NAGASAKI, mercoledì, 26 novembre 2008 (ZENIT.org).- Più di 30.000 persone hanno partecipato questo lunedì a Nagasaki alla beatificazione di 188 martiri giapponesi, in gran parte laici, uccisi in odio alla fede tra il 1603 e il 1639.
Intere famiglie vennero assassinate per non aver rinnegato il nome di Gesù. Molte donne furono bruciate vive abbracciate ai loro bambini mentre i loro parenti pregavano “Gesù, accogli le loro anime”.
Alcuni hanno subito torture terribili: uomini, donne, giovani e perfino handicappati vennero crocifissi e tagliati a pezzi. Il gesuita Pietro Kibe, torturato per dieci giorni consecutivi, dava coraggio ai catechisti martirizzati con lui.
La celebrazione è stata presieduta dal Cardinale Seiichi Peter Shirayanagi, Arcivescovo emerito di Tokyo, alla presenza del Cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione per le Cause dei Santi e inviato del Papa per l’occasione.
Durante l’omelia, il porporato portoghese ha sottolineato come il martirio sia “l’esercizio più pieno della libertà umana e il supremo atto d’amore”.
Tra i concelebranti c’erano il Cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, sette Vescovi coreani e presuli di Filippine e Taiwan.
Il Cardinale Saraiva Martins ha sottolineato, citando Sant’Agostino, che “non è la condanna o il tormento che fa il martire, ma la causa o il motivo, che è Cristo”.
La “caratteristica distintiva del martirio cristiano”, ha aggiunto richiamando le parole di Benedetto XVI, consiste nell’essere “esclusivamente un atto d’amore per Dio e per gli uomini, inclusi i persecutori”.
In un messaggio, i Vescovi giapponesi hanno sottolineato che “questi 188 martiri non sono militanti politici, non hanno lottato contro un regime che impediva la libertà religiosa: sono stati uomini e donne di una fede profonda e autentica, che indicano il cammino a quanti credono”, offrendo “a tutti noi un’esperienza sulla quale riflettere”.