Il "caso serio" dell'omelia (Prima parte)

Dai Padri della Chiesa al Magistero attuale

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, martedì 17 luglio 2012 (ZENIT.org).- “Trasmettere la fede” è il titolo della terza parte dell’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede Cristiana, 27 maggio 2012).

Vi si legge, al n. 91: “Non si può trasmettere ciò che non si crede e non si vive. Non si può trasmettere il Vangelo senza avere come base una vita che da quel Vangelo è modellata, che in quel Vangelo trova il suo senso, la sua verità, il suo futuro”.

Precisamente in questa prospettiva vogliamo affrontare il “caso serio” dell’omelia – un’autentica sfida e un’enorme responsabilità per il ministro ordinato, nell’“oggi” delle comunità cristiane.

Sembra una contraddizione con quello che ho appena detto riguardo all’“oggi”; e tuttavia a me, che studio i Padri della Chiesa, sembra proprio che la via migliore per riflettere sull’omelia sia quella percorsa da alcuni predicatori illustri dei primi secoli cristiani.

Di fatto, anche nel ministero della predicazione, come in molti altri ambiti, i nostri Padri hanno marcato in modo irreversibile la storia del cristianesimo, a tal punto che ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e con il loro magistero. Pertanto un predicatore, che non si confronta con i Padri, non è un autentico predicatore della Chiesa.

Parto da un approccio introduttivo, che contempla due “casi” interessanti: quello dello Pseudo-Clemente e quello di sant’Ambrogio.

* Cominciamo dallo Pseudo-Clemente, o meglio dalla cosiddetta Seconda Lettera di Clemente, nota come la più antica omelia patristica a noi pervenuta. Si tratta in realtà di uno scritto falsamente attribuito a Clemente, vescovo di Roma verso la fine del primo secolo. A tutt’oggi se ne ignora – oltre che la paternità – la data precisa e il luogo di composizione. E’ comunque uno scritto venerando, riconducibile forse alla metà del secondo secolo. Fra l’altro, in questa cosiddetta Seconda Lettera di Clemente si incontra, per la prima volta nella letteratura patristica, il termine katechéo, nel significato etimologico di “insegnare a viva voce”, dove però l’insegnamento non è altro che l’“eco” (e il sostantivo “eco” è presente in katechéo) di una Parola che è già stata detta: quella di Dio.

Ecco dunque che cos’è l’omelia per i nostri Padri: è un “riecheggiamento” della Parola di Dio, appena pronunciata nell’assemblea liturgica.

* Sempre a questo riguardo, è eloquente un altro riferimento alla tradizione, questa volta relativo ad Ambrogio, vescovo di Milano fra il 374 e il 397. C’è un episodio della sua vita, narrato dal diacono Paolino, che riveste un grande valore simbolico.

Narra Paolino che c’era a Milano un eretico, un ariano, “fin troppo abile nel discutere, e testardo, tanto che non si poteva convertirlo alla fede cattolica. Un giorno egli si trovava in chiesa mentre il vescovo predicava, e vide (come dopo riferì egli stesso) un angelo che parlava all’orecchio del vescovo, mentre questi predicava. Sembrava proprio che Ambrogio ripetesse al popolo le parole dell’angelo. Convertito da questa visione, quell’uomo cominciò a difendere egli stesso la fede che prima combatteva” (Vita 17).

Lo ripeto: si tratta di un episodio che riveste un grande valore simbolico, mentre dice il metodo di Ambrogio, e dei nostri Padri in genere, nel predicare. Essi non predicavano se stessi, ma le parole ispirate; non vane dottrine, ma la Parola di Dio, la sola capace di convertire il cuore dell’uomo. Così l’omelia era “catechesi” nel senso etimologico del termine: un “riecheggiamento” della Parola di Dio.

1. Dai Padri della Chiesa al Magistero attuale

Certo, dai Padri ad oggi trascorrono quasi duemila anni di predicazione cristiana. E proprio nel solco di questa tradizione si collocano i ministri ordinati, ai quali è affidata la missione “tremenda e meravigliosa” di predicare la Parola di Dio: una missione che troviamo sintetizzata in un celebre passaggio della Dei Verbum, che cita a sua volta un Sermone di sant’Agostino (così, da Agostino al Vaticano II, risaliamo un bel po’ di secoli di predicazione).

“E’ necessario”, ammonisce la Dei Verbum al n. 25, “che tutti i chierici e quanti, come i catechisti, attendono al ministero della Parola, conservino un continuo contatto con le Scritture, mediante una sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi”, ed è qui la citazione agostiniana, “‘vano predicatore della Parola all’esterno colui che non l’ascolta di dentro'”.

Ritorna quell’importante messaggio dei Padri, di cui si parlava: per l’omileta di ieri e di oggi è indispensabile una profonda e amorevole sintonia con le Scritture, affinché l’omelia “riecheggi” in modo efficace la Parola di Dio proclamata nell’assemblea liturgica.

Queste riflessioni, svolte sul filo della storia, offrono la prospettiva giusta per comprendere le più recenti indicazioni del Magistero sull’omelia.

Valga per tutti il riferimento al n. 59 (“L’importanza dell’omelia”) dell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, firmata dal Papa Benedetto XVI il 30 settembre 2010. Vi si legge fra l’altro: “L’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita. Essa deve  condurre alla comprensione del mistero che si celebra, invitare alla missione, disponendo l’assemblea alla professione di fede, alla preghiera universale e alla liturgia eucaristica… Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore  del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare  Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia… L’Assemblea sinodale ha esortato che [nella preparazione dell’omelia] si tengano presenti le seguenti domande: ‘Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della sua situazione concreta?’”.

(La seconda parte verrà pubblicata domani, mercoledì 18 luglio)

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione