che lo illude sull’essenza della vita. Insomma, siamo dinanzi a un’esplosione di rivendicazioni di libertà individuali che tocca la sfera della vita sessuale, delle relazioni interpersonali e familiari, delle attività del tempo libero come di quelle lavorative; pensare che questa dimensione non tocchi anche la fede è un’illusione da cui stare lontani. La religione, infatti, non viene negata, ma pensata con un suo ruolo ben delimitato; interviene solo in parte e marginalmente nel giudizio etico e nei comportamenti. Per quanto paradossale possa sembrare, le rivendicazioni sociali sono sempre fatte in nome della giustizia e dell’uguaglianza, ma alla base si riscontra determinante il desiderio di vivere più liberi a livello individuale. A differenza del recente passato, si tollerano e si sopportano molto di più le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, piuttosto che le proibizioni che intaccano la sfera privata. Insomma, si è venuta a creare una situazione completamente nuova in cui si vogliono sostituire gli antichi valori, soprattutto quelli espressi dal cristianesimo. In un orizzonte di questo tipo, in cui l’uomo viene a occupare il posto centrale, baricentro di ogni forma di esistenza, Dio diventa un’ipotesi inutile e un concorrente da evitare. Tale svolta si è attuata in maniera relativamente facile, complici spesso una teologia debole e una religiosità fondata più sul sentimento e incapace di mostrare il più vasto orizzonte della fede.

Dio ha perso la centralità che possedeva. La conseguenza è che l’uomo stesso ha perso il suo posto. L’eclissi del senso della vita riduce l’uomo a non sapersi più collocare, a non trovare più un posto all’interno del creato e della società. In qualche modo cade nella tentazione prometeica: s’illude di poter diventare padrone della vita e della morte, perche è lui a decidere quando, come e dove. Si vive una cultura tesa a idolatrare la perfezione del corpo, a rendere selettivo il rapporto interpersonale sulla base della bellezza e della perfezione fisica e si finisce dimenticando l’essenziale. Si cade così in una sorta di narcisismo costante che impedisce di fondare la vita su valori permanenti e solidi, per bloccarsi a livello dell’effimero. Qui, pertanto, si pone la grande sfida che attende il futuro: far comprendere che costringere al silenzio il desiderio di Dio radicato nell’intimo, non può mai far approdare alla vera autonomia dell’uomo. In questo contesto, è necessario che la nuova evangelizzazione si faccia carico di contenuti capaci di mostrare che l’enigma dell’esistenza personale non si risolve rifiutando il mistero, ma scegliendo di immettersi in esso. Questo è il sentiero da percorrere; ogni scorciatoia rischia di farci perdere nei meandri di una boscaglia, da cui e impossibile vedere sia l’uscita sia la meta da raggiungere.

Ai nostri giorni “crisi” sembra uno dei termini tra i più utilizzati del nostro vocabolario quotidiano. Assistiamo a questa condizione spesso inermi o, forse, incapaci di trovare la via maestra per uscirne. La crisi, comunque, non è mai un evento esclusivamente negativo; essa contiene elementi che provocano a riflettere su quale e quanto è stata credibile la nostra pastorale per obbligarci a trovare forme più adeguate per poter andare oltre. Si può pensare anche positivamente in tempo di crisi. Per quanto a fondo si possa spingere la nostra verifica circa l’attuale situazione di permanente crisi in cui il mondo versa, è necessario ribadire che questa non e primariamente di ordine economico e finanziario. La crisi che stiamo vivendo è, anzitutto, di ordine culturale e antropologica. L’uomo è in crisi. Non è più capace di ritrovare se stesso dopo le lusinghe cui aveva dato retta, soprattutto quando aveva creduto di aver raggiunto l’età adulta e di essere pienamente padrone di sé e indipendente da ogni autorità. Se l’opera di nuova evangelizzazione si svolgesse solo come la ripresa di una pratica religiosa sarebbe limitata e riduttiva. E’ necessario che essa entri nell’individuazione della patologia per portare una terapia efficace.

Per quanto riguarda l’Europa, si presenta una situazione paradossale evidente. Nel tempo in cui essa viveva di valori condi visi, possedeva una forte identità che la rendeva facilmente riconoscibile nonostante i confini territoriali. In questi anni, invece, mentre sono stati abbattuti i confini e quindi poteva essere favorito un processo di unificazione, si assiste al moltiplicarsi delle differenze e all’aumento degli estremismi: la frammentarietà domina a tal punto da far sgretolare ogni possibile unità. Se questo si sta verificando, temo dipenda anche dal fatto che si vuole costruire un’Europa indipendente dal cristianesimo e, in alcuni casi, perfino contro di esso. Eppure, il cristianesimo è una condizione obbligatoria per comprendere coerentemente storia e attualità dei nostri paesi. La scelta della neutralità di fronte alla religione, ideata e perseguita da molti, è il metodo più dannoso che si possa immaginare. Le religioni per l’Occidente non possono essere tutte uguali. Non siamo in una notte oscura dove tutto e incolore. Il primato della ragione, conquistato nel corso dei secoli dalla nostra civiltà, non può appiattirsi su un egualitarismo da sabbie mobili che impedisce di discernere tra le religioni e di scegliere di riconoscere le proprie origini e l’apporto ricevuto dal cristianesimo. Vivere d’indifferenza, agnosticismo e ateismo non solo non consentirà mai di giungere a una risposta sul tema fondamentale del senso della vita, ma non permetterà neppure di centrare l’obiettivo dell’effettiva unità delle nazioni. Non è emarginando né esorcizzando il cristianesimo che si potrà forgiare una società migliore. Non potrà avvenire. Una lettura anticristiana non solo è miope, ma è sbagliata nelle sue stesse premesse. Non sarà possibile formare un’identità matura per i singoli e per i popoli prescindendo dal cristianesimo. Certo, la nostra storia è costellata di luci e ombre, ma il messaggio che portiamo è di genuina liberazione per l’uomo e di coerente progresso per i popoli. Il cristianesimo ha infuso valori e plasmato le culture, creando faticosamente ma con successo una sintesi tra il pensiero greco-romano, riletto alla luce della Sacra Scrittura, e le varie conquiste culturali, scientifiche e tecnologiche raggiunte nel corso dei secoli. Negli ultimi decenni questi valori si sono ossidati e rischiano di essere sottoposti a uno struggente logorio non per il trascorrere degli anni, ma per la corrosione operata da fenomeni culturali e legislativi che minano il tessuto sociale. Avere spalancato le porte a presunti diritti individuali non ha portato a maggior coesione sociale né tanto meno a un crescente senso di responsabilità. Ciò che è dato verificare, piuttosto, è il preoccupante arroccarsi in un individualismo senza sbocco che, presto o tardi, provocherà l’asfissia. L’Occidente, d’altronde, sembra vivere oggi con una profonda paura. Essa diviene quasi congenita presso popolazioni che avevano vissuto un lungo periodo di ricostruzione dopo la barbarie di due guerre, di un crescente benessere e di pace; vacillano molte certezze: la stabilità familiare, l’educazione dei figli, la sicurezza del lavoro, l’assistenza nella malattia, la casa, la pensione... insomma, tutto ciò che in genere è etichettato come progresso sociale si sbriciola sotto la scure di una crisi che non lascia spazio se non all’incertezza, al dubbio e, quindi, alla paura e all’angoscia.

La nuova evangelizzazione deve entrare in questo contesto culturale che forma la mentalità di generazioni di persone; è necessario che ci facciamo carico di riflettere sulla nostra capacità di poter creare un processo di trasmissione di valori e contenuti che tendono a formare l’identità, in modo tale che si recuperi un significativo senso di appartenenza. Non possiamo indietreggiare nell’assunzione di questa responsabilità e non dovremo accettare di essere emarginati. La nostra opera di nuova evangelizzazione comporta anche questo passaggio. Si tratta, insomma, di comprendere e superare lo iato che si è venuto a creare tra la società con le singole persone, e la comunità cristiana; perché da una parte si è indebolita l’identità personale priva di contenuti valoriali impregnati dalla fede; dall’altro l’individualismo ha portato a non sentire più il senso di appartenenza alla Chiesa.

Per questo, siamo convinti che la nostra presenza in questo momento della storia sia essenziale perché il processo di rinnovamento culturale e antropologico possa giungere a buon fine. Nessun altro potrebbe sostituirci nel portare quel contributo peculiare che appartiene a noi e che ha contrassegnato nel corso dei millenni una storia di umanizzazione senza confronti. Privi della presenza significativa dei cattolici i nostri paesi sarebbero in ogni caso più poveri, più isolati e meno attraenti. Non vogliamo che questo avvenga; chiediamo, pertanto, di essere ascoltati e messi alla prova per verificare la ricchezza della nostra fede per il genuino progresso della società. La speranza di cui siamo portatori ha qualcosa di straordinariamente grande, perché consente di guardare al presente, nonostante le difficoltà, con uno sguardo carico di fiducia. E’ la speranza che non delude perché forte di una promessa di vita che supera ogni limite e fissa lo sguardo sull’unica realtà necessaria: un Dio che ama e che ha condiviso la nostra esistenza umana.

Insomma, abbiamo il compito di produrre un pensiero che sia in grado di gettare le fondamenta per un’epoca che darà cultura impregnata di fede alle future generazioni, permettendo loro di vivere nella genuina libertà perché proiettate verso la verità. E’ questo pensiero che manca e, sinceramente, non lo vedo ancora all’orizzonte. Il dramma, probabilmente, sta tutto qui. Se manca la forza del pensiero non si può pretendere alcuna progettualità e tutto diventa monotono. Questo è il momento di una sinergia in grado di fare sintesi del patrimonio del passato per interpretarlo alla luce delle conquiste che caratterizzano la nostra epoca in modo da trasmetterlo alle generazioni che verranno dopo di noi. Noi, comunque, sentiamo l’impegno perché la nuova evangelizzazione si faccia carico anche di questa missione. Annunciare il Vangelo in modo nuovo equivale anche a trovare le forme perché sia compreso e accolto dall’uomo di oggi per provocarlo a riflettere sul senso della propria esistenza così da giungere a un’identità personale che sia capace di coniugarsi con il senso di appartenenza alla Chiesa.

Tutto questo rimane come un’indicazione importante per valutare soprattutto le difficoltà e le aspettative da parte dei vescovi e la necessaria collaborazione tra di noi come pure l’esigenza di dare segni di unità tra le Chiese particolari. Ciò significa, dare corpo alla nuova evangelizzazione perché non si riduca a una formula, ma esprima realmente il desiderio di mettersi in cammino verso una pastorale che si faccia carico delle istanze che sono presenti nella società e quindi partecipate nella comunità cristiana. La nuova evangelizzazione non si distingue dalla missione stessa della Chiesa di evangelizzare; ci sono, tuttavia, momenti storici in cui alcune condizioni culturali e sociali pongono la Chiesa in una particolare vigilanza per esprimere la sua missione di sempre. Questo è il nostro momento che siamo chiamati a vivere; la grazia di Dio obbliga a non rinchiuderci né in una visione romantica del passato né in una visione utopistica del futuro. La nuova evangelizzazione è una chance che viene offerta per leggere e interpretare l’attuale momento storico e per far diventare straordinaria un’attività ordinaria della Chiesa. In altre parole, siamo chiamati a vivere in modo straordinario un evento che è ordinario per la Chiesa come l’evangelizzazione. Non sarà mai detto a sufficienza, comunque, che la nuova evangelizzazione non nasce per l’istituzione di un nuovo dicastero nella Curia. La nuova evangelizzazione è un impegno che non solo è presente da diverso tempo, ma è anche efficace. Si possono elencare una pluralità di esperienze pastorali che sono espressione di una dinamica in costante crescita: dalle d iocesi alle parrocchie, dai movimenti antichi ai nuovi, dai diversi ordini religiosi all’associazionismo è possibile vedere un impegno e un interesse crescente. Ciò che si deve evitare è cadere nella trappola della frammentarietà tipica del nostro tempo. La frammentarietà, mentre accontenta l’attimo, dimentica la progettualità. E’ importante che ci facciamo carico di segni unitari e di spessore così da incidere nella vita e superare l’ostacolo che impedisce di guardare al futuro con serenità.

Desideriamo iniziare un cammino che possa diventare propositivo anche per altre Chiese particolari non solo in Europa, e che possano ispirarsi almeno al progetto comune se non alle stesse iniziative. Abbiamo chiamato questa prima iniziativa “Missione metropoli”. E’ un’attività che nasce per indicare un percorso anche al Sinodo dei Vescovi per il prossimo ottobre 2012. Probabilmente, non come iniziativa già consolidata, ma più realisticamente come un progetto ai suoi inizi. In questo primo momento saranno coinvolte 12 diocesi che hanno offerto la loro disponibilità: Barcelona, Bruxelles, Budapest, Köln, Dublin, Lisboa, Liverpool, Paris, Torino, Warsaw, Wien, Zagreb. Essa Prende avvio da esperienze che sono state già vissute da alcune Diocesi. In particolare, la missione cittadina di Roma che ha visto l’intera Chiesa per quattro anni in preparazione e attuazione di un’esperienza realmente storica. Alla stessa stregua, iniziative similari sono state vissute da altre diocesi che per alcuni anni hanno collaborato ai Congressi Internazionali per la Nuova Evangelizzazione. Facendo tesoro di queste esperienze, sia nei loro aspetti positivi sia in quelli più critici, abbiamo pensato di far compiere un percorso comune a queste 12 diocesi nello stesso periodo della prossima quaresima, per offrire un segno all’Europa che la Chiesa vive di unità e ne presenta momenti concreti di attuazione.

La peculiarità di questa proposta vorrebbe porsi come primo momento per una pastorale comune, condivisa e resa complementare per i diversi contesti culturali in cui viene vissuta. Ciò su cui vorremmo insistere, comunque, è la condivisione di alcune iniziative e la contemporaneità del loro svolgimento in modo da dare all’Europa un segno reale che non può passare inosservato. La nuova evangelizzazione prende in considerazione gli spazi comuni della vita ecclesiale con l’intento che l’intera comunità comprenda il suo essere in missione. Per alcuni versi, si dovrebbe andare oltre la formula della “missione al popolo”, per recuperare il “popolo in missione”; così che i credenti recuperino nello stesso tempo sia la loro identità cristiana, sia il loro senso di appartenenza alla comunità. Più direttamente, è necessario che la nuova evangelizzazione si faccia carico di ciò che costituisce per sua essenza l’atto stesso di fede. Questa iniziativa si sviluppa nelle seguenti tappe:

1.Il primato della Parola di Dio, con la lettura continuata del Vangelo di Marco.

2. Le catechesi del Vescovo, che avrà come luogo la cattedrale e come destinatari principali:

- i catecumeni, che avrà come riferimento il testo “La Parola della fede ti è vicina, sulla tua bocca e nel tuo cuore “ (Rm 10, 8).

- le famiglie, che avrà come riferimento il testo “Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti (1 Ts 3,12).

- i giovani, che avrà come riferimento il testo “In Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza “ (Col 2,3).

3. Il sacramento della riconciliazione, facendo comprendere la misericordia di Dio diventa icona per la stessa comunità ad essere segno di accoglienza.

4. La lettura del testo delle Confessioni di S. Agostino, per dare un segno pubblico a quanti sono in ricerca del senso della vita e ai credenti per verificare la permanenza del pensiero cristiano.

5. La carità, con un gesto concreto, con particolare riferimento alla drammatica situazione di siccità di alcuni Paesi dell’Africa, a cui anche il S.Padre ci ha richiamato.

Il cuore pulsante dell’iniziativa sarà la cattedrale, “chiesa madre” che genera nella fede sempre nuovi figli con il battesimo e allarga le braccia della sua misericordia donando il perdono e la riconciliazione. Dalla cattedrale il Vescovo esprime l’unità di tutta la Chiesa particolare e, proprio la cattedrale, indica la sua azione di primo evangelizzatore che presiede alla carità celebrando il mistero dell’Eucaristia.

La struttura di questo evento non dovrebbe far dimenticare l’inizio di un processo che entra nella pastorale quotidiana e che comporta in primo luogo il tema della formazione. E’ ovvio che essa si ripercuote su alcuni settori particolari: a) la formazione dei seminaristi: è possibile realizzare iniziative comuni che esprimano la scelta della diocesi di educare i giovani futuri sacerdoti a una visione peculiare di nuova evangelizzazione. b) I sacerdoti, operatori diretti dell’evangelizzazione. Prima di avere iniziative pastorali deve crescere la consapevolezza della necessità e dell’urgenza della nuova evangelizzazione. In questo senso, sarebbe utile verificare come coinvolgere le persone consacrate. c) I laici nel complesso rapporto con i movimenti. La NE può diventare realmente un momento di collaborazione nella complementarità. Il tema della catechesi che non può più essere solo limitata alla preparazione sacramentale, ma corrispondere a ciò che è per sua stessa natura. In questo senso dobbiamo verificare come utilizzare il CCC e il suo Compendio.

E’ fondamentale una riflessione sulla liturgia come momento peculiare della vita cristiana e della stessa nuova evangelizzazione. Si dovrà entrare nel merito della conoscenza della Parola di Dio e considerare quanto emerso dall’ultimo Sinodo con l’Esortazione Apostolica Verbum Domini. Non si può più tralasciare il tema dell’omelia e del suo valore nella vita dei sacerdoti e nella prassi pastorale. Il recupero del ruolo centrale della confessione nella vita dei credenti per il complesso valore esistenziale che possiede in questo momento di cambiamento antropologico. Il tema della carità per superare una visione spesso comune di una comunità che offre servizi caritativi ma non fa di questi uno strumento vero di evangelizzazione e testimonianza di carità. Insomma, l’evento particolare che speriamo nel prossimo futuro possa coinvolgere tante altre Chiese particolari, non deve nascondere il cammino più faticoso, ma certamente più efficace e fecondo della formazione.

Nel suo discorso al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova evangelizzazione lo scorso 31 maggio, Benedetto XVI diceva: «annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, oggi appare più complesso che nel passato; ma il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata, così come non devono mutare l’entusiasmo e il coraggio che mossero gli apostoli e i primi discepoli. Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr. At 2,1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo. Sant’Agostino afferma che non si deve pensare che la grazia dell’evangelizzazione si sia estesa fino agli apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita, ma “questa sorgente si palesa quando fluisce, non quando cessa di versare. e fu in tal modo che la grazia tramite gli apostoli raggiunse anche altri, che vennero inviati ad annunciare il vangelo... anzi, ha continuato a chiamare fino a questi ultimi giorni l’intero corpo del suo Figlio unigenito, cioè la sua Chiesa diffusa su tutta la terra” (Sermo 239,1). La grazia della missione ha sempre bisogno di nuovi evangelizzatori capaci di accoglierla, perché l’annuncio salvifico della Parola di Dio non venga mai meno, nelle mutevoli condizioni della storia... esiste una continuità dinamica tra l’annuncio dei primi discepoli e il nostro. Nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai smesso di proclamare il mistero salvifico della morte e risurrezione di Gesù Cristo, ma quello stesso annuncio ha bisogno oggi di un rinnovato vigore per convincere l’uomo contemporaneo, spesso distratto e insensibile. La nuova evangelizzazione, per questo, dovrà farsi carico di trovare le vie per rendere maggiormente efficace l’annuncio della salvezza, senza del quale l’esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell’essenziale. Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante». In altre parole, dice il Papa, la via della nuova evangelizzazione non è altro che il continuo cammino che dagli apostoli giunge fino a noi attraversando venti secoli di storia. Essa deve essere vissuta sotto il primato della grazia che permette a ognuno di percepire la presenza viva dello Spirito Santo che trasforma i cuori e permette di accogliere l’annuncio della salvezza. Il nostro compito come Pastori, pertanto, si solidifica per la presenza del Risorto in mezzo a noi e ci provoca ad essere sempre di nuovo testimoni fedeli e coraggiosi con un annuncio che coinvolge ognuno di noi e le nostre Chiese.