Dal concepimento all'essere (Prima parte)

Il Presidente del Movimento per la vita spiega la prova psicologica dell’esistenza fin dal concepimento

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Dunque deve esserci un momento in cui sono comparso nel mondo dell’esistenza provenendo dal nulla. Questa semplice osservazione può essere fatta da tutti. E’ una evidenza. 

Qualcuno potrebbe replicare: non è vero quanto dici, perché il tuo corpo è fatto di materia: carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto, etc. e si può dire che tutti i materiali classificati dalla chimica si trovano nel tuo corpo e tutti ti preesistevano. 

E’ vero, ma ciascuno di noi avverte con assoluta certezza che egli non è il carbonio, l’ossigeno, e neppure il fegato o i reni o il cuore. Ciascuno può dire: io sono “io” e può doverosamente chiedersi: “io quando sono cominciato?” 

L’esperienza dell’“io” è molto singolare. Incontro molte persone le cui forme sono simili a me, ma so benissimo che loro sono loro, non me. Sono cioè “altri”. L’altro è uguale a me, ma non è me. Io sono “io”. 

Viceversa se osservo le mie fotografie di qualche anno fa mi riconosco: sono sempre io, anche se, talvolta, soprattutto se le foto mi riportano via via più indietro nel tempo, l’apparenza è assai diversa. 

Possiamo fare l’esperimento mentale saltando indietro nel tempo per trovare la cesura tra il nulla e l’esserci. Quando ritrovi la fotografia di un bimbo di due anni sorridi, perché sei così diverso! Eppure mostrando la foto agli altri dici: “guarda come io ero da bambino!” 

Ero io. C’ero già ed ero “io”. Eppure tutta la materia che costituisce il mio corpo era diversa. Pare che tutte le cellule del corpo umano cambino nel periodo di sette anni. Quel bambino di due anni la cui fotografia suscita insieme tenerezza e sorriso è fatto di materia completamente diversa da quella che oggi si trova nel mio corpo. Inoltre egli non era in grado di svolgere le più importanti funzioni di un adulto: non sapeva scrivere, balbettava appena, non sapeva leggere… Se poi nella ricerca della mia origine mi soffermo su una foto ancora anteriore e mi guardo neonato di pochi giorni o addirittura appena nato, con il volto paonazzo e magari – perché no? -, con il cordone ombelicale ancora non reciso, la differenza tra l’oggi e l’ieri è ancora più grande. A quel bimbo mancavano persino organi che io ho, per esempio i denti. Sapeva solo dormire, respirare, succhiare latte. Eppure continuo a dire “io”. Dunque sono comparso nel mondo dell’essere prima ancora di quel momento fissato nella foto. 

E’ ovvio che devo scendere nelle viscere di mia madre. 

Due giorni prima del parto ero sempre io o no? E un mese prima? Tre mesi prima? Sei mesi prima? Oggi scienza e tecnica possono farmi avere anche le fotografie di quel periodo. L’ecografia è una tecnica relativamente recente: se i più anziani non possono vedersi fotografati a due o tre mesi dal concepimento, i più giovani possono sentirsi offrire dalla madre una foto e sentirsi dire: “guarda come eri a sei settimane! Eri lungo solo… e pesavi solo…” Enorme la diversità da oggi ed è quasi impossibile distinguere un feto da un altro perché le forme sembrano identiche. Eppure può accadere che la madre dica: “no, mi sono sbagliata…ho preso l’immagine ecografia di tuo fratello. Ecco: tu sei quest’altro…”. Dunque io ero ancora “io” nel seno di mia madre e l’altro era un “altro” nella stessa età gestazionale.

La mia vita non è la vita del mondo 

Dove comincia l’“io”? Dove sta le cesura tra l’essere e il non essere? Insomma io quando sono comparso dal nulla? 

Non è la memoria che rende unitario il percorso della mia vita. E’ vero: non ricordo niente dalla mia vita intrauterina. Ma anche se oggi non sono pochi gli psicologi e gli psicanalisti che sanno tirare fuori dal profondo dell’io ricordi fetali, non c’è bisogno di ricorrere a queste modernissime scoperte per affermare la continuità del mio io anche nel tempo di cui non c’è memoria. Infatti io riconosco me stesso anche quando, ripensando alla mia storia personale, mi vedo o mi posso eventualmente vedere anestetizzato prima di un intervento chirurgico, o in coma, o in preda a un sonno profondo, o nella primissima infanzia, nei periodi, cioè, di cui – a livello cosciente – non ricordo assolutamente nulla. Eppure so e dico che anche infante, dormiente, in coma o sotto anestesia ero sempre “io”. E’ abbastanza misterioso tutto questo, eppure so che è certamente così. 

Allora devo trovare il mio cominciamento ancora prima dei barlumi di memoria; ancora prima della forma che mi assomiglia sebbene alla lontana; ancora prima dell’inizio delle funzioni che oggi mi fanno parlare, scrivere, dialogare, camminare. 

So bene che alcuni, non potendo negare che la vita è un continuum senza salti di qualità dal concepimento in poi, estendono e oggettivizzano tale continuum. Dicono che la vita c’era anche prima. C’era anche negli spermatozoi e nell’ovocita. C’è una evoluzione, un processo nell’intero universo. Preferiscono parlare di passaggio generazionale piuttosto che di generazione dell’individuo. 

Se fossi soltanto una particella anonima dell’Universo, se fossi vento, mare, sabbia, insomma elementi materiali che si combinano variamente tra loro, non avrebbe senso il mio interrogativo sulla cesura tra il nulla e l’esistere. Ma io sono “io”. Prima non c’ero e oggi ci sono. Dunque sono cominciato in un momento preciso. 

Proviamo a tirare le fila. Dunque: io sono “io” indipendentemente dalle diverse apparenze del mio corpo. Il tavolo su cui scrivo può essere distrutto e sostituito con un altro tavolo assolutamente identico. Nessuno, però, può dire che è lo stesso tavolo di prima. E’ un altro tavolo perché diversa è la materia. Io invece, sebbene ogni sette anni sia fatto di materia completamente diversa, sono sempre “io”. E’ la particolarità della vita, non solo dell’uomo. Anche un cane nel corso del tempo cambia completamente le sue cellule, ma resta quel cane lì, diverso da ogni altro cane. Sembra potersi dire che l’identità dell’individuo vivente non è determinata dalla qualità o quantità della materia che lo compone, ma da un principio organizzatore della materia che resta sempre lo stesso. Un vecchio cadente è diversissimo dal giovanotto aitante che egli era sessanta anni prima, eppure è lo stesso uomo. Viceversa due gemelli possono essere talmente uguali nelle apparenze da essere sempre confusi l’uno con l’altro da chi li incontra, eppure non si può dire che siano un solo individuo. 

Così stando le cose, nessuno può disperdermi nell’evoluzione dell’universo o della vita in senso oggettivo e generale.

Prima non c’ero 

Se voglio parlare di me, se voglio cercare l’inizio del mio io, di quello che sono oggi e che ero ieri, passando da varie fasi tutte legate da un filo unico che mi fa dire “io”, se non sono vento, mare e sabbia, se non sono un oggetto, ma un soggetto, cioè una entità che può dire “io”, allora debbo soffermarmi stupito sul concepimento. 

Lo spermatozoo non è me, l’ovocita non è me. Io non sono né spermatozoo, né ovocita. Neppure mi identifico con mio padre e mia madre né posso disperdermi (se accettiamo la teoria dell’evoluzione) nell’innumerevole serie di esseri umani – microbi, pesci, rettili, mammiferi – che hanno fatto parte del continuum della vita oggettivamente intesa. Perché io sono “io” e non posso annegarmi né nelle cose, né in altri viventi e neppure in altri esseri umani, siano pure a me vicinissimi come mio padre e mia madre. Perciò quando mi interrogo sul mio inizio, sul mio comparire dal nulla, devo inevitabilmente pensare a quel momento in cui il mio corpo ha cominciato ad organizzarsi e costruirsi. Il concepimento, appunto: l’incontro dello spermatozoo di mio padre e l’ovocita di mia madre. Prima non c’ero. 

Certamente faccio fatica a riconoscermi in una pallina così piccola da poter essere collocata sulla punta di uno spillo, anche perché quella mor
ula ingrandita 150 o 200 volte, riprodotta in una fotografia che i radicali mi mostrano non ero certamente io. Se la fotografia è vera e quell’embrione è veramente un embrione umano e non un fotomontaggio, posso riconoscere un altro, ma non me stesso. Se, però, di fotografia in fotografia ripercorrono la mia storia fino a giungere a quel momento in cui prese avvio la costruzione del mio corpo, mi trovo a ripetere sempre “io”, fino a dire : ecco “sono cominciato così”. 

Quel punto submillimetrico ero io.

* Per ogni approfondimento “Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo” (Edizioni San Paolo – 5 Euro)

(La seconda parte verrà pubblicata martedì 12 febbraio)

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Carlo Casini

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