La fede, la sofferenza, la solitudine: sono alcuni dei temi trattati dal cardinale Gianfranco Ravasi, durante la quarta giornata di esercizi spirituali per il Santo Padre e per la Curia Romana.
Se nelle prime meditazioni il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura si era soffermato in particolare sulla realtà di Dio che si rivela, ieri mattina, il porporato ha riflettuto soprattutto sulla risposta dell’uomo alla chiamata di Dio, la cui grandezza sta anche nel suo “lasciarci liberi di abbracciarlo o di andare lontano da Lui”.
Il Salmo che rappresenta il credente è in tal senso il n° 131, legato alla “spiritualità dell’infanzia”, ha spiegato Ravasi. Questo salmo testimonia che “l’autentica fiducia in Dio non è fiducia cieca adesione” ma, in quanto libera, essa è “un’adesione totale”.
Emblematica è, in tal senso, l’esperienza di Abramo, che, in nome di una “pura fede totale”, sacrifica il figlio Isacco per poi vederselo restituito come “figlio della promessa”.
La fede dell’infanzia, in ogni caso, non è un “bamboleggiare” ma significa soprattutto vivere l’insegnamento di Gesù che “ci ha invitato esplicitamente a diventare piccoli come bambini per entrare nel regno dei cieli”.
La natura del bambino, del resto, è anche la sua fiducia spontanea nell’adulto, nel genitore. Dotato di una visione “simbolica” e non “analitica” della realtà, il bambino riesce a intuire le verità che si richiamano alle “cose essenziali”, con la “fiducia dell’abbandono”. Come riconosceva anche Georges Bernanos, l’infanzia si può riconquistare solo “attraverso la santità”.
Esemplari, in tal senso, sono le preghiere di due grandi convertiti degli ultimi due secoli. Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, il suo nome da ebrea) immagina che “dopo una lunga notte albeggerà il mattino” e il regno di Dio, “albeggerà con un parto doloroso”.
Da parte sua, il beato John Henry Newman, durante una traversata su una nave nella tempesta, compose questa preghiera in versi: “Guidami, Luce gentile, in mezzo alle tenebre guidami Tu. Buia è la notte e la mia casa è lontana: guidami Tu”.
Nella meditazione successiva il cardinale Ravasi ha affrontato il tema del dolore dell’uomo dinnanzi a Dio. Il dolore, ha sottolineato il biblista, non è soltanto una realtà “fisiologica” ma anche “esistenziale”, “sapienziale”, “filosofica”, psicologica” e “teologica”. L’esperienza del dolore è sempre “radicale e fondamentale”.
Il Salmo 38 parla della vanità, non nel senso ascetico del termine, come in Qoelet, ma nel senso di vuoto. Il salmista parla della fragilità dell’uomo, paragonabile ad un “soffio”. Le sue labbra gridano: “Rivelami, Signore, la mia fine; quale sia la misura dei miei giorni e saprò quanto è breve la mia vita” (Sal 38). Un’esperienza che riflette la disperazione di Giobbe (cfr. Gb 10).
Enormi provocazioni, queste ultime, specie per la società contemporanea, con il suo gusto dell’effimero e la sua tendenza a “presentare solo ciò che è levigato e perfetto”. Quindi, in ultima analisi, si ha “una sorta di narcosi che elimina tutte le grandi domande”.
La televisione, ad esempio, da questo punto di vista, ci informa su tante cose ma non sa indicarci la rotta, specie quando la vita si rivela fragile e misera, ha osservato Ravasi.
In Giobbe il male ha però anche una funzione catartica, purificatrice. Chi soffre, può scoprire il senso del proprio limite, prova più bisogno d’affetto, scopre una tensione verso la trascendenza. Il senso del limite aiuta quindi a “vincere la superficialità”, ha affermato Ravasi in conclusione della seconda meditazione.
Parallela alla dimensione del dolore vi è quella dell’isolamento, trattata da Ravasi durante l’ultima meditazione di ieri.
C’è l’isolamento da “solitudine”, tipico delle grandi metropoli odierne, piene di persone in attesa di uno squillo del telefono che non arriva mai.
Non meno frequente, tuttavia, è l’isolamento provocato dalla calunnia. “Certe volte, veramente, si rimane stupiti nel vedere – questo purtroppo accade anche all’interno del nostro mondo – la cattiveria con cui uno vuole distruggere un altro”, ha commentato a tal proposito il porporato.
Un caso limite di isolamento da calunnia è il “bullismo on line”, in cui molti ragazzi, sentendosi dileggiati e scherniti per futili motivi, arrivano a preferire la morte alla vita.
Il male è quasi sempre provocato dall’uomo, sebbene molto facilmente l’uomo lo attribuisca a Dio. A questo punto Ravasi è tornato sul dramma di Giobbe, che dal Signore deve accettare tutto il dolore più duro ed incomprensibile.
In Gesù Cristo, tuttavia, Dio ha assunto tutto il fardello del dolore umano: la paura, il tradimento, l’abbandono, il silenzio di Dio, la sofferenza fisica, la morte. “Dio, quindi in Cristo, non ci protegge da ogni sofferenza, ma ci sostiene e ci libera in ogni sofferenza, stando con noi”, ha spiegato il cardinale, sintetizzando lo spirito delle tre meditazioni di ieri.