Curiose rettifiche sul caso Lama in Arabia Saudita

Nel Paese, culla del wahhabismo, non c’è spazio per i diritti umani e per una vera giustizia

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La verità fa male. Eppure, come scriveva Riccardo Bacchelli ne “Il mulino del Po”, “la verità è come il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana”. A quanto pare l’Arabia Saudita non vuole essere risanata. E’ bastato che circolasse al di fuori dei confini del Regno la notizia relativa al versamento del “riscatto del sangue” da parte del padre omicida della piccola Lama per avviare immediatamente le smentite ufficiali. Ieri, sul quotidiano internazionale arabo Al-Hayat, a pagina 4 veniva pubblicato un comunicato del portavoce ufficiale del Ministero della Giustizia saudita, Fahd bin Abdallah al-Bakran, in cui si affermava che la notizia, diffusa in internet e sui social network, del rilascio di Fayhan al-Ghamdi era falsa. Ha sottolineato che il processo è ancora in corso, che la sentenza non è stata emessa e che il padre si trova ancora in carcere.  Si afferma che la sentenza verrà resa nota il  prossimo giovedì 4 aprile.

E’ curioso che nel comunicato si leggano anche velate minacce a chi, nel Regno, diffonde notizie sui processi ancora in corso. La fuga di notizie ha dato fastidio, ha svelato una realtà che doveva restare celata al mondo esterno. Purtroppo per le autorità saudite non sarà né la prima né l’ultima fuga di notizie. Ormai le carte sono scoperte.  Le dichiarazioni del Ministro della Giustizia Muhammad bin al-Issa, in svariate occasioni, confermano che non suo paese non c’è spazio per i diritti umani e per una vera giustizia. Basta leggere il rapporto del Dipartimento di Stato americano sui diritti umani in Arabia Saudita nel 2011 per rendersene conto: “Altri problemi concernenti i diritti umani comprendono la tortura, la detenzione di prigionieri politici, la negazione di processi, arresti e detenzioni arbitrari, interferenza arbitraria nella privacy domestica e postale. La violenza contro le donne, il traffico di esseri umani, la discriminazione in base al genere, alla religione, alla setta, alla razza e all’etnia sono comuni. La mancanza di trasparenza da parte del governo e il difficile accesso rendono difficile di valutare le dimensioni di numerosi problemi relativi ai diritti umani”. Oggi stesso il ministro della Giustizia, sempre sul quotidiano Al-Hayat conferma, riferendosi a un altro caso giudiziario, che “la legge del taglione è una sentenza conforme alla sharia, che non si può evitare, se non dietro esborso del riscatto del sangue”.

Un’altra dichiarazione di al-Issa che non fa sperare in una vera giustizia per la piccola Lama risale a un’intervista rilasciata nel 2009 all’altro quotidiano arabo internazionale Asharq al-awsat. Alla domanda del giornalista circa la possibilità di mettere al bando il matrimonio delle bambine, dopo avere riferito di una tendenza a volere riconsiderare la legislazione, concluse con la seguente affermazione: “Ultimo, ma non meno importante, esistono sentenze religiose che consentono il matrimonio delle minorenni e si tratta di fatwe che dobbiamo guardare con rispetto e apprezzamento. Sono state emesse da studiosi esperti in giurisprudenza”.

Quanto appena esposto ci conferma che in Arabia Saudita essere donna e bambina non è facile, che in Arabia Saudita i diritti umani sono concepiti solo in conformità alla sharia e che in ogni caso non si vuole alcune intromissione interna o esterna. Le istituzioni  del Regno sono consapevoli che nell’epoca di internet e dei social network è sempre più difficile celare la realtà e per questa ragione cercano di attuare un controllo maniacale di quanto viene scritto su Facebook e Twitter. Così è stato anche per il caso Lama. Non sappiamo se la sentenza del 4 aprile sarà diversa da quel che già abbiamo riferito, ma se lo sarà forse la denuncia e la mobilitazione internazionale avranno ottenuto una prima e importante vittoria: la punizione per il reato più innaturale ed efferato che possa esistere, ovvero la morte di una bimba per mano del proprio padre.

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Valentina Colombo

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