di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 17 novembre 2008 (ZENIT.org).- I Centri di Aiuto alla Vita (CAV) non si occupano solo di portare aiuti e sostegni alle mamme in difficoltà, compiono anche un’azione educativa e culturale.

Molto attivo in questo campo il CAV di Lecco, il cui Presidente Paolo Gulisano, medico epidemiologo e noto saggista, in merito al caso di Eluana Englaro ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno suscitato scalpore.

Il Presidente del CAV di Lecco ha fatto richiesta che fossero diffuse le immagini di Eluana. ZENIT lo ha intervistato.

Perché questa richiesta?

Gulisano: Perché in questi anni di Eluana sono state mostrate in pubblico, sui media, solo le foto della sua adolescenza, quasi a voler dare l’idea che quella, e solo quella, era Eluana. Mostrare questa donna oggi, per come è, nelle condizioni di inferma amorevolmente assistita, potrebbe servire a comprendere meglio questo caso, a far vedere che si tratta di una persona viva, e non di una sorta di vegetale la cui esistenza considerata inutile deve avere termine.

E’ impressionante l’uso strategico delle immagini nei casi eticamente sensibili: pensate al caso-Welby: non passava giorno che fossero mostrate le sue immagini a letto, con inquadrature che insistevano sulle macchine, sui cavi, per indurre negli spettatori la convinzione di un’artificiosità di tale tipo di vita.

Per Eluana invece il contrario: nessuna immagine, anche perché la donna non è attaccata a nessuna macchina, non ha alcun supporto: è un’invalida in carrozzina, come migliaia di persone ammalate, diversamente abili, o anziani. Vedere Eluana toccherebbe il cuore a molte persone e potrebbe suscitare un movimento di solidarietà ancora più vasto di quello esistente.

I legali del padre hanno parlato di inaccettabile violazione della privacy.

Gulisano: Siamo di fronte ad una situazione eccezionale, inaudita, per cui è stata data l’autorizzazione a far morire una persona, e si parla di privacy? Si pretende che Eluana scompaia alla vista, sia rimossa, e - fatto ancor più grave - si vorrebbe che la questione della morte procurata di una persona sia un fatto strettamente privato, non di interesse pubblico, riguardante solo le persone coinvolte. E’ questo un aspetto aberrante. 

La sentenza dei giudici ha inteso “far rispettare” una sorta di contratto privato tra Eluana e suo padre. “Con Eluana io avevo fatto un patto e l’ho rispettato. Ho rispettato e onorato la parola che avevo dato a mia figlia”. Così ha sottolineato più volte il signor Englaro.

Un incredibile patto di morte, senza testimoni, senza firme, un patto di “sangue e onore”, a cui si è voluto attribuire una sorta di volontà testamentaria. Sembra tutto assurdo, eppure è proprio a causa di questo patto segreto che Eluana sta per essere terminata, sta per andare incontro - se non interverranno fatti nuovi o addirittura miracolosi -,  alla morte per fame e sete.

Come Presidente del CAV di Lecco lei si è occupato da tempo della vicenda?

Gulisano: Sì, anche perché al di là del caso specifico, fu subito chiaro che questo dramma umano personale rischiava di aprire le porte all’introduzione dell’eutanasia. Anni fa lanciai pubblicamente un appello al signor Englaro perché desistesse dalla sua battaglia. Gli dissi che comprendevamo la sua tragedia, il dolore quasi rabbioso di chi aveva posto tante aspettative in quella figlia unica e aveva visto sfumare quei sogni, e avrebbe dovuto accettare una figlia diversa da quella si era immaginata. Gli chiesi un atto nobile, eroico, un sacrificio - quello di accettare Eluana così com’era diventata -, affinché il suo caso personale non venisse utilizzato per introdurre in Italia l’eutanasia, mettendo così a rischio la vita di tante persone, delle tante Eluane, ma anche di anziani, disabili, persone deboli che potrebbero essere eliminate. Purtroppo non venni ascoltato e l’iter giuridico è proseguito.

Come medico cosa pensa della vicenda?

Gulisano: Siamo di fronte ad una situazione in cui si vuol far passare per morte “naturale” la morte per sete e per mancanza di nutrimento, che tutto è fuorché “naturale”. Togliere la vita ad una persona, solo perché malata o disabile o incosciente, é una pratica inaccettabile in ogni paese che voglia continuare a rientrare nel novero di quelli civili.

Occorre che la classe medica prenda una posizione non pilatesca, rigettando qualsiasi pratica eutanasica esplicita o camuffata. L’auspicio è che né nel caso di Eluana né in altre situazioni venga meno la sensibilità deontologica che impegna il personale sanitario ad agire in scienza e coscienza per il bene delle persone,  dei diritti inviolabili dei malati.

Cosa intende fare ora il CAV da lei presieduto?

Gulisano: Vogliamo agire su più livelli: innanzitutto facendo crescere la solidarietà intorno ad Eluana in un crescendo di attenzioni. “Chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva”: hanno detto le suore della clinica della nostra città. Loro continuano a servire la vita di Eluana Englaro, come di tutti i pazienti, e hanno affermato la disponibilità a continuare a farlo. Vorremmo quindi aiutarle ad “adottare” Eluana, per garantirle di continuare a vivere.

La solidarietà verso Eluana è indispensabile anche per un altro motivo: nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, la sentenza della Cassazione in realtà  non è propriamente una  condanna a morte. E’ una  “licenza di uccidere” che delega ad un privato cittadino la possibilità di eseguirla. Nessuno è obbligato a farlo, né medico, né infermiere, né lo stesso Englaro padre. La sentenza non obbliga  a togliere o a far togliere il sondino: dà facoltà di farlo impunemente, cioè senza risponderne penalmente.

Occorre allora invitare ad una massiccia disobbedienza civile di fronte a questa sentenza, rigettando sul piano morale e civile questa espressione del potere  giudiziario che ha voluto acconsentire ad una richiesta di soppressione di un essere umano, ultima espressione dell’ideologia del potere dell’uomo sull’uomo, del forte sul debole. Il Diritto di morire non è contemplato nella Costituzione. Chiediamo quindi la moratoria a tempo indeterminato della sentenza: nessuno la applichi, nemmeno - e di questo li supplichiamo - i genitori di Eluana.