I tre livelli del dialogo, base per affrontare le migrazioni

Monsignor Agostino Marchetto interviene a Pordenonelegge

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, mercoledì, 15 settembre 2010 (ZENIT.org).- Per affrontare in modo sempre più efficace la realtà delle migrazioni che tanto caratterizza le società odierne, è necessario concentrarsi sul dialogo, e nella fattispecie sulle sue tre sfaccettature fondamentali: all’interno della Chiesa, tra i cristiani e con i fedeli di altre religioni.

E’ il messaggio lanciato dall’Arcivescovo Agostino Marchetto, già Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenendo questo mercoledì a Pordenonelegge, la Festa del Libro con gli Autori in svolgimento fino al 19 settembre.

“L’incontrarsi di persone e gruppi che storicamente hanno vissuto prima separatamente fa sorgere inevitabilmente numerosi problemi, di fronte cioè alla necessità di formare una nuova esistenza insieme”, ha confessato monsignor Marchetto.

In questo contesto, è indispensabile il dialogo, che assume “diverse forme concrete”.

“Un convegno di esperti appartenenti a diverse religioni – ha spiegato – è solo una di queste forme, cui si aggiunge il cosiddetto dialogo della vita, forse la forma più importante e frequente, perché è quello quotidiano, in cui persone di varie religioni cercano di vivere assieme come vicini, condividendo gioie e dolori, problemi umani e preoccupazioni”.

“C’è poi il dialogo dell’azione, che coinvolge cristiani e non cristiani in una collaborazione mirata a promuovere lo sviluppo integrale della società. Infine, c’è il dialogo della condivisione delle esperienze religiose, in cui persone ben radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le proprie ricchezze spirituali”.

Il primo dialogo, ad ogni modo, deve avvenire all’inteno della Chiesa cattolica, salvaguardando in particolare la lingua dei migranti, visto che l’esperienza pastorale “insegna che quando i migranti si sentono compresi e a loro agio, si inseriscono più facilmente nella comunità e la arricchiscono”.

A questo proposito, monsignor Marchetto ha ricordato che “i migranti cattolici includono anche i ‘gruppi rituali’ e, in modo particolare, quelli che provengono dalle Chiese Orientali Cattoliche”, di cui deve essere curata la liturgia, da celebrare “nel rito della propria Chiesa sui iuris”.

In seconda istanza c’è il dialogo con altre Chiese e Comunità ecclesiali, che “offrono un’opportunità di dialogo, specialmente in quell’’ecumenismo della vita quotidiana’, che rafforza alla base legami di unità (fin dove è possibile) e carità e promuove una maggiore comprensione reciproca”.

Nel terzo livello c’è poi il dialogo con gli appartenenti ad altre religioni, “un dialogo che si basa sulla nostra identità, suscitando reciproco rispetto e la scoperta dei valori religiosi e umani dell’altro”.

Il presule ha segnalato come i problemi concreti che sorgono tra i cristiani e i migranti di altre fedi richiedano “una mentalità e un atteggiamento di dialogo da parte di tutti”.

“Non si tratta però di cosa facile – ha riconosciuto –. L’incontro con persone profondamente radicate in convinzioni e costumi non condivisi dai cristiani può essere duro”.

Per questo, servono “molta pazienza e perseveranza”, “una solida formazione degli operatori pastorali e una informazione circa le altre religioni, per sconfiggere pregiudizi, per superare il relativismo religioso e per evitare chiusure e paure ingiustificate, che generano tante conseguenze negative”.

Monsignor Marchetto ha quindi affermato che il dialogo e l’evangelizzazione “non sono opposti”, perché “il dialogo della vita, che dà una testimonianza di carità cristiana, richiede anche una spiegazione”.

Lo stesso San Pietro, del resto, esortava i cristiani ad essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”, sottolineando che ciò deve essere “fatto con dolcezza e rispetto” (1 Pt. 3,15).

“Con molto rispetto e attenzione per le tradizioni e culture dei migranti, siamo chiamati, noi cristiani, a testimoniare il Vangelo della carità e della pace anche a loro e ad annunciare esplicitamente pure ad essi la Parola di Dio, in modo che li raggiunga la Benedizione del Signore promessa ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”, ha concluso il presule.

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ZENIT Staff

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