Il maestro Manzi, il maestro Sciascia

La fiction dedicata ad Alberto Manzi per riflettere sugli anni di insegnamento di Leonardo Sciascia

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Settimana importante dal punto di vista mediatico per la scuola primaria, o meglio scuola elementare come ancora oggi è più facilmente identificata nell’immaginario collettivo. Lunedì e martedì sera (24 e 25 febbraio) è stata trasmessa la fiction televisiva dedicata al maestro Alberto Manzi e mercoledì mattina il neo-premier Renzi ha impegnato la sua prima visita ufficiale incontrando studenti e docenti di un Istituto scolastico (Comprensivo) di Treviso.

Per chi non conosceva affatto o poco Manzi, la miniserie tv, depurata naturalmente, da alcuni aspetti celebrativi del personaggio, insiti in questo genere di trasmissioni, ha permesso a molti Italiani di vivere o rivivere gli anni dell’istruzione elementare nel periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, sia come scolarizzazione delle nuove generazioni, sia come recupero dei ragazzi “difficili”(racconto del periodo in cui Manzi lavora come educatore, nel carcere minorile “A. Gabelli” di Roma), sia come lotta all’analfabetismo per gli adulti (grazie alla fortunata serie di trasmissioni televisive “Non è mai troppo tardi”).

L’impatto visivo e fisico determinato dalla storia del maestro elementare Alberto Manzi rimanda però, come complemento di approfondimento, agli anni di insegnamento di un altro maestro elementare suo coetaneo, Leonardo Sciascia (1), oggetto di riflessione da parte della rivista internazionali di studi sciasciani “Todomodo” (2) con un articolo di Simonetta Soldani (3) intitolato: “A scuola di verità da Leonardo Sciascia”, nel quale si parla degli anni vissuti nella scuola dallo  scrittore siciliano.

Lontana da noi la tentazione di voler mettere a confronto i due approcci all’insegnamento, parlare di Sciascia quale insegnante vuole dire parlare della Sicilia dell’immediato dopoguerra, della povertà di quei ragazzi, molti dei quali trascorrevano il tempo-scuola come parcheggio, come pausa di riposo dalle pesantissime ore lavorative o anche per garantirsi solo un piatto di minestra.

Vuole dire, soprattutto, della difficoltà che Sciascia ha vissuto, constatando come “il contesto” di vita rendesse sostanzialmente obbligatorio dedicarsi, esclusivamente, all’insegnamento degli aspetti basilari (“leggere, scrivere e far di conto”) o di quegli argomenti che scaturissero dalla narrazione di testi più legati alla sensibilità dei ragazzi (citato come esempio la poesia Goal di Umberto Saba).

Sciascia ha insegnato a Racalmuto dal 1949 al 1957 e quegli anni sono descritti nel racconto “Cronache scolastiche”, inserito nel libro “Le parrocchie di Regalpetra”. Simonetta Soldani, nel suo intervento, inquadra storicamente quegli anni, anche tramite la descrizione dei dati statistici dell’istruzione italiana del 1957, partendo dalla constatazione di come l’insegnamento nell’ambito della scuola  elementare, non fosse mai stato oggetto di approfondimento, come invece ha fatto  Sciascia, o perché ritenuto meno qualificante rispetto alle dispute sull’istruzione liceale classica o perché l’attenzione si spostava alle grandi questioni dei Costituenti, come il rapporto tra scuola pubblica e privata o l’insegnamento della religione.

Questa mancanza di approfondimento non si è presentata solo all’interno del dibattito politico-istituzionale, ma anche di quello culturale, in quanto, anche scrittori come Scotellaro, Dolci, Rodanò che avevano descritto le condizioni di vita meridionali, poco o nulla avevano scandagliato sul legame tra società e scuola di base.

La Soldani, infine, fornisce una chiave di lettura che pone Sciascia non nel solco di un contestatore ante litteram dell’istituzione scolastica o di un educatore che affidava alle aule il compito di formare i cittadini del futuro, ma che vede lo scrittore siciliano considerare la scuola come il luogo privilegiato dove, una realtà multiforme possa tramandare i suoi elementi essenziali, sia contro il pensiero unico, sia contro ciò che si rivolge esclusivamente al presente.

Il 12 ottobre 1949, alla sua prima giornata di insegnamento nella classe quarta sezione C, così Sciascia scriveva, compilando per la prima volta il registro di classe (4): “Non è senza timore che inizio la mia opera di insegnante. La classe affidatami è numerosa il che contribuisce ad accrescere il mio disagio. A questo primo brusco contatto, l’opera educativa a cui mi ritenevo, per esperienza libresca, preparato e che perciò vagheggiavo perfetta, mi si presenta al quanto scoraggiante e difficoltosa…Qui occorrono molti anni perché la scuola veramente sia scuola”.

*

NOTE

1) Manzi è nato a Roma nel 1921 e morto a Pitigliano (Grosseto) nel 1997. Sciascia è nato a Racalmuto (Agrigento) nel 1924 e deceduto nel 1989 a Palermo.

2) Il terzo numero, edito dalla casa editrice Leo S. Olschki è stato pubblicato nel novembre del 2013.

3) Docente dell’Università di Firenze, ha collaborato anche alla mostra multimediale “Fare gli italiani” nell’ambito delle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’unità d’Italia.

4) La citazione è acquisita da un articolo di Felice Cavallaro sul Corriere della Sera dell’aprile 2007.

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Antonio D'Angiò

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