“Creare una mentalità consolidata e profonda in ordine al fondamentale diritto alla vita”

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 4 marzo 2007 (ZENIT.org).- Riportiamo l’articolo a firma di Umberto Santarelli pubblicato da “L’Osservatore Romano”, nella edizione quotidiana in italiano del 4 marzo 2007, a commento del discorso rivolto dal Papa ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita e al Congresso Internazionale “La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita”.

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Il discorso fatto dal Papa sabato 24 febbraio ai partecipanti all’assemblea della Pontificia Accademia per la Vita sollecita, in chi è abituato a tener sul naso gli “occhiali del giurista”, qualche riflessione che, senza nulla togliere né diminuire della specifica ricchezza del Magistero del Vescovo di Roma, possa misurarne fino in fondo il valore – universale, e perciò da tutti riconoscibile – nel contesto dell’intera società e della sua (talvolta faticosa) esperienza giuridica. L’affermazione che l’altro giorno il Papa ha chiaramente posto al centro di tutta la sua riflessione è che quello alla vita “è il diritto fondamentale in ordine agli altri diritti umani”.

Questa constatazione non può esser in alcun modo confusa con un semplice aforisma proclamato solamente per far presa su un uditorio avvezzo agli slogan. Collocare così esplicitamente il diritto alla vita alla base fondante dell’intero sistema dei diritti soggettivi significa dir di no, non solamente alla morte d’ogni persona umana (comunque e per qualsiasi motivo procurata), ma a qualsiasi negazione (anche parziale, purché oggettivamente depauperante) del suo diritto a vivere nel pieno della sua originaria e non graduabile dignità di persona. Ridefinire, come il Papa ha fatto così nitidamente, tutto il sistema dei diritti della persona nella prospettiva e con esplicito riferimento alla vita, significa affermare che ogni persona ha l’incoercibile aspettativa d’una qualità di vita che non equivalga nei fatti a una negazione di quel diritto che fonda l’intero sistema. Violare questa fondamentale parità, che è di tutti, equivale in ultimo a negare lo stesso diritto alla vita.

In ogni società civile questo diritto di tutti a vivere una vita che possa definirsi autenticamente umana dev’esser per sua natura oggetto d’un doveroso e concreto riconoscimento, e non già d’una concessione elargita o negata da un legislatore preoccupato solamente d’esercitare la sua sovranità. Perché questo possa accadere, è indispensabile che il riconoscimento del diritto alla vita, inteso come “fondamentale in ordine agli altri diritti umani”, costituisca parte irrinunciabile della cultura d’ogni società, e come tale diventi il valore primario sul quale fondare l’intero ordine giuridico. Certo, alla luce della fede tutto assume contorni diversi e s’inserisce in un contesto nuovo: il Papa lo sottolinea con forza, citando la grande lezione dell’Enciclica Evangelium vitae, tracciando un panorama realistico dei “molti attacchi a cui è esposto il diritto alla vita”, ma nel contempo riconoscendo che “il cristiano sa di poter contare su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza”.

Le difficoltà non sono dappertutto le medesime, ma purtroppo non sembrano esservi contesti immuni da pericoli. Se “sono sempre più forti le pressioni per la legalizzazione dell’aborto nei Paesi dell’America Latina e nei Paesi in via si sviluppo” malgrado che “le politiche del controllo demografico […] siano ormai state riconosciute come perniciose anche sul piano economico e sociale, nello stesso tempo nei Paesi più sviluppati cresce l’interesse per la ricerca biotecnologica più raffinata, per instaurare sottili ed estese metodiche di eugenismo fino alla ricerca ossessiva del “figlio perfetto””.

Dinanzi a un simile panorama (molto variegato nei particolari, ma sostanzialmente omogeneo per lo spirito che sembra caratterizzarlo tutto) una risposta adeguata può venire solamente dalla “formazione di una coscienza vera perché fondata sulla verità, e retta perché determinata a seguirne i dettami”. Per far questo appare indispensabile “rieducare al desiderio della conoscenza della verità autentica, alla difesa della propria libertà di scelta di fronte ai comportamenti di massa e alle lusinghe della propaganda per nutrire la passione della bellezza morale e della chiarezza della coscienza”.

Se tutto questo è vero; se – soprattutto – è nel vivo della società e della sua cultura che continuamente si forma l’ordine giuridico destinato a governarla e al quale il legislatore può soltanto dare un assetto formale conveniente, la strada per la Chiesa appare chiaramente segnata. È indispensabile che “le famiglie e le comunità parrocchiali” avvertano l’esigenza di un’adeguata “formazione della gioventù e degli adulti” che, “accanto alla formazione cristiana finalizzata alla conoscenza della persona di Cristo, della sua Parola e dei Sacramenti” sappia “unire coerentemente il discorso sui valori morali che riguardano la corporeità, la sessualità, l’amore umano, la procreazione, il rispetto per la vita in tutti i momenti, denunciando nel contempo con validi e precisi motivi i comportamenti contrari a questi valori primari”.

A questo scopo dovranno convergere “l’opera dei sacerdoti” e l'”impegno di laici educatori, anche specialisti, dediti al compito di guidare le realtà ecclesiali con la loro scienza illuminata dalla fede”. Lo scopo a cui quest’impegno, unitario insieme e articolato, deve tendere è di creare una mentalità consolidata e profonda in ordine al fondamentale diritto alla vita; una mentalità che si traduca poi in comportamenti personali e collettivi, non solo all’interno della comunità della Chiesa ma anche nel più vasto ambito della società civile, per costituire così il presupposto indispensabile al formarsi e al conservarsi di quei valori condivisi che rappresentano la condizione necessaria per l’elaborazione delle conseguenti clausole normative.

La conclusione a cui giunge la riflessione del Papa non è vanamente “ottimistica” né si esaurisce in un generico appello a un’efficienza di maniera, ma va alla radice ultima e risolutrice: “Prego […] il Signore perché mandi fra voi […] e fra quanti si dedicano alla scienza, alla medicina, al diritto, alla politica, dei testimoni forniti di coscienza vera e retta per difendere e promuovere lo “splendore della verità” a sostegno del dono e del mistero della vita”. Rivolgendosi poi a queste persone, chiamate all’esercizio del loro specifico ministero laicale nella città dell’uomo, Benedetto XVI indica con precisione la strada da percorrere: “In una società talora chiassosa e violenta, con la vostra qualificazione culturale, con l’insegnamento e con l’esempio, potete contribuire a risvegliare in molti cuori la voce eloquente e chiara della coscienza”.

Certo non è una strada né breve né facile; ma sarebbe inutile sognare percorsi alternativi che non ci sono. Se è vero quel che da molti secoli la scienza giuridica europea ha scoperto e insegnato – che ubi societas ibi jus – è inutile andare alla ricerca di inesistenti scorciatoie. Solo in una società che ha saputo scegliere i valori fondanti della propria convivenza può formarsi un sistema di regole che serva a misurare in modo corretto i comportamenti. I problemi veri e vitali d’ogni società si risolvono, non escogitando all’improvviso formule legislative azzeccate, ma costruendo con pazienza e fatica – giorno dopo giorno – un ordine giuridico che traduca nei fatti un sistema di valori autentici e condivisi.

(©L’Osservatore Romano – 4 Marzo 2007)

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ZENIT Staff

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